Sono Pazzi Questi Giapponesi
Proprio quando ci eravamo rassegnati a pensare che il mese più dolce dell'anno avesse cambiato carattere, ecco che settembre ci inonda di Grazia con la sua luce gentile, perfino ancora caldina, sia pure tra notti tempestose...
Dall'altra parte del globo terracqueo, nella baia di Tokyo, dove gli alieni hanno parcheggiato un disco volante chiamato Makuhari Messe, le genti celebrano il rito stagionale del Tokyo Game Show, offrendo sacrifici umani alle divinità videoludiche.
Come ogni anno, i potenti mezzi telematici che sono appannaggio esclusivo della Tana del Coniglio permetteranno a noi, qui su FTR, di stilare un reportage completo di quanto è stato presentat-... No: tutto questo avviene forse in altri universi, altre dimensioni parallele. Però anche qui è ben vero che da ventitre anni subiamo il fascino della fiera d'Oriente!
E come potrebbe essere altrimenti? “Sono Pazzi Questi Giapponesi”, dice il vecchio adagio, ed ogni immersione nella cultura di nippolandia ci lascia sconvolti & esterrefatti, anche dopo ventitre anni, e dopo esser stati esposti fin da piccini ai loro perversi cartoni animati, e dopo che questo nostro stesso corpo è stato per diverso tempo su quell'isola.
Chi, tra i sani di mente, avrebbe detto ad esempio che, dopo anni di declino, la gloriosa SNK avrebbe avuto - oggi - la forza di aggiudicarsi una collaborazione ricchissima (?) come questa per avere Cristiano Ronaldo in Fatal Fury City Of Wolves (???).
Una cosa così me la sarei aspettata nel 1995 (magari in World Heroes), e sarebbe stata buona e giusta.
Oggi, che SNK non ha più nemmeno gli occhi per piangere, ed è dominata da quel Principe delle Tenebre che è il principe saudita... oggi suona come una bizzarria. Ma forse proprio il principe saudita è la chiave per interpretare questo mistero: ora che ci penso, anzi, riesco a connettere molti puntini di un sinistro intreccio geopolitico.
E anche l'edizione 2024 del TGS ci conferma che possiamo sempre contare su SEGA per produrre idee pazzeschissime, che in retrospettiva non avevano la benché minima possibilità di successo... ma il bello dell'isola fatata di Nippon è che, se ci credi forte forte, tutto può avverarsi!
Dunque ecco, ehm, Like A Dragon Gaiden: Yakuza Pirates in Hawaii.
Contempliamo questo titolo in tutta la sua gloria. Ci vorrà qualche minuto.
Eppure, per chi è addentro ai sacri misteri di SEGA e della sua serie di punta, quella che porta il pane in tavola, tutto ciò non è affatto una sorpresa ma anzi è un passaggio logico e prevedibile. Da tempo ormai la serie Like A Dragon si è assestata su una formula solidissima, messa a punto per massimizzare l'efficienza economica: capitoli principali belli grossi (e a turni!), inframmezzati da questi titoli “gaiden” (d'azione pura), minori come ambizioni e con una trama che funge da collegamento tra i titoloni grossissimi.
È la fiera del riciclo, naturalmente: asset, scenari, modelli dei personaggi... SEGA stessa ha dichiarato nelle interviste di essere stupita che altre case non seguano questa strada, visto che permette di risparmiare un bel po' di costi di produzione... e magari di non finire a zampe all'aria, vero Ubisoft?
Ma io qui sto solo ingannando il tempo. È chiaro, per chi è stato testimone della nostra consumante passione per Death Stranding (e dico “nostra” per davvero, stavolta), che in questi giorni tutti gli occhi sono puntati su di Lui.
Il Maestro gioca in casa, e ha tenuto un approfondimento di 90 minuti (!?) su Death Stranding 2, che però mentre scrivo non ho ancora visto, anche perché non mi risulta sia stato tradotto in una lingua comprensibile.
