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1170, 29/06/2024 - Nutrizionista
1170
29 . 06 . 2024

Il dolore è inevitabile

“Il dolore è inevitabile, ma la sofferenza è opzionale”.
Murakami parla di correre le maratone, ma è una riflessione che si può applicare anche alle opere di Miyazaki.
La volta scorsa giungemmo ad un'epifania: nei momenti più difficili dello straziante DLC di Elden Ring, quando la difficoltà si impenna a livelli folli, ci sembra di vedere soltanto un paio di impronte sulla sabbia... non è che Miyazaki ci lasci soli in quei momenti, ma anzi ci carica in spalla, e quelle impronte sono le sue...!

Il famigerato DLC di Elden Ring tiene banco nel dibattito popolare ancora oggi a un paio di settimane dall'uscita, il che è un record strabiliante per una generazione affetta da deficit patologico dell'attenzione! Si vede che è arrivata l'estate e gli argomenti videoludici scarseggiano.
Per qaunto detesti essere prevedibile, mio malgrado anche questo editoriale ruoterà intorno all'argomento. Dannazione! Non che io abbia racconti viscerali ed edificanti di allenamento intenso della volontà, superamento dei limiti e miglioramento di sé... io mica la gioco davvero, sta roba. Sono vent'anni che su queste pagine dico di essere un videogiocatore pensionato, figurati se oggi che ho pure un anno in più getto via le stampelle, raddrizzo la schiena e all'improvviso mi faccio 177 tentativi consecutivi di battere Messmer.
Tanto varrebbe unirmi a Murakami per correre la 100km.

No, le mie riflessioni sono altre. La prima è dettata appunto dalla vecchiaia: noialtri qui siamo assisi su una torre altissima e solitaria, e dall'alto scrutiamo il mondo dei mortali. E saremo ancora qui quando questo tempo passerà, come tutti i tempi passano. Abbiamo vissuto un'infanzia videoludica rossa di zanna e artiglio, e siamo testimoni di un'epoca in cui il DLC di Elden Ring sarebbe stato considerato sì molto difficile, ma senza scandalizzare nessuno. Finire Metal Slug o Ikaruga con un credito (o una manciata), ma anche scoprire da soli certi segreti nei livelli di Quake, o perfino orientarsi nelle profondità dei meccanismi di Final Fantasy VI o Dragon Quest VI senza aver tra le mani una guida strategica in una lingua comprensibile... era così la vita del giocatore medio, anche senza scomodare titoli già famigerati per l'epoca come Ghosts'n'Goblins.
Ma una volta il giocatore medio apparteneva ad “una sparsa elite di solitari”, selezionato da una Natura feroce, dotato di un surplus di concentrazione e di altre attitudini peculiari che lo rendevano una macchina da gioco perfetta. Oggi giocano tutti, dai bimbetti a vostra zia sessantenne. Il videogioco si è dato a tutti in tutte le forme possibili: e dunque sì, Elden Ring e il suo DLC si trovano ad un'estremità dello spettro dei giochi moderni, mentre trent'anni fa si sarebbero confusi nella massa.
Il DLC di Elden Ring non è fatto per vostra zia, che ha già tanti pensieri per la testa, povera donna, e non ha certo i nervi per sperimentare quattro ore con diverse build per affrontare un certo dungeon. Pieno di segreti. Senza mappa. E non è fatto nemmeno per una generazione di ventenni tenerissimi cresciuti tra i soffici guanciali di Assassin's Creed e tutti gli altri “open world” larghi un chilometro e profondi un centimetro, annacquati come acqua sporca, come un minestrone per maiali, senza pazienza e senza voglia, in fondo, di trovarsi lì.

Tutti possono fare un gioco difficile tanto per, buttato lì come un meme per una sfida impossibile. Ma fare un bel gioco difficile è molto più difficile che fare un bel gioco semplice. Perché se è difficile e basta, come potrà essere accolto da una generazione che si spazientisce se un video di TikTok dura più di 5 secondi? E invece Elden Ring e pochi altri titoli eletti, come il mai dimenticato Hollow Knight, hanno saputo costruire un'esperienza tanto affascinante da ipnotizzare 25 milioni di persone come una falena attratta dalla fiamma.
Questo fascino è un effetto emergente dalla somma di tanti piccoli fattori regolati alla perfezione. Per fare un Elden Ring serve una ricetta complicatissima. Se pensiamo che giocare un soulslike sia difficile, immaginiamoci quanto è più difficile crearlo. Basta sbagliare una curva di progressione matematica e la gente si sentirà frustrata e tradita. Per spingerti a padroneggiare un sistema di combattimento bisogna che questo combattimento sia interessante. Largo un centimetro ma profondo un chilometro.
E vogliamo parlare dell'arte? L'arte non parla a tutti, figuriamoci, ma io voglio sperare che non siano pochi quelli che restano tenacemente attaccati al joypad non solo per una questione di orgoglio o perché i combattimenti sono divertenti e i salti platform sono divertenti... ma perché quello che si vede sullo schermo è affascinante. Abbiamo già parlato dell'arte altissima e coltissima di questo DLC: un sontuoso arazzo di suoni e immagini e suggestioni “alte”. Più alte del solito.
Shadow of the Erdtree poteva fermarsi a mezzo chilometro di profondità, e lo avrebbero acclamato comunque come un capolavoro: e invece il maestro Miyazaki e i suoi monaci acrobati hanno speso lacrime e sangue ben oltre la chiamata del dovere, per scavare fino a un chilometro spinti solo dall'amore per un lavoro ben fatto. È tutta una questione di rispetto. La gente percepisce il rispetto, anche nella mano che la bastona, e il rispetto ispira rispetto.

