Scelgo di vedere la bellezza
“Non sono gli anni, sono i chilometri”, dice l'archeologo di Oxford.
E dunque lasciamo perdere gli anni, stendiamo un velo pietoso sugli anni, e concentriamoci sui chilometri: il nostro Occhio di Sauron personale, che ci spia dalla tasca del pantaloni, dice che quanto a km ho già ampiamente superato la Luna e sono a una certa frazione di strada verso Marte, tutto senza bisogno di miliardari alieni e delle loro astronavi.
Ma anche gli anni hanno il loro peso innegabile, ci pesano sul groppone e condizionano tutte le nostre opinioni, specialmente quelle su un'industria in continuo mutamento come quella videoludica. Questa settimana in teoria è stata parecchio importante per il settore dei videogiochi in Italia, dato che si è tenuta la manifestazione annuale che premia l'industria e in più è stato assegnato un bando statale di finanziamenti per nuovi sviluppatori di videogiochi italioti.
Buffo dunque notare che entrambi questi eventi sono passati completamente sotto silenzio nella stampa specializzata (figuriamoci all'estero!)... salvo Multi che ha prestato il suo canale streaming alle dirette patetiche e deprimenti dell'Italian Video Game Awards. Tanto sono tutti in vacanza in questo periodo.
Quest'anno alla solita cronica irrilevanza di tutto questo carrozzone si è aggiunta una robusta iniezione di itanglese che senza dubbio nelle intenzioni degli autori doveva proiettare la manifestazione sui palcoscenici internazionali... e invece è riuscita solo a renderla più patetica. Per parlare in inglese, infatti, occorre conoscerlo e conoscere pure l'italiano: non è facile! Non fatelo più, grazie.
L'apoteosi della sfiga, del cringe manco stessimo guardando una diretta di una che cavalca un unicorno gonfiabile nella piscinetta su Twitch, è stata la premiazione del Gioco Italiano dell'Anno (perdonate se lo dico in italiano): un titolo che probabilmente è stato dimenticato dal suo stesso autore il giorno dopo averlo pubblicato. Né Multi che ospitava l'evento, né alcun altro sito italiano hanno mai recensito o anche solo citato questo Gioco dell'Anno.
Uffff! Devo controllare la respirazione, ma dubito che anche se seguissi l'allenamento di Sirio e mi mettessi a meditare sotto una cascata gelida per tre giorni riuscirei a controllare lo sdegno.
Ma l'industria videoludica italiana c'è: c'è e produce roba dignitosa, a tratti persino buona (come Mario+Rabbids della sede milanese di Ubisoft, per quel che vale, o come Assetto Corsa e i giochi di guida di Milestone). Non si merita un trattamento del genere.
Quanto al secondo evento della settimana, il finanziamento statale, ehm... no, non ce la faccio. Ho una dignità, e non mi abbasserò ora a commentare una cosa del genere, dopo vent'anni di onorata carriera sul primo webcomic italiano dedicato ai videogiochi.
Meglio chiudere qui, prima di scivolare ancora più a fondo in un abisso di amarezza e veleni: la missione ventennale di questo sito, infatti, è di volare alto sopra le umane miserie. FTR non si merita questo abbruttimento... scusa, coniglio caro.
Questo sito, come certi androidi maltrattati, sceglie di vedere la bellezza nonostante tutto. Cieli blu eccetera, trallalla-la-la-la!
In futuro a dire il vero dovremo affrontare una certa polemica riguardo a certi pixel antichi in procinto di essere restaurati; ma prometto che, se mai arriveremo a scrivere quell'editoriale, Sceglieremo di Vedere la Bellezza.
La giusta distanza
Più recente è nato lo sviluppatore da smartworking, quello che con abilità sa calcolare i tempi della riunione online e, senza dire niente, stacca il video, si toglie le cuffie, e sgattaiola al bagno, ritornando senza che nessuno se ne sia nemmeno accorto. Cosa non si fa con la tecnologia, oggi.
Avete mai sentito parlare di Six Days in Fallujah? Io ammetto di aver attraversato la sua strada solo recentemente. E' uno sparatutto tattico militare come si fanno oggi, non certo uno di quei generi che fa gridare al miracolo, ma la sua storia è un po' più complicata di quello che sembra e degna d'attenzione (dove attenzione è un mio editoriale un po' pesantino eccetera eccetera).
Il progetto nasce intorno al 2009 e a complicare il suo percorso tanto da non permettere di avere il gioco realizzato ancor oggi è il preciso intento dichiarato nel titolo, ovvero rappresentare la battaglia dei sei giorni di Fallujah, un evento a dir poco controverso, che ha visto la morte di molti soldati americani e di molti civili iraqueni, ma è stato anche teatro di veri e propri crimini di guerra, quali, per esempio, l'utilizzo di bombe al fosforo (come nostro stile non approfondiremo oltre il fronte della realtà, andate a documentarvi pure come preferite. Quello che conta qui è il riflesso sul mondo dei videogiochi).
