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1108, 01/04/2023 - Il server Dobby
1108
01 . 04 . 2023

Un futuro radioso

Fuori splende il sole ma cosa volete che ce ne importi, noi siamo solo indecisi su quale delle Nostre Signore del Dolore di De Quincey dovremmo adorare ora.
L'erba è verde e folta e mossa dal vento con una dolcezza ammirevole che i videogiochi non sono ancora riusciti a riprodurre, e nell'aria pulita si vedono le montagne azzurrine... forse la Mater Lacrimarum? Ma sì, dai, conserviamo ancora un po' di speranza.

Faremo come i nostri personaggi nella strip odierna, sepolti vivi nei sotterranei dove lampeggiano le lucine, ignari se sia primavera o inverno, soleggiato o piovigginoso.
I videogiochi, almeno in questo, ci vengono incontro. Si dispiegano davanti a noi in una lunga galleria delle meraviglie. Da qui al prossimo inverno il calendario è costellato di gemme preziose, un'abbondanza mai vista: Octopath Traveler 2 e Resident Evil 4 Remake sono ormai già dimenticati, all'orizzonte si profila il nuovo Zelda: Tears (ha!) of the Kingdom, e poi Street Fighter 6, di cui non ho parlato abbastanza ma intendo rifarmi. E poi subito Final Fantasy XVI, di cui invece ho parlato sovente. Poi Armored Core 6, di cui mi riprometto di dire cose buone, e quest'inverno (ma probabilmente già a ridosso del disgelo) Final Fantasy VII Remake Parte 2.
E queste sono solo le certezze. Tra questi giganti debutteranno potenziali capolavori (ma forse no) come Diablo IV, che forse al lancio farà un po' schifo, il nuovo gioco col cavaliere Jedi della Generazione Z (!!!), e poi Starfield e Baldur's Gate 3 che sono RPG occidentali e quindi mi stanno antipatici a prescindere.
In più, un sottobosco sterminato di giochetti piccini piccini, fragoline di bosco come GrimGrimoire Once More dei Vanillaware, con la solita grafica deliziosa di George Kamitami, riproposto oggi in forma smagliante: la versione pervertita di Harry Potter, a base di principesse maghette gestionali e troppo, troppo giovani per fare il mestiere.
C'è questo Dredge che sta raccogliendo il plauso generale per le sue battute di pesca negli oceani infestati da mostruosità Lovecraftiane, e il suo primato tra gli indie potrebbe durare tutto l'anno.
C'è l'italico Vampire Survivors, reduce da una gloriosa vittoria come Gioco dell'Anno, nientemeno, dopo aver subito un torto clamoroso in altre competizioni: chi gli ha preferito quella sciocchezza insipida di Stray è un mostro senz'anima. Davvero, Stray non fa assolutamente nulla che non faceva, meglio, Mickey Mouse's Castle Of Illusions trent'anni fa: alla faccia dell'originalità. Va bene i gatti, i gatti ci piacciono tantissimo, ma non bastano.
Vampire Survivors è il giochino italiano che più piccino non si può, ma è anche un buco nero che emana un'attrazione irresistibile: una prova di volontà di livello altissimo, che richiede un tiro da venti naturale per sfuggire indenni.

E insomma, non è mai stato così: a memoria d'uomo non s'è mai vista tanta abbondanza, complici i rallentamenti dovuti alla ben nota Situazione.
Ma dicevo di Zelda. Lo Zelda nuovo, quel- ehm, no, scusate, mi sono confuso ancora. Volevo dire Link. Link quello nuovo, con il capello fluente e mezzo nudo.
Il suo papà ha presentato con orgoglio i primi passi della nuova creatura in questo video di 10 minuti: chi rimane indifferente non ha un cuore di carne. Nintendo, si sa, va sempre per la sua strada, senza guardarsi attorno. Perdonami, Nintendo, se la mia fede per un attimo ha vacillato! Ora è chiaro perché ci stai mettendo cento anni a fare il seguito del gioco più divertente di tutti i tempi: è perché vuoi superarlo.

Lo-Rez: arte, storia, web design
01 . 04 . 2023

Fungo da zombie

L'editoriale di The Last of Us. Qualcosa di doveroso. Avremmo fatto più bella figura a giocare il gioco oltre che a guardare la serie TV, ma scoprirete leggendo che non giocare il gioco è servito. E poi io tengo ancora Death Stranding, che l'altro giorno sono corso via dai MULI e su per una montagna come uno stambecco così forte che in cima Messner mi ha offerto un bicchiere d'acqua altissima, purissima, levissima (questa la capiamo in pochi, lo facciamo apposta).
Ok, però non divaghiamo.

