Cacciatori e raccoglitori
Questo timido risveglio della natura manda in bestia i fanatici degli sport invernali.
I fanatici di ben altro sport invece, la Caccia al Mostro Grosso, stanno vivendo una grande festa collettiva radunati attorno al falò di Monster Hunter Wilds.
La volta scorsa abbiamo provato a spiegare a noi stessi la fenomenologia di Monster Hunter e la sua fausta popolarità anche al di fuori dell'isola fatata di Nippon. Oggi proverò a capire cosa è Monster Hunter per me in particolare.
Facile: penso che sia quello che è per tutte le altre decine di milioni di giocatori (più dei fanatici degli sport invernali, a conti fatti) che hanno riversato infinite ore in questo Gioco-Mondo, in questo Gioco-Cattedrale che tutto contiene, bastevole a se stesso in totale autarchia, immutato da vent'anni ma al tempo stesso infinitamente cangiante nelle sue forme, come la Natura stessa.
Monster Hunter è un gioco durissimo di quelli che al raggiungimento del migliaio di ore ti rilasciano un patentino dicendoti: “Va', ora inizia a giocare davvero”. Un gioco per cui sono state girate decine di ore di pseudo-documentari naturalistici sulla fauna e la flora, milioni di ore di tutorial gentili per cacciatori principianti e miliardi di ore di sbruffonate e performance atletiche estreme come questo Arkveld abbattuto con lo spadone in un paio di minuti a poche ore dall'uscita del nuovo gioco. Un gioco che ha una parte importante in un Film d'Autore Impegnatissimo. Un gioco che ha ispirato l'arte in movimento di queste clip coreografate al rallentatore, che ci permettono di ammirare ogni fotogramma di queste animazioni sublimi, costruite con un mestiere che richiede quarant'anni di esperienza coltivata nella bottega artigianale di Capcom.
Di Monster Hunter mi affascina l'atmosfera gioiosa e spensierata: a Monster Hunter non serve una trama, come non serve (famosamente) a DOOM o a ben altre performance intime filmate e condivise. Monster Hunter ci fa vivere il Mito del Buon Selvaggio: un ritorno alle origini (mai esistite) di un'umanità primordiale in perfetta armonia con la natura e gli altri animali... una natura rossa di zanna e artiglio, fatta di violenza e sopraffazione, ma edulcorata come in un libro illustrato per bambini.
Si muove su un filo sottile, Monster Hunter: rischia ad ogni passo di cadere nel baratro dell'orrore, un incubo senza fine in cui si mangia o si viene mangiati, una lotta disperata per scalare la piramide alimentare. Potrebbe essere insomma ben altro genere di gioco.
Eppure grazie alla magia del non detto, a una trama esilissima, a un contesto sempre vago, e a tonnellate di carinerie come solo i giappi sanno fare... in qualche modo la violenza di un'ecosistema basato su predatori e prede ci diventa tollerabile, perfino attraente.
Si poteva, dopotutto, in World collezionare decine di vestitini per il nostro maialino da compagnia.
Non c'è vera violenza, in questo gioco in cui si prendono a martellate sul muso draghi di taglia colossale. Non c'è sangue, in questo gioco in cui squartiamo il cadavere delle nostre prede per ricavarne materie prime. Abbattiamo creature innocenti ma con il timbro della Gilda dei Cacciatori, e quindi abbiamo la coscienza pulita. Saccheggiamo la cosiddetta Fauna Endemica catturando col retino ogni specie di porcello della giungla o molfetta dal sederino bianco o farfalla mitologica, peschiamo pesci rarissimi, raccogliamo miele e bacche e scarabei e cristalli e fiori e uova giganti... c'è tutto un gioco nel gioco, relativamente pacifico e rilassante, un “Monster Gatherer” in cui esploriamo il mondo e accumuliamo risorse strappandole alla natura come pazzi psicopatici, ma va bene così perché siamo solo noi, e non lo facciamo su scala industriale, e la natura si riprenderà da sola come nel lieto fine di Nausicaä.
Monster Hunter dunque Sceglie di Vedere la Bellezza nell'ecosistema naturale. Bellezza e pace, anche mentre tutte le specie sono intrappolate in un ciclo eterno di lotta e sopraffazione. Un gioco profondamente shintoista.
E dunque non c'è nemmeno la morte, in questo gioco di combattimento spietato: il nostro cacciatore (un essere dalle doti atletiche sovrumane che peraltro è immune al danno da caduta da qualunque altezza) al massimo può perdere i sensi, e venir trasportato al campo base su un carretto trainato da gatti. Una scenetta ignominiosa, uno dei tantissimi siparietti comici di cui è disseminato questo gioco: ci sono gatti chef che fanno balletti culinari coreografati in modo folle, abbuffate epiche talmente succulente che fanno aumentare le vendite di certe pietanze nel Mondo Reale, danze rituali con costumi e smorfie buffissimi.
Le interazioni tra il personaggio e il suo compagno felino nella tenda sono pura comicità da film muto.
