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1171, 06/07/2024 - Scrivere senza leggere
1171
06 . 07 . 2024

La sofferenza è una scelta

Il dolore è inevitabile, nelle maratone di Murakami come nei giochi di Miyazaki come nelle nostre vite stesse, che a volte sembrano scritte da Miyazaki con la consulenza di Martin.
Ma soffrire o meno sta a noi: dipende tutto dall'approccio. La sofferenza, dunque, è una scelta: affermazione forte! Per tanti suona come una beffa crudele, se si sentono sconfitti dalla vita. Ma limitiamoci a Elden Ring, almeno qui.

Oggi voglio concludere questo trittico di editoriali sulla difficoltà e sul dolore e la sofferenza che questa provoca (o meno!). Poi passeremo ad altro, che è finalmente estate!
Limitiamoci dunque a Elden Ring. E alla sua espansione, naturalmente, che fin dal suo immaginifico ed elegantissimo trailer mi ha conquistato. Sono settimane che ne parlo: è diventato ormai il gioco più bello che non ho mai giocato.
Elegante mi pare la definizione più appropriata: da tempo vado ripetendo che all'ombra dell'Albero Ombra c'è un'arte “alta” come raramente viene impiegata per fare videogiochi: un'arte colta e raffinata, piena di rimandi e citazioni colte e alte alla musica, alle belle arti, all'antropologia e alla filosofia e alla storia del nostro mondo reale.
Elden Ring è una visita al museo; gli open world “larghi un chilometro e profondi un centimetro” (sarà la definizione dell'anno) sono un'abbuffata al fast-food, patatine fritte con l'11% di patata e il resto sono zuccheri e sale e aromi artificiali.
Cosa ti resta, dopo un'esperienza o dopo quell'altra? È una domanda che, diventando schifosamente vecchio, mi faccio sempre più spesso. Più in generale, oramai quello che mi guida nella scelta dei giochi da giocare oppure da lasciar stare è un criterio: mi lascerà qualcosa? O è solo una mungitura di dopamina, serotonina ecc., un bip-bop bip-bop senza costrutto?

Perché i bip-bop senza costrutto andavano bene quarant'anni fa, quando Space Invaders e Centipede erano l'apice del videogioco e noialtri o non eravamo nati (perfino noi!) oppure avevamo una testolina per cui i bip-bip andavano benissimo.
Ma poi nostro malgrado siamo cresciuti. E i videogiochi sono cresciuti con noi. È giusto che i bimbetti di oggi si trastullino con i bip-bip di oggi: con i Fortnite e i Forza e i Fifa e i Call of Duty. Ma queste sono esperienze piuttosto sterili, che quando metti giù il joypad non ti restano attaccate, ma evaporano subito lasciandoti libero di vivere la tua vita da giovinetto sano e funzionale nella società.

No, noialtri ormai siamo assuefatti da quarant'anni al videogioco, e cerchiamo roba molto più forte. Roba che non riesci a lavar via facilmente, che ti resta addosso tuo malgrado e ti ossessiona nei momenti meno opportuni. Non cerchiamo più “giochi” ma possessioni demoniache.
Roba che ci fa uscire dal nostro corpo e dalla nostra vita per trasportarci altrove. Storie che ci fanno emozionare come e più della vita vera. Visioni artistiche e colonne sonore che ci arricchiscono come sa fare l'arte: nulla di meno.

Per questo cerco di dedicare il mio tempo sempre più rarefatto a giochi che possono trasmettermi qualcosa di permanente, che diventi parte di me. La coordinazione oculo-motoria, ormai, è passata in secondo piano.
E dunque ecco perché Death Stranding è il gioco che fa per me (mi pare che ne abbiamo già parlato un po'...). O (scendendo molti cieli più in basso) una fiaba cattiva dipinta ad acquerello come Little Goody Two Shoes, oppure, ehm, walking simulator come Indika (suore ortodosse con visioni poco divine) o The Invincible (praticamente il romanzo di Lem trasferito in audio e video).
Quanta fatica ho fatto a giustificare a me stesso il tempo passato con Dave The Diver, il mio gioco dell'estate scorsa! Quello è proprio al confine tra l'esperienza che ti dà qualcosa e la voragine di tempo senza costrutto né scopo.

Se il criterio è questo, capite quanto diventa difficile per me dedicarmi a un gioco difficile. Non mi interessa allenare i riflessi alla dura palestra di Sekiro: mi piacerebbe sì accedere alla sua direzione artistica meravigliosa, ma mi sembra tempo buttato investire ore per imparare a pigiare i tastini nel modo giusto e usare gli strumenti giusti al momento giusto.
Lo stesso vale per Elden Ring: quando hai fretta perché vedi sulla tua testa il contatore dei giorni che ti rimangono, come il protagonista di Death Note, cominci a spazientirti con i giochi che pretendono un investimento importante. Anche se, come abbiamo già capito, l'investimento di tempo è la ragione stessa della forza di questi titoli e della presa che hanno sulla gente. Lo stesso panorama di veli metafisici che drappeggiano l'Albero Ombra al centro del mondo, non avrebbe lo stesso sapore se non dovessi faticare così tanto per guadagnarti ogni singolo metro, ogni secondo di quiete.
Ma se uno si accontenta, esistono oggi tanti modi di spaccare la dura scorza di un gioco come Sekiro o Elden Ring per succhiare il suo nettare artistico, seppur per interposta persona. La mia salvezza!
Detto questo, forse un pensierino potrei farlo, su un gioco difficile che davvero se lo merita. Ad esempio mi è successo per Hollow Knight: in quel caso la sola permanenza nel suo mondo è occasione di arricchimento per l'anima.
Ma in generale per me niente più bip-bop e clic-clac.