FTR non è un luogo in cui arriva uno che si dice saputo e vi spiega solo le cose con una recensione forbita (nessuno, in fondo, lo fa), a noi interessa anche l'impatto sulla popolazione delle opere ed è indubbio che la prima cosa che mi ha colpito di The Last of Us, quando ancora non l'avevo vista, era che stava piacendo un sacchissimo a tutti.
In un certo senso questo mi ha suscitato stupore perché siamo in un periodo in cui l'hype sempre più raramente corrisponde a prodotti di qualità, a partire da quella storiaccia degli anelli, così vedere un così solido entusiasmo per un prodotto così nerd mi ha colpito, anche perché si è trattato di un entusiasmo che non è valso solo per il primo episodio (o per la ragionevole copertura dei soldi investiti in bot internet), ma ha retto tutti e nove gli episodi configurando la saga del fungo assassino come la serie-evento dell'anno (e siamo solo a marzo!).

Il mio avvicinarmi a The Last of Us è stato, invero, tiepido. Non ho mai giocato al gioco e in fondo gli zombie movie non sono mai stati la mia tazza da té. L'importanza narrativa di quest'opera mi è sempre stata nota, ma a volte c'è qualcosa che, a pelle, ti tiene lontano anche da reali capolavori. In questo caso non si tratta di una critica, si tratta solo del fatto che i tuoi gusti non possono abbracciare tutto il bello (e diffidati di quelli che si comportano come se per loro fosse così).

Quindi?
Eh.

Lo-Rez (che giustamente ha parlato della serie settimana scorsa per il noto fenomeno dell'entanglement editoriale) parla di tristezza e di tristezza parlo anch'io, solo che non parliamo della rappresentazione della tristezza, ma di vera e propria tristezza narrativa.
Fingiamo di non sapere da dove viene The Last of Us e guardiamolo un attimo con occhio distaccato: stiamo parlando di un road movie in un universo post-apocalittico in cui un protagonista burbero e una ragazzina sicura di sé vanno dal punto A al punto B in cerca di una mitologica salvezza della razza umana. Un soggetto terribilmente standard, quasi più per le serie TV che per i videogiochi e che, di per sé, non può essere visto come il punto di forza del prodotto. Come se non bastasse, intorno a questo crescono tutti i più classici cliché del genere: lo stato fascista, i ribelli buoni ma senza scrupoli, le comunità fondamentalista religiose disperate, la gente che comincia a picchiarsi finché non arrivano gli infetti e li divorano ecc. ecc. No, nemmeno l'approccio ha qualcosa che considerei innovativo.
Eppure, intendiamoci, va bene così. Per quello che riguarda le storie cornice ormai siamo rotti a tutte le esperienze, sappiamo perfettamente che la narrazione moderna, anche quando è buona, si limita a prendere qualcosa di esistente e poi ne sfrutta un aspetto magari minore, ingigantendolo a dargli la dignità di una storia. The Last of Us, dal primo frame visto in un trailer del gioco, è sempre stato soprattutto il rapporto tra Joel e Ellie, il senso di assenza della figlia perduta di Joel, lo sviluppo di Ellie che è inevitabilmente danneggiato dall'universo in cui si trova a crescere, il loro rapporto che si rinsalda via via che la loro avventura prosegue, col crescere delle peripezie che affrontano.
Ecco, questo è il nodo centrale: le peripezie. Si sono dimenticati di mettere le peripezie.
The Last of Us può essere un racconto intimista quanto si vuole, ma è la storia di un paio di personaggi che affrontano quello che dovrebbe essere un reale inferno per sopravvivere, attraversando un mondo ostile ormai composto solo di cose che possano ucciderli. Questo, assolutamente, non c'è. I personaggi vanno in giro per le foreste senza mai dare la sensazione di essere in pericolo, trovano comunità che si condannano da sole alla morte più per imbecillità che per reale disperazione, molto spesso fanno i turisti per città deserte, infestate, dicono, ma in realtà con solo un paio di fastidiosi funghetti che saltano fuori giusto per ravvelocizzare un po' le scene. Superano quello che viene letteralmente chiamato "il fiume della morte" e dall'altra parte ci trovano la Casa nella Prateria. Le poche scene action che ci sono sono anche gli unici momenti didascalici della serie, in cui si vede perfettamente la riproduzione di momenti topici del videogame e sono piuttosto cringe, come spesso accade quando si prova di mettere su pellicola il look and feel di uno shooter.
Voi potete anche venire qui a dirmi che questo non è quel racconto action un po' adolescenziale in cui bisogna passare il tempo a guardare la gente che spara agli zombie, questo è un evoluto romanzo moderno nel rapporto tra due persone e la loro crescita. Ecco, col cazzo. Col cazzo perché l'impianto narrativo di The Last of Us si regge su due gambe: il rapporto tra Ellie e Joel e la condanna a morte della razza umana. Se gli togliete una gamba anche tutto il vostro discorso intellettuale bellissimo di rapporti umani crolla, perché è sulla disperazione e sulla lotta per la sopravvivenza che questi rapporti sono costruiti, è il contrasto tra quelli e la società che collassa che The Last of Us trasmette qualcosa, altrimenti è "In campeggio con papà".

