Liberazione
Siamo reduci dal nostro Ventennale e dai suoi strascichi, ma capite bene che in vent'anni ne abbiamo già vissuti, di anniversari e ricorrenze e perdite e nostalgie e cambiamenti... e poi siamo timidi come conigli, insomma è il caso di finirla qui.
Che bella liberazione poter parlare ancora di videogiochi (perlomeno di quelli che le nostre mani artritiche e i nostri occhi stanchi riescono ancora a reggere)! Li abbiamo tenuti indietro come una routine a bassa priorità in un mainframe negli scantinati di una università negli anni '60... o come le attività fastidiose dei nostri Gödel e Stagista nella strip odierna: sono maestri nel procrastinare, lo abbiamo già detto.
Dev'essere un difetto congenito degli Ingegneri delle Tenebre (uno tra i tanti), che colpisce anche i vostri Autori alle prese con il cambio stagionale degli armadi, il trasloco nell'altro appartamento, la pulizia della tastiera meccanica e del catalogo di Steam...
La Vita Reale è l'orrore più grande, per quelli come noi ma direi per tutti, e per sfuggirle siamo disposti persino ad infilarci in un castello rumeno infestato di vampiri, streghe e bestie mannare: è la grande illusione ordita da CAPCOM nel suo Resident Evil: Village.
I giappi di CAPCOM sono tra i pochi giappi a non deluderci, ultimamente: hanno infilato una serie vincente da anni ormai, hanno la mano calda come i giocatori testoni di NBA Jam e le loro schiacciate infuocate. I titoli recenti di Monster Hunter, Devil May Cry e Resident Evil mi fanno addirittura sperare che CAPCOM tiri fuori dalla soffitta qualcuna delle sue vecchie glorie del passato, o ancora meglio che produca qualcosa di totalmente nuovo (potrebbe essere Pragmata).
Ma tornando a RE8: che meraviglia avere tra le mani un giocone gigantesco come la sua vampirona di 3 metri, e però pazzo e pervertito come solo i Giapponesi potrebbero! Tra quei sotterranei ammuffiti si respira una brezza rinfrescante, dopo tutti i Giocazzi Popolari Annuali pettinati e omogeneizzati che ci propinano le varie Ubisoft.
Dal canto mio ho qualche problemuccio con l'orrore ma questo Resident Evil si mantiene entro i livelli di guardia, e il suo tripudio grafico rende irresistibile soffermarsi ad ammirare la texture di un mobile anche mentre sei inseguito da una qualche sanguinaria forma di perversione erotica orientale.
A proposito d CAPCOM, sarebbe ebene spendere qualche parola anche per la saga di Street Fighter V, cui sono naturalmente molto legato. Ci penseremo domani. Ehm.
Lo-Rez: arte, storia, web designPino Silvestre
L'inferno delle basse priorità, ovviamente, ha una parola in linguaggio marketing che lo fa sembrare un prato fiorito dove puoi mollemente sdraiarti in pace con te stesso: nice to have. Cosa può esserci di male di fronte a parole tanto garbate e amorevoli? Sarebbe bello se e subito pensi a una bambina che alza gli occhi al cielo e lo guarda persa nei suoi sogni, felice della luce.
Invece vuol dire col cavolo che troveremo mai budget per farlo. Ma alle riunioni, evidentemente, si ha sempre paura che poi dei bimbi leggano le minute meeting.
Lo sapete, vero, che quando il sole comincia a battere la verve del Cymon un po' si spegne e non riesce più a mettere insieme quei begli editoriali corposi buoni da annoiarvi in due paragrafi. Fate conto che attualmente il sole è solo nominale, nel senso che è quello che ci si aspetterebbe da metà maggio, ma in realtà le giornate alternano tempo nuvolo con freddo pungente e tempeste violente con tuoni e fulmini. Questo, ma ovviamente non solo questo, mi ha spinto indietro, dentro la mia cameretta, nuovamente su dei videogiochi Epic. Su Pine, per esempio, si possono fare discorsi al contrario rispetto l'acido fervorino lanciato la settimana scorsa. Pine è un gioco che, almeno per quello che sembra proporre, ha delle meccaniche intriganti e un'ambientazione dotata di carattere. E' un gioco che ti conquista perché realmente ti viene voglia di esplorare il suo mondo. Peccato che si noti inequivocabilmente che è mancato completamente il lavoro di rifinitura che avrebbe avuto con una produzione di un altro livello. Il sistema di controllo è legnoso, le animazioni sono sufficienti, ma lungi dal restituire uno scenario convincente e tante altre piccole cose fanno capire che il gioco c'è, ma manca dietro quel processo industriale che in parte non è il gioco, ma serve a restituire la sensazione di benessere che un gioco dovrebbe darti. E' come se ti consegnassero un'automobile senza verniciarla. L'automobile va, magari è anche una bella automobile, magari è anche comoda, ma tu non ci puoi andare in giro, sembra proprio che si sono dimenticati di finirla e oltretutto a furia di usurarsi, con il maltempo, si rovinerà prima.
