Un gran menu
Le macchine hanno ancora bisogno di noi: è confortante, di questi tempi.
Le loro invocazioni di aiuto si fanno progressivamente più insistenti e fastidiose, in un'escalation che parte dalle email e arriva fino a, bé, alle follie piromani architettate da Bob nella strip odierna. Ma non temete, piccole: c'è sempre un sistemista che ha dedicato la sua intera a vita a voi e alle vostre necessità, a qualsiasi ora del giorno e della notte!
Questa settimana è stata squarciata dai lampi abbacinanti di Final Fantasy XVI che si è mostrato per 25 minuti interi, lassù tra le nubi tempestose.
Lo spettacolo mi ha lasciato stremato.
Tale è la forza travolgente dell'amore. Ma non si può davvero dire di conoscere l'amore senza averne anche sofferto.
E anch'io, dopo trent'anni di amore dato e corrisposto, ebbi a conoscere infine la fredda indifferenza scesa sul mio cuore per Final Fantasy XVI, quando apparve per la prima volta.
Questi editoriali sono la cronaca del mio spaesamento: ohibò, com'è che il Sedicesimo del suo nome mi lascia così indifferente? Dove sono i rossori, le farfalle nello stomaco? Anche poche settimane fa mi chiedevo cosa può essersi rotto, di chi sarà la colpa?
E poi... poi qualcosa si è mosso dentro di me. A furia di mettersi in mostra, di smaniare per le mie attenzioni, FF XVI mi ha persuaso a cercare di capirlo un po' meglio. E pian piano l'ho capito. “Sono Final Fantasy, stupido!” sembrava sussurrarmi, ma io rimanevo indifferente. Anche quando dimenava la coda, io restavo insensibile.
“Guarda quanto sono bello!” mi ripeteva, e io: “Non mi piacciono le pettinature”.
“Ma senti queste musiche...” “I farsetti e le braghe di cuoio sono passati di moda”.
“E questa grafica, e il team di superstar del videogioco giapponese che mi ha fatto...” Insisteva, e finalmente l'ho guardato. È proprio Final Fantasy. Sì, è proprio bello. Perdonami, amore! Sono rinsavito, e non ti lascerò mai più.
Ci sono tanti modi di essere Final Fantasy: almeno 16, in effetti. Ciascuno ha mutuato la personalità del suo creatore (c'è chi è designer, e chi shampista), ma tutti hanno saputo trovare la strada del mio cuore, e di milioni di altri. Anche il XVI. Di fronte ai quei 25 minuti non si può rimanere indifferenti.
Final Fantasy XVI ha dovuto dimostrarmi di essere un ottimo gioco: solo poi ho accettato che fosse anche un buon Final Fantasy.
Sono uscite oramai moltissime informazioni sul gioco, fin troppe, ma siccome attenderò probabilmente la versione PC spero di riuscire a dimenticarle nel frattempo. Al di là delle informazioni però la sensazione è che non vedo l'ora di giocarlo, di metterci sopra le mani... Quei menu! Grande Giove, quei menu!!! Quelle animazioni elaboratissime, quegli intarsi lussuosi che ti invitano a pigiarli, anzi ad accarezzarli! Quei menu mi dicono chiaramente Nuova Generazione: sanno di nuovo come una macchina appena comprata, trascinano avanti l'intera industria videoludica verso standard moderni. Non solo nell'estetica, ma nelle funzionalità di quella mappa, delle enciclopedie e dei compendi e persino degli alberi genealogici e delle ricostruzioni animate delle vicende storiche... Una ricchezza sbalorditiva.
Ho ancora il dolce ricordo del menu di compravendita nei negozi di Final Fantasy XII, una sensazione tattile talmente ergonomica e sensuale che mi ha segnato per quasi vent'anni. Forse hanno un degno erede.
Final Fantasy XVI mi ha dunque conquistato con i suoi menu. Sì, sono un pazzo, ma siamo fatti uno per l'altro. E poi ci sono quelle scene spettacolari di battaglia tra le evocazioni, che definirle spettacolari è riduttivo, è nulla: sono cento puntate di Dragon Ball Z condensate tutte assieme in un'unico pugno, cento puntate dei Cavalieri dello Zodiaco in un'unico urlo. La grafica è nuova, moderna e divina. Il design, sì, c'è anche quello. Ma poi come faccio a non commuovermi per un gioco che diventa uno sparatutto alla Panzer Dragoon con fontane di proiettili scintillanti e i missili a ricerca, e poi si trasforma in un picchiaduro 1 VS 1 con tanto di barre dell'energia? E poi i combattimenti normali, quelli ai comandi del nostro protagonista, che non sono soltanto Devil May Cry 5 ma ci fanno correre qua e là per evitare gli attacchi ad area geometrici dei boss, come si vedeva finora solo nei MMORPG come Final Fantasy XIV...
C'è tantissimo videogioco, dentro questo gioco.
E' già morta
Si intitola proprio così, The Detective is already dead l'anime di cui ci occuperemo questa settimana. Intanto vi assicuro che ho imparato anche il titolo in giapponese perché, dopo solo settecento giorni sotto il gioco di Duolingo, lo riesco a capire tutto. Sono soddisfazioni piccole, ma son qui per condividere.
