Lo zio bono
Respiri mozzati, voci rotte dall'emozione, occhi lucidi, rotolini di grasso inopportuni, scarpe da ginnastica abbinate all'abito da sera, discorsi banali su foglietti stropicciati... ma dove siamo, a una festa scolastica di prima superiore? E invece no: siamo ai The Games Awards 2025.
Come già gli anni scorsi, anche stavolta mi sono presentato all'appuntamento (con agio, un paio di giorni dopo) sperando di succhiare disastri emotivi come un vampiro psichico. E anche stavolta sono stato esaudito.
Questa si è riconfermata la serata di gala dei reietti, i maschietti in abito sartoriale e le femminucce in abito lungo (il “vestitino”, si diceva dalle mie parti): una inadeguatezza a calcare il palcoscenico accentuata dal contrasto con gli ospiti che invece sono veri animali da palcoscenico, attori e cantanti più o meno famosi... Meno famosi del solito, a dire il vero, a parte un paio. Ma poi è saltato fuori l'intero cast di, ehm, STREET FIGHTER. Il film. Quello nuovo.
Corpi bellissimi e tamarrissimi esposti sul palco, vestiti da cafoni coi soldi e i personal shopper... uno spettacolo che mi dà speranza per il film, contro ogni speranza. Chun-li è un po' troppo giovane, ma dipende tutto da quando si svolge questa storia. Peccato invece per Cammy. Cammy, capite? Certo era dura confrontarsi con la fantasia, però è una scelta di casting che a prima vista proprio non mi va giù.
Ah, c'erano anche dei videogiochi. Sulle premiazioni e sui premiati stenderemo un velo pietoso: abbiamo ripetuto già troppe volte quanto sia tutto sbagliato, ma proprio tutto.
Noi c'eravano solo per gli annunci.
Claire Obscur continua a starmi simpatico ma cum grano salis, e la direzione artistica è senz'altro il suo punto debole. L'ho già detto, puoi permetterti di fare tutti i tuoi protagonisti umani in costume nero solo se sei uno come Tetsuya Nomura, altrimenti viene fuori una poverata pacchiana qual è questo giochino francese.
Mi si scalda il cuore al pensiero che questo titolo sarà per tanti giovinetti di oggi quel che è stato Final Fantasy X per la mia generazione... ma al tempo stesso mi si ghiacciano le viscere, per lo squilibrio del confronto. Capisco che oggi Final Fantasy X non può avere lo stesso impatto di 25 anni fa, e che sono emozioni irrecuperabili per chi non le ha vissute (anche se giocarlo oggi emulato (non il remake che fa schifissimo!) continua ad aprire gli occhi a tanti giovani). Speriamo che Clair Obscur segni la rinascita del genere, e che anche quelli che sanno fare i chara-design ritornino a fare capolavori.
Sapete chi è che sa fare i chara-design, per esempio? Capcom. Di Capcom si può dir tutto, ma anche quando manca il bersaglio produce disastri bellissimi. Ogni nuova immagine e informazione di Resident Evil 9 non fa che aumentare le mie aspettative: dopo una protagonista fragilissima e paurosissima (e con la tendenza a sudare molto), adesso ci hanno fatto vedere il ritorno di Leon.
Leon, splendido quarantanovenne. È un trionfo.
I giapponesi, che come è noto hanno strane opinioni sull'età anagrafica, hanno già preso a chiamarlo “lo zio bono” o qualcosa del genere. Con la giacchetta impermeabile con collo di pelliccia, un look total black, un capello ingrigito pieno di poesia, Leon è il bello impossibile. L'ideale maschile che ci fa sentire tutti inadeguati.
Poco importa che sia un vuoto assoluto di personalità, lui come l'intera saga di cui fa parte: chissenefrega, noialtri qui siamo abbastanza vecchi da permetterci il lusso della superficialità!
Clair Obscur: Expedition 33 (ditelo tutto in francese!) deve affannarsi a costruire una trama travolgente e archi dei personaggi maestosi, e orchestrare decine di canzoni appassionate con gorgheggi e violini... e comunque se chiudete gli occhi vi siete già scordati come son fatti tutti i protagonisti.
Poi arriva Leon quarantanovenne, e in una sola concept art con uno sguardo da attore hollywoodiano in una pubblicità di Chanel ci incenerisce tutti.
Si chiama carisma. Crudele, ma così va il mondo.
Ora, se soltanto ci fosse qualche team di sviluppo capace di riunire tutti questi talenti in un sol gioco...
Sono così indie
Hai rigettato un bug a un tester e il tester era Arya Stark.
Nelle ultime settimane, un po' per celia, ho avvicinato il Game Awards al PLPL rivendicando la capacità che entrambi hanno di generare odio. In verità, naturlamente, ho infilato a caso il PLPL in questi editoriali perché, si sa, noi scrittori non possiamo non parlare delle fiere di libri e siamo tra le creature più subdole dell'universo, ma non è che proprio tutto il mio sproloquiare sia da buttar via.
I due eventi, infatti, per qualche ragione misteriosa, hanno finito con l'incaponirsi entrambe sul medesimo interrogativo, ovvero: cosa significa indie? perché anche se la domanda appare una questione di lana caprina di poco conto in realtà in entrambi i casi sposta equilibri di notevole importanza.