La domanda che mi sono fatto, allora, è stata: ma quindi sarebbe potuto uscire Pine per una grande software house a 70 euro ben sonanti, con una trentina di animatori dietro ogni personaggio? La risposta a questa domanda è ancor più chiave di lettura di quanto possa esserlo l'analisi del mercato indie: no, probabilmente no. Perché Pine riporta alla mente quelle ibridizzazioni lente e un po' cervellotiche che in epoche lontane erano un obiettivo, ma oggi sarebbero troppo spaventose per l'utenza attuale. Sebbene si leggano paragoni in giro col mondo di Zelda, il primo gioco che, magari un po' serendipitamente, mi è saltato in mente considerando le sue meccaniche è Giants: Citizen Kabuto, che ha avuto anche degli editoriali su questa colonna. L'idea di prendere un gameplay e in qualche modo sovvertirlo, rimescolarlo, prenderlo da un diverso punto di vista è la spina dorsale dell'attuale mercato indie, ma proprio perché ormai il bisogno di innovazione è stato completamente prosciugato da questa vasta schiera di prodotti sembra non essercene nel mercato triplaA. Ci troviamo quindi condannati a vivere in un limbo, continuando a vedere, come attraverso uno specchio deformante, giochi che potenzialmente potrebbero essere come i capolavori che ci hanno fatto battere il cuore un tempo, ma che mancheranno sempre, immancabilmente, dell'ultimo passo per diventarlo.
Vi siete accorti che da parecchio tempo non vi ammorbo con le mie receanime? Io si, perché un po' sento la mancanza di questo piccolo rituale, trovo gli articoli in cui mi metto a parlare dei cartoni giapponesi che guardo molto rilassanti. Il problema è che ultimamente tutto quello che ho guardato non è finito. Fortunatamente non è finito in senso buono, nel senso che sembra che avremo delle stagioni con cui completare le opere, ma comunque ha lasciato in ogni caso un tale senso di incompiutezza, magari con tanto di episodio conclusivo cliffhanger, che l'idea di venire qui a dirvi mi è sempre sembrata peregrina.
Se questa colonna fosse qua per invogliarvi a seguire le mode del momento e guidare i vostri gusti certo dovrei urlarvi nelle orecchie della bellezza di certi titoli, ma come sapete persino la visione degli anime, in me, è sfasata rispetto allo zeitgeist, quindi non ha senso che vi promuova prodotti che magari sono già di un anno fa. Di contro, di certo qui non ne parlerei solo per urlarvene i pregi, visto che la tradizione del coniglio non consente di smarchettare. Idolatrare irrazionalmente e spassionatamente sì, ma non dedicarsi all'arte dell'elogio. Prima di potermi sentire nuovamente parlare di ragazzine in costumi da bagno e incredibili eroi (che alla fine sempre quello è) vi toccherà quindi aspettare ancora un po'.
Editoriale di metà maggio finisce qua. Ci vuole coraggio (niente, era per la rima), ma noi ne abbiamo. Troveremo pure il coraggio di uscire fuori, all'aperto, vivere da persone estive, magari incontrare gli amic... vabbè, quello è più un work in progress.
Cymon: testi, storia, site admin"Perché credi che sia necessario..." cominciò Lenina, ma non finì la frase. C'era una nota d'irritazione nella sua voce. Quando una si china in avanti, sempre più vicino, con le labbra semiaperte, soltanto per poi trovarsi, tutt'a un tratto, mentre un imbecille si rialza, piegata sopra un bel niente, evvia, c'è una ragione, sia pure un mezzo grammo di soma circolante nella corrente sanguigna, una buona ragione d'essere irritati.