L'anime cosiddetto "investigativo" è una sfumatura piuttosto curiosa del mondo degli anime, con pregi e difetti. Infatti credo che il prodotto più vicino, per certi versi, a questo DIAD, sia In/Spectre, di cui abbiamo parlato anni fa. Cosa accomuna questi due anime? Innanzitutto la "protagonista" (in questo caso il virgolettato d'obbligo) particolare e un po' saccente, il suo sidekick, di solito un maschio un po' imbranato con cui viene imbastito un tenue flirt e, soprattutto, una produzione a bassissimo costo, realizzata grazie al fatto che per la maggior parte del tempo la gente, semplicemente parla, parla lungamente, parla ininterrottamente raccontandosi la trama invece che viverla.
Non vorrei sembrarvi troppo feroce. La logorrea, in DIAD, è un po' attenuata rispetto a In/Spectre ma qui, come lì, la maggior parte del tempo il protagonista (che sia Siesta o Kimihiko) lo passa a spiegare gli avvenimenti, orchestrando anche dei colpi di scena che portano effettivamente la trama ad avanzare, lasciando in ferie animatori, disegnatori e quant'altro, che servono relativamente poco. Comincio a intuire, però, che questo non sia solo un segno di lassismo, ma un vero e proprio modo di porre il racconto, quando l'investigazione prende il sopravvento sull'azione. A suo modo è come i giapponesi rendono i gialli più lineari e cervellotici, mostrando esplicitamente un confronto di menti, senza mischiarlo a troppi altri device narrativi.
Anche in queste condizioni, però, la premessa di DIAD incuriosisce abbastanza perché valga la pena affrontarlo: la protagonista della vicenda, infatti, Siesta, come da titolo "è già morta" all'inizio della nostra storia, lasciando il povero Kimihiko da solo. La narrazione riprende a un anno dalla scomparsa della detective, intrecciando dei flashback che ci permettono di approfondire la sua battaglia contro la temibile SPES con la ripresa dell'attività d'indagine del nostro "sidekick", avviata dall'incontro con Nagisa, una ragazza che ingaggia il nostro apparentemente per caso, ma in realtà è fortemente coinvolta nelle sue vicende. Visto che l'uso del flashback è piuttosto generoso, con interi archi narrativi spostati nel passato, non ci verrà mai a mancare la possibilità di vedere Siesta in azione, ma insieme a questo è indubbio che il tema dell'assenza, dell'amore mancato e della perdita rimangano importantiall'interno della storia, ammantando tutto di una malinconia che non è proprio comune, quando si tratta di dare la caccia ad androidi superintelligenti con le orecchie che diventano tentacoli.
Quanto detto, in fondo, valeva anche per In/Spectre. Al di là dei misteri e delle avventure affrontate anche lì il personaggio della protagonista, zoppa e orba a causa del ruolo che ha deciso di ricoprire, era uno dei principali motivi di interesse. In DIAD la lotta alla SPES e le sue trame suonano ancora di più come un semplice plot device per approfondire il rapporto con Siesta, compreso il solito inquietante menage con una figlia/non figlia che piace tanto ai giapponesi in queste situazioni. Non suona assolutamente sbagliato che nel finale la SPES non sia stata sconfitta e che anzi la sua natura sia lasciata solo accennata perché è piuttosto evidente che gli autori volevano parlarci di altro, in un'evoluzione di rapporti personali che invece chiude il cerchio in maniera piuttosto completa.
Per quanto il progetto narrativo di DIAD mi affascini, però, è impossibile non rilevare i grossi difetti che gli impediscono di essere un capolavoro. A parte la tecnica realizzativa largamente approssimativa (soprattutto quando si vira verso una più esplicita fantascienza) molto dell'ambientazione è proprio buttato lì, con un notevole risparmio anche sul charadesign e sul worldbuilding. A parte che le età dei personaggi sono tutte sballate perché non è assolutamente credibile che Siesta sia una ragazzina delle medie, i cattivi, le megaorganizzazioni e i megacomplotti, pur intrecciati fra loro con cura, sono resi in maniera troppo semplicistica per suscitare una qualsiasi emozione e i loro comportamenti appaiono al massimo errativi, quando si è più fortunati.
Senza entrare in pericolosi spoiler, poi, purtroppo la serie non riesce rigorosamente a trattare la morte della detective come una semplice morte e tutto l'infiocchettarsi di vicende che si creano intorno svilisce anche il lirismo dell'assenza e della persona cara scomparsa che invece avrebbe dovuto essere una delle basi del prodotto.
In conclusione non me la sento di dire male di DIAD, un prodotto che con tutti i suoi limiti porta avanti un'idea interessante, non stanca nei suoi tredici episodi e ha anche qualche momento di sano divertimento. Rimane però un'anime che manca di ambizione e per avendo cercato di fare qualcosa di diverso e originale non ci ha creduto fino in fondo, arrivando a essere sufficiente in tutto senza distinguersi in niente.
Cymon: testi, storia, site admin“A first-rate detective solves a case before it even happens.”