E allora consoliamoci con questa fantasmagorica collaborazione tra Kojima e ACRONYM, che ha prodotto una variante del bomber imbottito J91-WS marchiata Bridges e a quanto pare disegnata da Yoji Shinkawa. Come già avvenuto per il primo titolo, anche stavolta si tratta di capi indossati realmente dai personaggi all'interno del gioco... Uhm, ma forse allora siamo noi a indossarli “realmente” da questa parte dello schermo, o... ma insomma, ad ogni modo sia Sam Porter Bridges che il nuovo personaggio della diva asiatica (svelato or ora) indossano la stessa giacca riprodotta nei minimi dettagli nel mondo reale e viceversa, e prodotta dalla casa d'alta moda techwear di Errolson Hugh (il pelatone in posa con Kojima).
Di ACRONYM abbiamo già parlato spesso su queste pagine, perché ebbi la sfortuna (!) di infatuarmi del marchio ben prima che apparisse in Death Stranding.
Naturalmente la giacca è andata esaurita in pochi minuti nel cuore della notte, e non tornerà mai più ufficialmente: ma il viaggio leggendario di questo capo inizia solo ora, e proseguirà per decenni tra le bancarelle di conoscitori e appassionati in ogni angolo del mondo: una sparsa dinastia di solitari riuniti attorno a una sottocultura del vestiario d'autore (di cui fa parte William Gibson e che ha ispirato la sua trilogia della Blue Ant).
Sono spuntati tanti giochetti carini o anche meravigliosi intorno alla fiera, simbiotici come uccellini sul dorso dell'elefante: molti sono disegnati con i pixel in bella vista (ma non troppo), proprio come piace a noi, e speriamo che troveranno il loro spazio.
Lo-Rez: arte, storia, web designMaghette adulte
E' il 2004 e siamo nel pieno del rinascimento delle maghette. Sailor Moon è finito nel 1997 cambiando il mondo degli anime per sempre. Da lì lo scettro della maghetta più amata è forse stato preso da Cardcaptor Sakura, dell'anno dopo, ma intanto sono fiorite diverse altre serie come Tokyo Mewmew (2002) e Mermaid Melody (2003).
Il 2004, però, è l'anno in cui Toei decide di avviare un progetto in un certo senso un po' più viscerale, un po' più vicino al modello originale di Sailor Moon in cui però allo stesso tempo certi aspetti sono sottolineati con più forza: le protagoniste sembrano ora veramente delle ragazzine delle medie, i combattimenti in cui sono coinvolte mostrano molta più violenza e capita spesso che loro stesse ne escano malconce. La serie è chiamata Pretty Cure (si) e anche sul piano della vita personale è un po' più sfaccettata, ponendo anche le basi di un vero e proprio rapporto yuri tra Nagika e Honoka oltre a dare una visione più tridimensionale della vita scolastica, questo nonostante il nemico sia ancora reso in modo buffo e un po' pagliaccesco.
Pretty Cure è un grandissimo successo, dopo avere esaurito la storia delle due ragazzine in due stagioni Toei ha un'idea semplice, ma efficace: facciamolo ancora. Presenta quindi Splash Star con due nuove protagoniste imbarazzantemente simili a quelle precedenti e con una storia altrettanto fotocopiar. Eppure sembra esattamente il more of the same richiesto dalla gente. Quindi? Quindi quando anche quella serie è finita facciamolo ancora. E ancora. E ancora.
Forse non ne avete percezione perché RAI DUE non le trasmette più alle 7 e 30 di mattina oppure non ne ho percezione io perché non guardo più RAI DUE alle 7 e 30 della mattina, ma il fenomeno Pretty Cure (da ora Precure) va avanti ininterrottamente dal 2004, rendendo Toei, de facto, il monopolista delle maghette propriamente dette, una presenza ingombrante e difficile da contrastare per gli altri editori. C'è persino chi ipotizza che la deriva dark di Madoka Magica e tutto il resto di cui abbiamo estesamente parlato qui sia in realtà una reazione a questo fenomeno, un tentativo di sfuggire dalle sue avide grinfie.