Cosa significa indie?. Diciamocelo, una buona polemica è una polemica in cui, in una serata ingessata in cui ti stai un po' annoiando, qualcuno si alza e dice qualcosa di inatteso che qualcun altro decide di contestare. Non è una buona polemica, quindi quello che è accaduto quest'anno, esattamente come tutti gli altri anni, al Game Awards. Clair Obscure si è vinto questo e quell'altro, come avevamo tutti previsto già prima dell'evento e si è vinto pure l'award del best indie (togliendolo, nella mia opinione, a Dispatch) e quindi LA DOMANDA è tornata prepotentemente in primo piano. Solo che avevamo previsto anche questo e allora anche la voglia di trovare LA RISPOSTA è un po' scappata via e questo tormentone sta diventando un po' frusto e frustrante e magari sarebbe anche ora di liberarcene.
C'è stato un passato in cui la distribuzione dei videogiochi passava da DELLE SCATOLE che venivano messe in DEI NEGOZI dove tu potevi prenderle se davi a un tizio del DENARO CONTANTE. Questo modo di passarsi informazioni digitali un po' barocco aveva un po' di problemi a livello globale, tipo che era piuttosto costoso quindi potevano accedervi solo grandi aziende che facendano investimenti nell'industria dei videogiochi. Ciò non significa che, ai tempi, queste grandi aziende non "adottassero" sotto di loro dei team magari un po' più piccoli, li lasciassero sviluppare con ragionevole libertà e li facessero accedere alla loro struttura distributiva per vendere. Rimane il fatto che a quel tempo la grande industria era necessariamente il guardiano di cancello di qualsiasi livello di sviluppo e il concetto di indie non esisteva, se non con bizzarre soluzioni gratuite che raccoglievano intorno a sé piccole, ma robuste comunità di adepti, usualmente attirate dalla bizzarria dei prodotti.
Poi è successo proprio un casino quando abbiamo cominciato ad avere le piattaforme di distribuzione e piano piano il mercato ha cominciato a muoversi verso di esse, perché i costi di distribuzione sono precipitati e la gente ha cominciato a poter portare il proprio lavoro (e farselo pagare) alle folle senza intermediari e sostanzialmente senza costi. Letteralmente anche il piccolo nerd nella sua stanzetta, dopo aver imparato animazione per un paio di settimane, poteva portare a tutti il suo clone di pong e... boh... fare successo con esso.
A questo aggiungete anche la nascita di una vera e propria industria del software "semplificato" per sviluppatori, la spinta che ha dato allo sviluppo di ogni livello l'arrivo di prodotti come Unity, Godot e quant'altro ha avuto a sua volta un impatto sull'ecosistema.
Qual è il (non) problema? Il problema è che ovviamente la prima tornata di persone ad approfittare della liberalizzazione della distribuzione sono stati piccoli nerd nelle loro camerette evidentemente diversi dalle produzioni delle major, ma andando avanti c'è qualcuno che ha visto, dal di fuori del sistema delle grandi aziende, la possibilità di investire in prodotti con ritorno economico. E a questo punto diventa impossibile distinguere qualcuno che sviluppa con un team limitato (e budget limitato) sotto una firma riconosciuta da qualcuno che sviluppa col medesimo budget in modo (indie)pendente. Anche perché se il secondo pubblicherà un prodotto di successo allora automaticamente dal giorno dopo, sostanzialmente, ne dovremo parlare con di un membro dell'industry, non come qualcuno di esterno.
Sembra quindi che dovremmo rassegnarci ad abbandonare la denominazione di indie e, in un certo senso, dovremmo anche abbandonare il grande sogno di poter sviluppare un gioco nella nostra cameretta con cui andare a competere sui grandi palcoscenici mondiali. Sappiamo che non è proprio così, c'è ancora una categoria di pazzi che, in solitaria e lavorando in modo assurdo, riescono a confezionare videogiochi che arrivano nell'iperurano, ma, per l'appunto, sono dei pazzi, don't try this at home.
E' nell'abbandono di questi sogni, secondo me, che c'è il reale problema psicologico che continuerà a mantenere nei Game Awards delle categorie indie e lascierà la questione sempre irrisolta. Noi continuiamo a sognare lo sviluppatore solitario, l'uomo che vaga al di sopra del vil denaro e, col suo genio, cerca di frantumare il sistema dall'interno, dimostrando che al centro del mondo dei videogiochi (come al centro dell'ARTE) c'è il cuore e che quello è invincibile. Quello è l'indie che vorremmo premiare, solo che non possiamo premiarlo mai, perché quell'indie non esiste. E allora invece di essere comunque contenti per Clair Obscure, che si, è stato prodotto con degli investimenti in vil denaro, ma investimenti logici, non ipertrofici, fatti da persone che cercavano di fare il loro lavoro senza conquistare il mondo, siamo delusi da lui solo perché per essere realizzato si sono pagati degli stipendi.
Cymon: testi, storia, site admin“I had a strange premonition / You visit me in a vision / Hands on my thighs and your eyes on my prize, Lord / Naught could deflect this collision / I summon you in my room / I spin the lust on the loom / Oh, what a curse to be born with such thirst / Even death couldn't quite quell the doom”