Lo-Rez: arte, storia, web design
06 . 07 . 2024

Scioglievolezza

Una strip dedicata alla scrittura creativa, creata direttamente in quel di Cattolica, al Mystfest dove ho avuto come ogni anno il piacere di andare a rivedere vecchi amici e scoprire nuove cose. Quest'anno, certamente, l'evento clue è stato l'incontro con il regista Abel Ferrara, che non ho mai seguito moltissimo, ma che, vista la sua lunga carriera, ha detto cose molto interessanti. Sicuramente ho visto, tempo fa, il suo film più famoso, Il Cattivo Tenente, di cui però non ho moltissimi ricordi, mentre in sede ho potuto vedere per la prima volta The Addiction, un film di vampiri molto particolare che, proprio perché è particolare, potrebbe non piacervi, ma che vi consiglio comunque di vedere.
Sempre riguardo il fronte cinematografico della manifestazione (non l'unico) ho potuto godermi in sala Perfect Blue, il primo lavoro di Satoshi Kon, che è un thriller molto solido, ma è anche molte altre cose. In un certo senso è anche una sbirciatina nel cuore scuro dei media, in un'epoca in cui ingenuamente credevamo che esistessero certe barriere, esisteva un solo tipo di maghette e l'internet poteva già fare molto male, ma a 56k ci metteva un tempo terribilmente lungo per riuscirci.
Oltre a questo libri, concorse, cose da fare, cose da sperare e tanto altro, ma non voglio annoiarvi parlando di me.

Luglio è arrivato, è quel mese di transizione davanti a cui non sappiamo mai come porci. Gli studenti sono in vacanza, ma noi lavoratori no. Noi lavoratori vorremmo essere in vacanza e invidiamo gli studenti però intanto, come lavoratori, ci piace un po' di più andare a lavorare perché non ci sono gli studenti. Sapete poi com'è il clima, di questi tempi. Fa molto caldo, fa caldissimo, fa freddo, d'un tratto il paesino in cui ti trovi viene spazzato via dalla tempesta, cose così. Quando il periodo si fa così molle io comincio a installare giochi a caso e questa è una pratica più tossica che altro. Sto sforzandomi di rimanere concentrato su Fallout - New Vegas anche se non sento più la fregola di macinare ore Warhammer 40k - Mechanicus che è veramente un buon strategico che però sul mio computer pecca di fluidità, facendomi perdere la pazienza. Ho anche provato The Falconeer recentemente regalato e questo ha portato all'evento incredibile del surriscaldamento del mio PC. Incredibile perché, diciamocelo, non fa ancora così caldo da credere che la temperatura non sia sopportabile per le macchine e non penso nemmeno che il gioco fosse così esono di risorse da mandare tutto il mio hardware a cannone (ovviamente i dettagli erano stati abbassati già in partenza). Scando equivoci è da un triste evento di alcuni anni fa che tengo il PC su un catafalco rialzato e ventilato, per cui ho deciso di attivare queste ventoline supplementari quando gioco. Di certo male non fanno.

E' solo un anno che ci siamo abituati a stare senza E3 e la fiera già mi manca. L'estate non è mai stato periodo di grandi uscite videoludiche, ma è sempre stato il periodo caciarone delle promesse impossibili, dei giochi che devono uscire e delle grandi scommesse. La mia impressione (molto parziale) è che quest'anno ci sia un po' di paura a esporsi, dopo una stagione di licenziamenti, emorraggie e fallimenti non si riesce più a vivere l'estate con la corretta spensieratezza che servirebbe per guardare al futuro. Potrebbe essere sano che ci sia un momento di riflessione, ma di certo come ci siamo arrivati non ci fa stare troppo allegri.

Ah! E' un editoriale estivo questo e vi sto tenendo ancora qua? Terribile. Prima di lasciarvi un interessante articolo sullo stato delle maghette. Non concordo su tutto, per esempio si parla di ironic parodies quando il genere di riferimento più corretto, a mio parere, è il grottesco, ma aiuta a farsi un'idea su come funzionano i mercati e le immagini anche al di là delle avventure narratologiche degli autori.
Detto questo tornate pure a spalmarvi la crema solare.

“All day, every day, therapist, mother, maid / Nymph, then a virgin, nurse, then a servant / Just an appendage, live to attend him / So that he never lifts a finger / 24/7 baby machine / So he can live out his picket fence dreams / It's not an act of love if you make her / You make me do too much labour”

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