Rondine D'Oro
Come la protagonista di Le Implacabili Lame di Rondine D'Oro (1966) (che poi è Mulan, quella autentica), la nostra Clara si avventa come una furia sul povero Gödel, senza che né l'una né l'altro abbiano il tempo di mettersi la mascherina... Orrore!
Colpevoli di questo crimine contro la collettività, cercheremo di porvi rimedio in queste giornate ormai crepuscolari, con un cielo basso che ci grava addosso e il vento che ci butta in faccia la pioggia: mi giunge voce dall'Estremo Oriente che proprio in questi giorni si celebrava il Festival di Mezzo Autunno (?).
E allora celebriamolo: quale modo migliore che sprofondare nei Videogiochi Orientali, che da troppo tempo scarseggiano su queste colonne. Pensare che una volta erano di casa!
(Ma in fondo Death Stranding è un gioco tutto giapponese, quindi uno potrebbe dire che ne abbiamo parlato fin troppo, di roba orientale, anche di recente.)
Le scorse settimane mi trovavo in affanno per i troppi argomenti interessanti, e uno di quelli rimasti indietro è appunto il mio Potenziale Gioco Migliore dell'Anno... che detto così sembra proprio uno di quei titoli spammosi contro cui ci siamo scagliati in passato. Mea culpa. Ma mi sembra il modo giusto di inquadrare la questione, visto che qualsiasi contendente al titolo proprio quest'anno se la dovrà vedere con opere di valore colossale, come The Last Of Us Part 2 and Cyberpunk 2077 (speriamo).
Chi, dunque, potrà opporsi a cotanti campionissimi? Forse... forse è giunto tra noi di soppiatto come un ninja un giochino dalla lontana isola di Nippolandia, e ci ha subito rubato il cuore?
Sì!
Sì, fedeli seguaci del coniglio (tutti e tre)! E non è una sorpresa, dato il palma res dei suoi creatori. Abbiamo parlato su queste pagine di tutti i precedenti titoli di questa softwarehouse minuscola ma agguerrita, pervertita a più non posso, che punta tutto sull'arte pazzesca, le battute dissolute e gli immancabili minigiochi culinari...
Abbiamo recuperato dalle nebbie del tempo Princess Crown, un titolo introvabile per una console introvabile in una traduzione amatoriale introvabile, e ne valeva la pena.
Abbiamo spasimato su ogni pixel di Odin Sphere.
Abbiamo spalancato la bocca alla prima schermata di Oboro Muramasa e l'abbiamo potuta richiudere soltanto cinquanta ore dopo, quando lo spettacolo è finito.
Più di recente, appena sette anni fa, ci siamo infervorati di passione bruciante per Dragon's Crown, e lo abbiamo difeso a spada tratta contro chi lo accusava di indecenza.
E ora è giunto il momento di accogliere tra noi l'ultimo arrivato di questa dinastia prodigiosa. Il gioco venuto da lontano per spazzare via tutte le certezze di questo 2020 (???). Un gioco piccino piccino ma che, come un Diavoletto della Tasmania, è capace di tener testa ad avversari molto più grossi di lui.
13 Sentinels: Aegis Rim.
Tredici adolescenti asiatici uniti da un destino che trascende le epoche. Una trama che fa fare le contorsioni alla linea temporale, non come Tenet ma quasi, tra gli anni '80, il nostro presente e un futuro fatto di mecha giganti contro mostri giganti.
Arte 2D sublime disegnata ad acquerello, animazioni ai vertici assoluti del videoludo, illuminate da una luce magistrale. Amore e guerra tra i banchi di scuola, piloti adolescenti di robot giganti ma che una volta tanto non frignano come depressi clinici alla Shinji. Una storia colma di pathos che si dipana attraverso scene teatrali e scontri a turni in 3D: questi diavoli nipponici hanno dato fondo a tutti i trucchetti più sporchi del mestiere per consegnarci un'opera epica. Monumentale.
Non ci resta che sperare che Microsoft compri SEGA che ha comprato Atlus che ha comprato Vanillaware che ha fatto questo gioco, e lo porti su quante più piattaforme possibile, PC compreso.
E poi ci sarebbe questo Genshin Impact, un titolo free-to-play per telefonini e console e PC. Non avrei mai pensato che un giorno avrei scritto questa frase.
Il popolo polemizza perché è davvero tanto simile a Zelda: Breath Of The Wild. Ma io non ci vedo nulla di male ad imparare dai migliori. Anzi, fosse davvero così simile! Invece mi pare che abbia sì copiato, ma piuttosto maluccio.