In un certo senso il franchise Precure è qualcosa di più forte persino di Gundam, che pur essendo in giro da molto più tempo non può vantare una striscia altrettanto lunga di pubblicazioni ininterrotte e comunque per rimanere a galla ha dovuto spesso innovarsi, evolversi e cercare di interpretare il sentire del momento, come è accaduto anche nel recente Witch of Mercury.
Per festeggiare il ventennale della sua nascita, Precure ha deciso di proporre Power of Hope - Precure Full Bloom, perché questo è si un editoriale accademico sulle maghette, ma anche un receditoriale.
Power of Hope riprende i personaggi della quarta serie Precure, Yes! PreCure 5, la prima in cui si usi esplicitamente il termine precure e dove il gruppo di maghette è portato ai canonici 5 membri delle altre serie, solo che presenta le protagoniste esattamente a 16 anni dagli accadimenti della storia e quindi adulte, intente a barcamenarsi con la loro vita lavorativa e ormai prive di superpoteri. E' questo il motivo per cui ho deciso di vedere la serie (e evitare la dozzina abbondante precedente), perché lo spunto di vedere delle maghette cresciute che hanno appeso lo scettro al chiodo è in effetti interessanti. Il mondo delle maghette dark sicuramente troverebbe molti spunti inquitanti in una situazione del genere, ma era mia idea che anche la serie Precure potesse vederci qualcosa di interessante.
E' vero che le Precure si ritrovano tutte ad affrontare una vita lavorativa difficile che le mette di fronte a situazioni che sono l'opposto di quelli che erano i loro sogni di gioventù e anche se il contesto non è mai disperato i toni sono piuttosto forti però la speranza di vedere qualcosa di diverso da una serie Precure muore abbastanza in fretta. Di fronte alla nuova minaccia rappresentata dall'angelo protettore della città con le palle girate le ragazze recuperano una dopo l'altra i loro poteri (tornando anche, temporaneamente, ragazzine) e combattono di volta in volta mostri bruttissimi e mal disegnati fino allo scontro finale, reso male, col cattivo, che permette di ristabilire la pace. I vari temi importanti, tra cui anche quello del climate change e in generale delle devastazioni portate dall'uomo alla natura, sono al solito tradotti in parabole didattiche per bambini buoni.
La serie richiama anche in campo le due protagoniste di Splash Star e alla fine concede un cameo anche alle originali Nagisa e Honoka. In questo ultimo caso il fatto che le due non siano finite sposate è una pugnalata alla schiena.
Quali conclusioni quindi possiamo trarre su Full Bloom? It's precure, non c'è molto altro da dire. Non potevamo sperare (anche se l'abbiamo fatto) che una serie che va avanti da vent'anni sempre uguale e sempre con successo decidesse di prendersi un momento di riflessione, anche questa ennesima istanza del brand si comporta come tutte le altre. Parliamo di maghette grandemente "massificate", molto ingenue, che rinnegano addirittura la maturità che Sailor Moon raggiunge di serie in serie, offrendo un divertimento che comprendo, ma che non mi appartiene.
In un certo senso Precure fa storia a sé, probabilmente lo guardate perché è un confortante rumore di fondo nella vostra vita, un paese dei balocchi in cui tutto si ripete, ma in cui è piacevole rimanere intrappolati. E' una posizione che accetto, ma è cosa a sé rispetto a guardare anime, soprattutto se si cercano evoluzioni, scelte narrative idee al passo con i tempi.
Cymon: testi, storia, site admin“For it was starving, it was hungry / But had eyes too close to let me / If you were easy to kill, I would have done it already”