Ma cos'è successo? Come siamo arrivati a qualcosa del genere? Questo è realmente interessante.
Gli autori di The Last of Us sanno perfettamente che The Last of Us ha trasmesso un mucchio di intense emozioni a tante persone e hanno fatto quello che solo delle persone molto ingenue avrebbero potuto fare: hanno pensato di dover narrare solo le sequenze filmate, i punti di svolta, le scene che mandano avanti la trama. Hanno creduto che la storia non fosse nel videogioco, ma tutto intorno. Il risultato è questa pagnotta che arriva sugli schermi con tutta la sua bella crosta croccante, ma scavata della mollica.
Il videogioco E' narrazione. Non è narrazione lineare, non è narrazione nel senso in cui lo intendiamo nei media passivi, ma lo è. Quando passi quaranta minuti con il joypad in mano, con il batticuore, sapendo che da ogni parte potrebbero sbucare dei mostri e mangiarti provi delle emozioni che porti con te quando ti viene raccontata la storia. Quando quindi, per esempio, Ellie va in giro da sola per la foresta tu senti che c'è qualcosa di sbagliato perché non sei lì a proteggerla perché l'hai protetta fino al momento prima e sai che la foresta è pericolosa perché ti ha ucciso infinite e infinite volte costringendoti a ripetere i livelli.
In The Last of Us giochi l'apocalisse e sei spettatore di un rapporto umano molto delicato che cresce in mezzo a essa. E questo rapporto è potente perché è in mezzo all'apocalisse e l'apocalisse è quella cosa che hai assaporato smanettando col joypad.
Chi ha un po' di anni sulle spalle (ettepareva) ricorda perfettamente la sensazione di inferno e dannazione che trasmetteva Doom. Doom era un gioco stupido, partiva da un presupposto idiota, non narrava praticamente nulla. Ma il suo gameplay ti faceva sentire all'inferno, ti opprimeva facendoti giocare, nel mentre che giocavi ti narrava qualcosa.

Per questo la mia conclusione su The Last of Us è tristezza narrativa. The Last of Us ha una fattura ottima, una recitazione ben fatta, addirittura qualcuno che ha studiato una fotografia mentre altri facevano delle riprese in esterna (fantascienza, per le serie TV moderne), ma non mi ha mai emozionato. Ha scelto di non usare mai il jumpscare ed è una scelta legittima, però non ha mai usato nessun altro metodo per trasmettere tensione, non ha mai fatto niente che mi facesse rimbalzare il cuore. I famosi bellissimi blah blah blah episodi flashback possono anche essere considerati racconti a sé, ma anche in questo caso le emozioni che avrebbero dovuto accompagnare la storia io non le ho viste. Tutta la narrazione è narrazione di emozioni, in un certo senso in questo il videogioco ha avuto dei vantaggi fin dai suoi albori, fin da quando mostrava solo i quadratini bianchi e neri, perché nel momento in cui interagisci necessariamente ti emozioni di più. Un racconto per ottenere lo stesso risultato deve fare un pochino più di fatica, ma è una roba che in fondo fa da sempre, dagli albori dei tempi. Qui invece, almeno per quel che mi riguarda, non c'è riuscito.

- You live in a psycho bunker where 9/11 was an inside job and the government are all Nazis.
- The government are all Nazis!
- Well, yeah, now! But not then!

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