Però anche una brutta copia di Breath Of The Wild è pur sempre meglio di tantissimi altri giochi. E poi questo genere di titoli è in continua evoluzione, tra sei mesi sarà un gioco completamente rivisto e perfezionato ed espanso.
Se esisterà ancora.
Ne parlo qui perché nonostante i titoli con questo stampo mi facciano venire l'allergia, questo in particolare mi interessa.
Non al punto da giocarlo, credo: quando si arriva a una certa età, scopriamo di avere una soglia di attenzione piuttosto bassa per gli RPG orientali pieni di waifu smorfiosette da collezionare in centinaia di ore di gioco.
Lo voglio annotare qui ugualmente: un memo per me stesso quindicenne, in un'altra ipotetica linea temporale.
Lo-Rez: arte, storia, web designSchadenfreude
Oggi parliamo male di Dark perché mi sono rotto le balle.
Quando Dark uscì lo vendettero come una serie TV horror. Era facile: c'era il ragazzino con su l'impermeabile di IT, una grotta, un sacco di case sporche e un cielo in cui non appariva il sole neanche a pagare. Si fa in fretta a fraintendere. Fatto sta che decisi che quindi la serie non mi interessava proprio per genere e la ignorai. Alcuni mesi fa, però, con l'uscita della sua terza e conclusiva stagione, il mio social network di riferimento (il tuider) mi ha fatto sapere che si trattava di una serie TV di fantascienza comprendente apocalisse e viaggi nel tempo. Visto che oltretutto lo etichettava come capolavoro assoluto ho deciso che poteva essere il caso, in un periodo di magra come il finale di agosto, che levassi un momento la transenna mentale che mi ero posto di non vedere più Netflix Original e la affrontassi.
Aveva, come di consueto, ragione la transenna.
(spoiler, ma non vedo perché dovreste leggere quanto scritto se non avete visto la serie). Dark è una serie tedesca low-budget. Low-budget in fantascienza è una cosa spesso buona, costringe gli autori a trovare soluzioni intelligenti invece di mettere luci colorate. Il suo presupposto iniziale è infatti intelligente: nell'agghiacciante paesino di Winden esiste una grotta dove si trova un passaggio per viaggiare nel tempo. Questo passaggio ha una biforcazione che permette di balzare a 33 o a 66 anni prima. L'idea è intrigante perché molto "rigida". Se tu dai il viaggio nel tempo in mano ai tuoi personaggi e li lasci liberi quelli, inevitabilmente, finiranno col pasticciare tutto, perché a quel punto qualsiasi azione compiuta dà idea di poter essere cambiata o cancellata in un secondo momento oppure svilita dal solito gioco dei paradossi. L'idea invece di potersi muovere solo secondo percorsi rigidi fa sì che, anche se il viaggio nel tempo è presente e rimane un'idea molto forte, la trama debba ingegnarsi per sfruttarlo, possibilmente mantenendo una certa coerenza.
La storia, con questo elemento al centro, si alimenta dei mystery più classici: bambini scomparsi, personaggi inquietanti che si aggirano per le onnipresenti foreste, segreti famigliari. Fin qui, come si dice mentre si precipita da un palazzo di ottanta piani, tutto bene.
Il trick che gli autori di Dark vogliono venderci è già chiaro nelle prime puntate: i personaggi della serie tornano indietro nel tempo e poi rimangono legati al paesino di Winden, mettendoci su famiglia e facendo figli. Visto il "nodo" che va così a formarsi abbiamo quindi dei paradossi in carne e ossa, ovvero gente che è figlia dei propri figli o che ha alberi genealogici circolari. Di questo abbiamo prova con la vicenda di Mikkel/Michael, che viene esposta a nemmeno metà della prima stagione. Potrebbe anche sembrare un unicum, ma circoletti rossi di gravidanze non proprio chiare, gente abbandonata e altre situazioni bizzarre ci fanno capire che questo sarà un vero e proprio liet-motive della serie, più volte riportato su schemini, bacheche, ornamenti in pietra, scritte a gesso, opuscoli, menu della caffetteria e altri simpatici gadget disponibili su Amazon. Non è un idea nuova, in questo caso l'esempio più delizioso di persone fuori dal tempo è dato da "Tutti i miei Zombie" di Heinlein, racconto magistrale trasposto nel film (ben fatto) predestination, ma ok. Peccato che non basta a tenere in piedi un intrigo, tanto più se la metti in piazza a nemmeno 50% della prima run, fatta e finita. Cominciano quindi numerosi e fastidiosi salti della quaglia.