E poi Monster Hunter fa ancora oggi proprio quel che piace a me: mette l'arte al centro. Mi sono sciolto di commozione quando anche questo modernissimo Wilds è stato annunciato mostrando le illustrazioni dei personaggi: chara-design sublimi ostentati con orgoglio, con la soddisfazione di un lavoro ben fatto. Gemma e Alma! Olivia e il suo gattone mercenario a pelo lungo Athos! No coglionazzi che strepitano nelle dirette video. Certo, quelli sono arrivati subito dopo, perché la promozione moderna non può prescindere da loro, ma è meraviglioso che ci sia stata una brevissima parentesi di innocenza e bellezza prima di aprire le gabbie delle scimmie.
Non parliamo poi dell'estetica di armi e armature: in questo gioco-mondo c'è dentro anche un “Fashion Hunter” che da solo è ragione sufficiente a versare infinite ore alla ricerca dell'abbinamento perfetto.
Anche l'estetica dell'ambientazione è sublime: un fantasy primordiale con inserti di tecnologia anacronistica che ormai è una miscela perfettamente mescolata, giapponesissima con sfumature heavy metal e steampunk. E la nuova cavalcatura! Il Seikret è un lucertolone agilissimo e piumato, personalizzabile nei minimi dettagli con amore infinito, che sembra uscito da un dipinto di Frazetta o Segrelles.
Peraltro, la modalità di controllo autonoma ne fa un essere senziente con una sua volontà propria, non la solita macchinina telecomandata. E questo amore infinito per i dettagli si riscontra anche nella nostra nuova Assistente, la Waifu Suprema Alma: sia lode ad Alma!
Ora ci affianca nella caccia ma tenendosi a prudente distanza, naturalista appassionata col taccuino sempre in mano, segretaria occhialuta e burocrate della Gilda, forse appena un filo troppo pedante, e ci accompagna con i suoi suggerimenti sempre pertinenti, premurosa come una mamma. La formula solenne con cui in nome della Gilda ci autorizza a cacciare il mostro di turno è già un meme immortale, è la materia stessa di cui sono fatte le sequenze formulaiche dei cartoni giapponesi seriali che sono stati il nostro imprinting infantile.
(Di Gemma invece parleremo in privato.)
Ah, sì, e poi si possono anche combattere i mostri.
Monster Hunter è tutto questo e ben di più: bisognerà che me lo ripeta spesso, se voglio giustificare il proposito autodistruttivo di Imparare a Giocare a Monster Hunter.
Una tentazione malsana, seducente per tutte le ragioni sopra elencate: il richiamo di questo mondo mi è quasi irresistibile. Mi trattiene solo l'avere un'esistenza terrena, delle responsabilità da adulto, e delle spoglie mortali che ancora mi legano al piano materiale. E poi c'è sempre la questione dei giochini che fanno bip-bop.
È dunque Monster Hunter uno dei giochini che fanno bip-bop? Un mero esercizio per i polpastrelli, una voragine di ore investite senza costrutto o arricchimento personale? No, non lo credo. Ho parlato della sua arte, di come i suoi gatti a pelo lungo e i suoi pranzetti allo spiedo siano un balsamo per l'anima, di come Monster Hunter sia un esercizio potente di volontà che ci insegna a vedere la bellezza nonostante tutti gli orrori della nostra esistenza.
Cosa può sussurrarmi dunque il demonietto tentatore sulla mia spalla sinistra, per darmi una giustificazione plausibile? Può essere la semplice soddisfazione di migliorare se stessi, o di imparare qualcosa di nuovo.
Può essere la calda sensazione di appartenere a una comunità, a una Tribù di cacciatori uniti solo da tenui collegamenti telematici, una sparsa dinastia di cacciatori professionisti, che sebbene solitari trovano nella caccia di gruppo un'esperienza comune... fosse anche solo la consapevolezza di aver speso una fetta importante delle nostre vite a fare lo stesso mestiere, a vivere negli stessi luoghi immaginari.
Guardare attraverso le dita
Ogni tanto devo trattenermi dal fare battute sull'Intelligenza Artificiale perché me ne vengono troppe e poi ho paura che crediate che ho una qualche ossessione. In realtà l'argomento mi è già venuto un po' a noia e sembra che dopo l'avvento di Deep Seek quantomeno gli intelligentoni dell'ambiente abbiano smesso di fare dichiarazioni clamorose ogni pié sospinto (e di chiedere quintali di soldi, risorse e anime per ottenere i risultati che millantano). Ci sono però ancora un sacco di aspetti grotteschi da scavare e quindi molte buone battute da fare, battute che non fanno ridere come le battute dei fumettisti veri e non fanno ridere nemmeno come certe risposte che l'Intelligenza Artificiale cerca di darti seriamente. Solo che quando ridi davanti alle risposte dell'Intelligenza artificiale mentre ridi ti prende anche l'angoscia e muori un po' dentro. Con FTR invece ridi più in serenità.
