Urlatori e urlatrici
Forti venti da Los Angeles hanno spazzato via la bonaccia novembrina: è la serata dei Game Awards 2023, la notte magica in cui i volti e i corpi di quelli che fanno i videogiochi vengono esibiti su un palco al grande pubblico.
Soprattutto quello mi ha affascinato di questa Sanremo dei reietti: vedere i volti e i corpi e il portamento e gli abiti non tutti a livello hollywoodiano della gente che fa i videogiochi. Sentire quel tremolio nella voce che tradisce l'emozione del momento. Occhi lucidi se non proprio calde lacrime di gratitudine ed emozione.
L'arte è un mondo spietato, l'intrattenimento è una giungla feroce, e con tante opere che si contendono la nostra attenzione dobbiamo per forza diventare molto selettivi. Qui su FTR poi ci facciamo vanto di commenti caustici e battutine salaci sulla roba che non ci convince. Non abbiamo relazioni dirette con chi fa i giochi (se non accidentalmente qualche volta), e nella rete telematica parasociale è facile smarrire la consapevolezza che anche loro sono persone. Dietro ogni gioco venuto male c'è almeno un essere umano che un po' ci credeva, o magari ci sperava tantissimo e ha dedicato anni della sua vita in quel progetto indie. Poi esce, e non lo gioca nessuno, e qualcuno lo schernisce. È la vita e non ci sono leggi di Stato che possano difendervi da questa dura realtà, ma almeno possiamo empatizzare.
Per ora: quanto sarà deprimente prendercela con il nulla quando i videogiochi saranno prodotti dalle Intelligenze Artificiali!
Volti lacrimanti, mani tremanti, gente che non sa bene cosa dire nell'emozione del momento, magari per la prima volta su un palco importante. Questo è il senso di una serata di gala nel 2023: riunire i nostri corpi fisici in un grande teatro per ricordarci che cosa siamo. O riunirci davanti a uno schermo ma insieme ad altra gente, a casa o nei locali pieni per l'evento anche a tarda notte ora italiana.
Celebrare le persone e non i contenuti audiovisivi, una volta tanto. Su chi vince e chi perde però possiamo stendere un velo pietoso, abbiamo già espresso più volte tutto il nostro disprezzo per queste votazioni demenziali. L'importante è essere lì, in platea o sul palco o sul divano di casa o al tavolo del pub: vedersi in faccia.
E allora scordiamoci u passato: archiviati gli occhi lucidi e le giacche discutibili e le spalle ingobbite e le parole che proprio non vengono fuori (è capitato persino al Maestro Kojima, un uomo dall'ego galattico), archiviati i giochi del 2023... guardiamo avanti, alle meraviglie del futuro.
È la seconda cosa a cui servono questi Game Awards: far sognare il pubblico con le pubblicità di giochi futuri, che potrebbero anche non concretizzarsi mai. A me sta bene così: sono un giocatore in pensione, dopotutto.
Per questo quando Kojima fa il suo ingresso teatrale dalla porticina horror di P.T., avvolto da luci e fumo di scena, e ci dice che il suo nuovo gioco (non quello dell'anno scorso, l'altro) sarà una nuova forma d'arte che unisce cinema e videogiochi, a me sta bene. Facci sognare, Maestro! Pompa di più le aspettative! Di più! Ancora una volta un gioco di Kojima inizia a intrattenerci già due o tre anni prima dell'uscita, e non l'abbiamo nemmeno ancora comprato!
Questo “OD” ci sbatte davanti le facce distorte dal terrore di tre attori reali che recitano un pangramma in lingua inglese. Nel presentarlo, Kojima ha dichiarato che sta facendo due giochi, e questo è quello “avant-garde”: ah, quindi il seguito di Death Stranding per lui non era abbastanza avant-garde?!
OD è un gioco del terrore “Per Tutti i Giocatori” ma anche per gli “urlatori” più in generale, che mescola cinema e videogiochi e fa uso delle tecnologie in cloud: questo è lo spettacolo avant-garde che sta allestendo il Maestro, con la collaborazione di registi importanti come quello di Nope (2022) (notevolissimo).
Alla peggio verrà fuori una serie Netflix. Al meglio... le possibilità sono infinite.
Per il resto, dall'avant-garde all'avanspettacolo il passo è breve, e questo anziano omino giapponese che pubblica l'elenco della spesa dettagliato di tutti gli abiti che ha sfoggiato sul palco, nemmeno fosse sulla copertina di Grazia, è francamente patetico. Ci piace anche per questo.
A parte OD, è stato mostrato tanto altro sul maxi schermo dei Game Awards, e diverse immagini hanno catturato il mio interesse: qualcosina ha persino fatto breccia nel mio cuoricino rinsecchito, ma sarà meglio parlarne la volta prossima.
Così come ci resta da parlare dell'altro grande sconvolgimento della settimana, ovvero la prima pubblicità del gioco più ricco di tutti i tempi.
Per il momento, ci tengo solo a riportare una nota edificante: finalmente quest'anno ha visto il sorpasso, nella classifica dei miei affetti più grandi, di Final Fantasy sul Maestro Kojima. Non ne ho parlato oggi perché è tutto noto, buono e giusto: ma Final Fantasy VII Rebirth ogni volta che si mostra mi conferma nella certezza del suo valore, senza patemi. Death Stranding aveva spodestato Final Fantasy, lo ammetto, ma per rovesciarlo bastava il ritorno di Aeris in abito da sera che canta “No Promises To Keep” (e Tifa, in qualsiasi abito, anche se non canta).