Abbiamo detto che il sistema dei viaggi nel tempo di Dark è buono perché è rigido? Bene, dimenticatevelo. Sempre molto in fretta (questa serie sente l'urgenza di farsi del male) introduciamo una macchina del tempo che, indipendentemente dalla galleria, permette di viaggiare di 33 anni in 33 anni avanti e indietro nel tempo, espediente che ci permette di introdurre il tipico "viaggiatore" che misteriosamente arriva nella nostra epoca da chissà dove. Fate conto che Dark utilizza, per personaggi di età diverse, attori diversi e mai ma proprio mai ma proprio mai mai mai che qualcuno noti somiglianze o sia un minimo fisionomista, quindi quando lo straniero arriva in città lo spettatore non ha elementi per capire chi sia. Lo scopriremo comunque rapidamente (di nuovo?): è proprio Jonas, il protagonista della serie, figlio di Michael (e quindi del paradosso) che è poi il primo a scoprire dei viaggi nel tempo, ossessionato dal suicidio del padre/figlio del vicino di casa.
Ok, abbiamo un po' bruciato le tappe, ma a suo modo il mistero regge ancora: cosa vuole Jonas? Perché qualcuno ha messo in piedi un motore temporale a bambini morti? Cosa c'entra la centrale nucleare e le persone che la dirigono? Insomma, sebbene il ritmo di Dark sia soporifero e le sue soluzioni registiche povere se vi interessa la storia potreste avere ancora delle giusticazioni per rimanerci attaccati. In fondo ormai abbiamo esposto tutti gli elementi della nostra struttura e questa regge ancora, perché lamentarsi? Perché ecco giungere il secondo salto della quaglia.
La prima serie arriva a conclusione, ci vorrebbe un bel cliffhanger misterioso, ma purtroppo Jonas viaggiatore del tempo deve fare la solita cosa che non si capisce per non si capisce che motivo propria di tutti i viaggiatori del tempo. La produzione di Dark, però, ha sentore di rinnovo e a questo punto, essendosi già spesa buona parte delle proprie carte, la scelta tipica si sintetizza in: go bigger or go home. Visto che la decisione è go bigger ecco che Jonas viene risucchiato da un accidentale portale temporale (uno in più rispetto quelli che già conosciamo) e si ritrova 33 anni nel futuro, in un mondo devastato da una terribile apocalisse.
Si però potevate dirmelo che stavate rifacendo 12 Monkeys, che a me era pure piaciuto.
Il problema non è più, a questo punto, viviamo in un paese orribile dove i bambini scompaiono a mucchi, ogni posto è distante da qualsiasi altro posto cinque chilometri di strada in mezzo alla foresta e abbiamo una grotta che viaggia nel tempo. Il problema è: fermiamo l'apocalisse.
Se c'è un'apocalisse deve esserci qualcuno che la provoca, un villain che, dagli anni '20 trama qualcosa di misterioso: Adam. Chi è Adam? Di nuovo, bruciamo in fretta il mistero prima che la gente faccia confusione: Adam è Jonas, solo più vecchio (non è mai Lupus, è sempre Jonas). Adam in realtà non vuole l'apocalisse, Adam vuole distruggere il tempo (ve l'ho detto che era il remake di 12 Monkeys). Non si sa bene cosa questo voglia dire, ma in qualche modo ha a che fare con i paradossi. In realtà però Adam vuole solo che tutto avvenga a Jonas come è già capitato a lui, così che lui diventi Adam (riuscite a segurmi? Un po' d'acqua?) così quando Jonas e Adam si incontrano in verità la trama è già morta, qualsiasi cosa succederà sarà successa "perchè doveva succedere così" e la storia morirà come muoiono le storie di viaggi nel tempo, solo in una lunga, noiosa depressione.
Come? Come ha fatto Jonas dal futuro ha incontrare Adam negli anni 20? Beh, con il terzo salto della quaglia: la materia oscura che ha portato l'apocalisse è a sua volta un portale per i viaggi nel tempo che ti porta un po' dove caspiterina vuoi. Basta regole! Che sono noiose e hanno bisogno di qualcuno intelligente per applicarle.
L'intera seconda stagione è composta di Jonas che salta di qua e di là dicendo che deve fermare l'apocalisse e riuscendo sempre e solo ad avvicinarla di più, personaggi che scoprono di poter viaggiare nel tempo e cominciano ad andarsene in giro come nemmeno Dottor Who (così da spargere altri figli paradossali, principalmente) e Adam che annuisce saputo qualsiasi cosa gli dicano perché sa già tutto.