Ho incrociato su Multiplayer.it questo interessante spunto di riflessione. Ovviamente non giocando niente di moderno non è che mi sono trovato spesso di fronte a questa problematica, però, per esempio, ho visto come la compilazione degli shader gravasse anche i giochi per telefonino dipo ZezzuZizzaZa e che proprio quella latenza è stato uno dei motivi per cui l'ho abbandonato. Nell'articolo se ne parla come di un male necessario e ineliminabile però, tecnicamente, mi sembra un po' facile liquidare la questione così. Se Deep Seek, di cui abbiamo parlato sopra, è riuscita a ottimizzare l'addestramento di un'intelligenza artificiale così che capisca come ucciderci tutti più in fretta, credo che anche gli sviluppatori di videogiochi, ogni tanto, potrebbero prendersi un momento e chiamare uno di quelli che fanno le cose complicate e farsi ottimizzare i loro processi di basso livello. E' dai tempi del 486 (nel senso del piccì) che sappiamo che gli sviluppatori di videogiochi PC credono di poter lavorare a risorse infinite e quello che fanno con l'hardware è chiederti di comprarne sempre nuovo. Lo so anch'io che è costoso rendere un gioco efficiente anche su macchine meno potenti e tanto questa cosa mica si vede quando fai la presentazione online con i supercomputer raffreddati ad azoto, ma sarebbe comunque una pratica di lavorare bene.
Credo anche di aver già esposto qui il paradosso che è diventato sempre più evidente andando avanti con gli anni, ovvero che su un computer con prestazioni non ottime (come il mio) ormai conviente più dedicarsi a un triplaA che a un gioco indie. Perché il gioco indie sistematicamente non è ottimizzato e anche per farti vedere degli oggetti treddì che erano brutti nel 2005 ha bisogno di tutte le tue energie, il gioco triplaA, invece, se è fatto con un minimo di decenza, scala veramente quando abbassa i dettagli diventando persino fruibile (poi un giorno magari dovremo anche interrogarci su perché serva un ingegnere anche a scalarli sti dettagli, che nei menu della grafica ormai sono più le parole che non si capiscono di quelle che si capiscono e non si sa né se una cosa la voglio né se effettivamente è costosa.
Questo tipo di rant, lo capisco, sono propri di noi informatici che in informatica ci lavoriamo. Perché fuori dai videogiochi alla fine te lo chiedono di non ciucciarti tutte le risorse di un sistema quando costruisci qualcosa, perché lì i costi sono a carico della gente per cui lavoro e sono sempre costi esorbitanti. Insomma, si può fare, serve come al solito lo stimolo a farlo.
E' un editoriale di argomenti in ordine sparso come non ne facevo da tempo, però non sarà un editoriale in cui parlerò di Monster Hunter. Perché ne parla già abbondantemente Lo-Rez e perché, come avverte Lo-Rez, è un titolo che proprio si trova sul fondo della china tossica dei giochi tossici giapponesi in cui devi usarti del male per divertiti e non ho decisamente più modo di impegnarmi in qualcosa così. Quando uscì il capitolo 3DS, anni fa, e io ero in piena febbre 3DS devo ammattere che ero attratto, la demo (ai tempi giocavo persino le demo!) mi aveva incuriosito e l'idea di questo molto open e molto closed world in cui alla fine era sempre te contro il mostrose sembrava qualcosa di attraente. Passato l'attimo di fregola però credo sia passato l'unico treno sensato che potevo prendere per entrare nell'argomento, continuerò a stare bene così come sto. Come Lo-Rez anch'io mi interrogo su perché un gioco del genere abbia effettivamente successo e perché tutti ne parlino, ma questo è un mistero che non siamo ancora riusciti a penetrare nemmeno noi, che pure non abbiamo altro da fare che porci queste domande oziose.
Intanto Facebook mi dice che qualcuno ha fatto una specie di remake di Dune2 su Android. Non so i dettagli perché non clicco sulle pubblicità di Facebook, che poi portano le malattie. Rimane il fatto che una parte di me molto viscerale sente l'urgenza di installarlo e non capisce perché uno spettro del passato debba tornare in questa maniera. Ok, Dune è uno dei franchise che in questo momento sono in mungitura da parte di tutti, ma perché dovremmo di nuovo avere a che fare con gli insidious Ordos? Che senso ha far risorgere un prodotto del genere dal mondo dei morti? Ovviamente mi si è innescata la malsana idea di ricominciare a giocare a Dune: Imperium, che ho su questo PC a seguito di una delle mie antiche campagne di retrogaming. Fortunatamente non ho assolutamente tempo.
Editoriale in chiusura. Sulle intelligenze artificiali parleremo tra un bel po' in altri termini perché ho in lista da recensire un anime a riguardo, mentre per quello che riguarda serie TV e tutto il resto non saprei cosa consigliarvi. MUBI, la piattaforma dei cinefili fighetti, propone un documentario su Amleto dentro GTA. Dovrei guardarlo per parlarvene? Chi lo sa.
Cymon: testi, storia, site admin“Come nel mio primo giorno di scuola / Non so che faccio qui / Il buio è tagliato dalle luci viola / Il cielo fa come un glitch”