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29 . 06 . 2024

Carta alta vince

Per la nazione di High Card si aggira un mazzo fatto di carte da gioco capaci di donare a chi le possiede poteri straordinari. Visto che queste si sono sparse ovunque in modo irrazionale proprio l'organizzazione che dà il nome alla serie, al servizio della famiglia reale, deve rimettere la situazione sotto controllo, anche a costo di scontrarsi con la banda criminale di Ban Klondike e altre forze ancora più oscure.

Abbiamo sempre elogiato la contaminazione completamente casuale che a volte coglie le serie giapponesi. In High Card si respira l'atmosfera british (perché il regno è l'Inghilterra dai) di alcune serie TV che hanno fatto la storia della televisione come The Avengers (quelli originali del '69) ma anche progetti più recenti ma sempre debitori del regno unito come il mai abbastanza amato Kingsmen. Questo però non gli vieta di essere pieno di ganassate di tipo strettamente anime, con le vestizioni dei vari personaggi, i poteri assurdi e i combattimenti tra titani che schiantano le città. Mette in difficoltà questa commistione, perché l'anime non è propriamente un shonen (solo il protagonista è minorenne) o un seinen, non ha l'accento sul combattimento come un qualsiasi Dragon Ball, ma allora dove ce l'ha?

High Card si sviluppa su due cur abbastanza coerenti. La prima aiuta a definire quello che è il maggiore punto di forza della serie, ovvero il rapporto tra Finn e l'immortale rubacuori Chris mentre nella seconda parte i nodi vengono al petto sia riguardo i segreti che nascondono questi personaggi sia quelli di tutti gli altri, fino ai complotti che rischiano di mettere in pericolo la stabilità della nazione. Non c'è veramente niente che non va nella serie, che è anche tecnicamente piuttosto valida e presenta anche queste splendide carte da gioco che per i loro tocchi di classe sarebbero da comprare se le vendessero. Il problema è che i suoi riferimenti funzionano nei prodotti originali perché sono maledettamente british e un anime non potrà mai essere abbastanza inglese per fare leva su qualcosa del genere. Il risultano, in gran parte, è uno scimmiottare qualcosa di irraggiungibile che, allo stesso tempo, diventa un freno a uno sviluppo più genuinamente in sintonia col media.
Mi sembrano sempre più frequenti questi prodotti che andando a pescare fuori dagli ambiti di riferimento propri degli anime poi si ritrovano interdetti, pavidi, incapaci di dare fondo a tutte le loro possibilità, bloccandosi in un perenne stato di indecisione. High Card è tutto questo e sebbene la scrittura brillante riesca a rendere divertenti i filler e i drammoni ti tirino fuori il magone a forza dalla gola le vette a cui siamo abituati dagli anime che ci redono sono troppo lontane per farcelo promuovere veramente.
High Card è un anime di macchine veloci, giacche di buon taglio e coppe di champagne, ma è anche, inspiegabilmente, una saga di cavalieri fantasy, maghi e profezie. Da un punto di vista esterno questo non è molto diverso da ciò che è l'Inghilterra, tesa tra gli atteggiamenti stylish e re Artù, ma la realtà bilancia gli elementi proprio perché è reale e perché l'Inghilterra è l'Inghilterra. Un mondo fittizio che cerca di fare altrettanto non può che risultare posticcio.

High Card si adagia comodo comodo sui suoi 24 episodi in cui esaurisce per bene la sua storia. In realtà alcuni flashback e alcune rivelazioni finiscono con l'essere un po' flosce o arrivano nel momento sbagliato, ma tutta la storia si chiude con completezza. E' l'ennesimo lato positivo di una serie che non è da sconsigliare, ma nemmeno è così importante da tenere in considerazione e prioritizzare nelle vostre playlist. Se guardate veramente tanti anime guardatelo, vi piacerà. Solo non vi piacerà tantissimo.

“ And don't tell me you're sorry 'cause you're not / Baby, when I know you're only sorry you got caught / But you put on quite a show (Ooh, oh) / Really had me going / But, now, it's time to go (Ooh, oh) / Curtain's finally closing / That was quite a show (Ooh, oh) / Very entertaining / But it's over now (But it's over now) / Go on and take a bow ”

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