Nel finale di stagione Adam torna indietro nel tempo e uccide la fidanzata di Jonas così che Jonas si incattivisca e diventi Adam. Bella idea, vero? Lo era anche nella terza stagione di Flash. Visto che però questo non vi basta ecco il quarto (si, lì sto contando) salto della quaglia.
UNIVERSI PARALLELI! Chi era che chiedeva universi paralleli? Il signore là in fondo chiedeva universi paralleli? Ci risiamo, la seconda stagione è finita e gli autori hanno di nuovo esaurito tutte le cose interessanti. Go bigger. Come andare bigger dopo viaggio nel tempo e apocalisse? UNIVERSI PARALLELI!
La fidanzata di Jonas è morta, ma ecco che accanto a Martha-morta appare Martha-frangetta. Martha-frangetta ha una macchina del tempo dal design più pratico di quella di Jonas, più compatta, portatile e con gli inserti satinati, che le permette (non chiedetemi come o perché) di viaggiare tra universi. Date pure per morto l'universo di Jonas, per quello ormai solo apocalisse, ragazzine affamate sotto la pioggia e roba del genere... ma possiamo ripartire da capo con l'universo di Martha.
La terza stagione di Dark è all'insegna dell'agonia. Ogni tanto c'è qualche personaggio che, stancamente, si fa mettere incinta o tromba per portare avanti il nodo dell'idea iniziale perché ormai sono state vendute troppe tovagliette-colazione che lo riportano e dobbiamo tirarcelo fino in fondo. Intanto scopriamo che Martha nel suo universo è diventata una vecchia che sa tutto esattamente come Adam nell'universo di Jonas, ma si fa chiamare Eve. Adam e Eve, ovviamente, trombano e hanno un figlio, però dimenticatevelo pure, perché non serve a niente. Adam vuole distruggere il nodo (non si sa bene come), Eve vuole conservarlo (non si sa bene come), di qui in poi solo personaggi che viaggiano da una parte all'altra facendo esattamente quello che ti aspetti e non ottenendo assolutamente nessun risultato interessante. Per sette episodi. In tedesco. Con le foreste e la pioggia e la fotografia da serie nordeuropea che toglie la gioia di vivere. Ogni tanto musica anni 80. Tedesca. Così, per darvi un quadro completo.
MA
Serve un finale. Finalmente non è un finale di stagione, è un finale di serie. Però gli autori si sono bruciati tutti i ponti e tutte le linee per realizzarne uno. Cosa gli rimane? La quaglia. Sempre lei. Il colpo di scena unico e reale di Dark è che la quaglia è lo sceneggiatore. La quaglia spazza via con la sua aletta tutti gli arzigogoli messi in campo fino a questo momento e decide di far saltar fuori UN TERZO UNIVERSO. Un universo vero, senza nodi, senza paradossi, senza Adam ed Eve, dove c'è solo un tizio che nel suo laboratorio da scienziato pazzo fa una cosa stupida e distrugge il tempo. Da solo. E allora se fermi sto tizio dal distruggere il tempo allora la serie non serve nemmeno più. Certo, sembrerebbe un po' assurdo andare indietro nel tempo per impedire che nascano i viaggi nel tempo in un universo che non è nemmeno quello che ci si aspetta, ma abbiamo la quaglia, la quaglia scrive, la quaglia è operosa. Tutto d'un tratto Jonas e Martha, Adam e Eve, Cianni e Pinotten fanno l'ennesimo viaggio nel tempo nell'ennesima direzione in più, impediscono un incidente d'auto e la serie finisce.
Dark è una serie brutta. Vi diranno che è un capolavoro, ma non è così. Vi diranno che è intelligente e complicata, ma non è nemmeno quello. Una serie non è intelligente se puoi scriverci sopra 50k di spiegazione delle cose che non ti ha detto. Come vedete ci si possono scrivere sopra anche 50k per dire che avrebbe dovuto dirtele. Se anche proprio possiamo concederle che i suoi misteri siano raffazzonati (alle serie coi viaggi nel tempo si perdona sempre qualcosina) non possiamo concederle di essere mortalmente noiosa e di non portare avanti nessun personaggio se non "perché le cose devono andare così". E' semplicemente irritante. E io, irritato, mi sono messo a scrivere questo editoriale. No other reason given. E ora sto un po' più tranquillo.
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