Lo sviluppo del videogioco, visto il tema, ha quasi da subito incontrato numerose polemiche e stavolta, sebbene ci siamo sempre schierati dalla parte della libertà espressiva, mi sembra che possano essere giustificate. Non solo il 2009 era un anno in cui ancora lo scenario mediorientale era terribilmente caldo, ma l'evento preciso di cui si sarebbe dovuto occupare lo shooter portava con sé un tale carico di problematiche che difficilmente si poteva lasciar stare. Alla fine, con lo scaldarsi del dibattito, il gioco venne messo in stand-by e rimane dormiente per anni fino a tornare tra gli announced praticamente quest'anno, riesumando, intatto, il suo carico polemico.
Di articoli recenti mi interessa riportare qui questo e questo. Il secondo articolo è quello che mi ha dato spunto per informarmi della vicenda quindi il link era doveroso, mentre il primo mi ha un po' stranito per il curioso tono che tiene inizialmente. Tamte, padre effettivo del gioco, viene descritto come qualcuno che voglia raccontare qualcosa alla generazione videoludica sulla scorta di vicende che arrivano persino al personale eppure il suo racconto sembra non voler toccare la tridimensionalità (a dir poco) della vicenda, ma riprodurre solo quella dicotomia buoni/cattivi, nostri/loro che alla fine è la storia tramite cui siamo abituati a processare gran parte degli eventi militari e, soprattutto, sembra voler sorvolare su tutti i lati oscuri del conflitto, tra cui per l'appunto l'uso di armi illegali che abbiamo riportato sopra. Per queste ragioni che chi dice che il gioco sia solo propaganda filoamericana e che, al di là della sua qualità realizzativa, stava bene nel limbo dei vaporware.
E' una questione tosta, su cui si può riflettere su più piani, su cui fa bene riflettere, se vogliamo considerare il media del videogioco come qualcosa di maturo, addirittura "utile" e se vogliamo cominciare a vederlo anche lui tra quegli attori capaci di manipolare il nostro immaginario e, perché no, le nostre opinioni.
Il primo punto da porre è che la responsabilità di tutte le polemiche che sono sorte intorno a Six Days è del titolo stesso e dei suoi autori nel momento in cui hanno deciso non solo di trasportare in videogioco un certo modo di combattere, certi scenari di guerra e certe dinamiche tragiche, ma hanno anche deciso di marcare il loro lavoro con un preciso evento storico, con un evento vero, azione che ribalta completamente le prospettive sull'argomento. Lo stesso gioco senza precise coordinate geografiche e temporali dal mio punto di vista avrebbe potuto prendersi tutte le libertà che voleva e essere realizzato nel modo che meglio credeva. Il modo in cui si pone nei confronti della realtà cambia invece drasticamente le prospettive.
E' possibile quindi per un videogioco raccontare un evento di guerra controverso, prendere una posizione, fare politica e intervenire in un dibattito contemporaneo? Potrà infastidirvi, ma secondo me la risposta è: no.
Qualsiasi scienza sociale si basa sull'equidistanza, sulla capacità di mettere in linea le ragioni di tutti gli schieramenti e, di solito, accettare il fatto che non esistano dei buoni o dei cattivi. Questo solitamente è anche favorito dalla distanza (temporale e geografica) dagli eventi di cui si sta parlando, ma non solo. Ci sono anche strumenti che permettano di essere oggettivi, strumenti complicatissimi da usare. Quando vuoi fare un videogioco nel 2009 su degli eventi del 2004 su cui poi sono stati realizzati reportage del genere quello di cui avresti bisogno per raccontare con dignità il contesto è qualcosa che, semplicemente, non puoi possedere per ragioni strutturali. Un videogioco polarizza le posizioni, perché ti mette nei panni di qualcuno e in quei panni vuole farti vincere, un videogioco semplifica e distorce l'azione perché renderla videoludica, un videogioco non può soffermarsi sugli aspetti rilevanti, può solo soffermarsi sugli aspetti che sono funzionali alla "missione" che ti affida (questo al netto di tutti gli approcci indie moderni, precisazione da fare, ma abbastanza scontata visto che parliamo di un FPS).
Quello che un videogioco può fare è trasmetterti sensazioni viscerali, metterti in condizioni di disagio, spiegarti magari dei punti di vista dal basso che possono arricchire la tua percezione su un argomento, ma non possono darti una visione strutturata e completa di avvenimenti. Quella visione viene solo allontanandosi, come prospettiva, dagli eventi stessi, mentre il videogioco, per sua stessa natura è finisci letteralmente in mezzo.
Per questo anche voler parlare per Six days di propaganda secondo me è eccessivo. Parliamo di goffaggine, parliamo del fatto che qualunque guerra diventa propaganda passata in mezzo ai videogiochi perché nei videogiochi c'è qualcuno che deve solo vincere perché ha ragione e nessuno che si fa (veramente) male e cos'altro è questo se non il racconto della guerra che fa la propaganda? Ma, d'altronde, parliamo solo di videogiochi (e questa locuzione qui la dobbiamo usare) non possiamo chiedergli di più.
I videogiochi, in conclusione, come chiede anche l'articolo che ho linkato, possono fare politica? La realtà è che invece si, i videogiochi possono fare politica, ma non possono fare politica attraverso il racconto immersivo e la ricostruzione storica. Devono imparare altri mezzi.
Cymon: testi, storia, site admin“Let's discoteque right at my home. / It is ok to dance alone. / Dance alone, dance alone, dance alone, dance alone / I got the moves - it's gonna blow.”