Si dice che invecchiando torniamo sempre agli affetti della fanciullezza.
La vittoria alata
Settimana dei Game Awards e forse la notizia più interessante è che vale la pena parlarne. Intendiamoci, i premi, anche prestigiosi, sono sempre dei giochini mondani, indipentemente dal media a cui fanno riferimento, ma possono anche essere un buon momento per fare il punto della situazione e magari fare qualche riflessione su certi prodotti anche a distanza dalla loro data d'uscita, con maggior lucidità.
I Game Awards, trattandosi di videogiochi, sono un evento molto giovane, che ha solo nove anni, e quindi solo ora comincia ad avere l'autorità di essere qualcosa a cui la gente guarda, piuttosto che essere un ragazzetto che sbraccia cercando di essere guardato. Quest'anno poi ha potuto giovare di uscite che hanno reso realmente incerto il vincitore e allo stesso modo ha visto nelle candidature titoli così diversi da far chiedere se veramente il vincotore sia confrontabile con gli altri
Come ha già avuto modo di far notare Lo-Rez, in una distopia corretta e completa il vincitore avrebbe dovuto essere Spider-Man 2, perché è il gioco che probabilmente farà più soldi facendo meno dannare i videogiocatori, con un brand conosciuto anche fuori dalle tane nerd e con dietro firme gigantesche. Sarebbe stata la vittoria della maggioranza silenziosa, se fosse accaduto non ci sarebbe stato tanto da filosofeggiare a riguardo. Intendiamoci, non è vero, come dice Lo-Rez, che la candidatura è sbagliata, Spiderman2 è il triplaA come lo abbiamo sempre inteso nell'era della dittatura dei triplaA, è il gioco del "genere" dei videogiochi "che fanno i soldi e piacciono ai bambini", sarebbe stato paradossale non averlo in rosa. Non è però certamente "il miglior gioco dell'anno", in una maniera più sottile gli altri. Non è il miglior gioco dell'anno perché nemmeno ci ha provato a esserlo, ha pensato gli fosse tutto dovuto.
E' allora il miglior gioco dell'anno Baldur's Gate III, che è stato per questo premiato? Lo è negli stessi termini in cui si sarebbe potuto definire tale Baldur's Gate II nel 2000. E' il miglior RPG (tradizionale/occidentale/D&D based ecc ecc) uscito quest'anno e un gioco di qualità sopraffina. Se siete giocatori di RPG sicuramente dovete farlo vostro. Ma com'è che sembra che siamo diventati tutti giocatori di RPG?
Questi dubbi non ci avrebbero tormentati se avesse vinto Spiderman. Perché qualsiasi giocatore con un po' di disponibilità a giocare probabilmente ha comprato, negli ultimi sei mesi, Baldur's Gate III e Spiderman. Oppure Alan Wake 2 e Spiderman. Persino The Legend of Zelda e Spiderman (tanto lo so che avete più di una console in casa). Spiderman è il gioco che compri senza chiederti che giocatore sei, gli altri invece dovrebbero dipendere da un'identità.
Invece no. Baldur's Gate III, che appartiene al genere più di nicchia disponibile nella rosa dei candidati, ha vinto e effettivamente tutti ne hanno parlato (o hanno almeno provato a fare sesso con l'orso) per cui è giusto così. In un certo senso hanno fatto vincere il "meno triplaA" dei triplaA, come se la gente avesse disperatamente bisogno di qualcosa che non fosse Spiderman 2. Perché tanto Spiderman 2 l'avevano già comprato.
Non cercate nelle mie parole un tono polemico, io che pure non giocherò Baldur's Gate III perché non mi piacciono così tanto gli RPG sono contento che abbia vinto perché è un prodotto di qualità che ha avuto dietro un grosso lavoro ed è pure uscito piuttosto stabile. Mi chiedo però di cosa sia specchio questo. Secondo voi qualche altra grande firma ha messo in cantiere un RPG simil-D&D tra le sue prossime uscite? Lo sappiamo sia io che voi: assolutamente no. Se siete fan di RPG farete di Baldur's Gate III la vostra casa per i prossimi anni. Se non lo siete, dopo averlo comprato l'anno prossimo comprerete qualcos'altro.
Probabilmente in questo non vedete nulla di sbagliato, ma tutti quelli fra voi che hanno un po' in mente come era fatto il mercato negli anni 2000 immagino colga la nota dissonante.
Oltre a questa riflessione che vorrebbe servire a mettere questo evento in una diversa prospettiva sottolineiamo naturalmente il piacere per i vari riconoscimenti ottenuti da Alan Wake 2, non tanto per il gioco in sé, ma perché, come sapete, ci stanno simpatici i Remedy e visto che la casa ha rischiato quasi di venire giù proprio sul primo capitolo di Alan Wake questo riscatto è una storia a lieto fine che ci è piaciuto vedere.
Infine non si può non notare che Dave the Diver non ha vinto il premio di miglior videogioco indie e probabilmente non sapremo mai se non lo ha vinto perché Sea of Stars è migliore o perché non era abbastanza indie. Speriamo però che l'organizzazione per l'anno prossimo si doti di uno statuto solido nei confronti di certe ambiguità che fanno molto "così vanno le cose nel mondo dei videogiochi" però dopo tanti anni anche basta dai.
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