Mattanza
Non tanto d'anni s'è trattato, ma di chilometri. E i chilometri fanno male, soprattutto se non siamo archeologhi avventurieri rubacuori. Cioé, naturalmente facciamo del nostro meglio per esserlo, in questa estate iper-cinetica, in cui dopo il tramonto ci si prende a pallate violente dentro un'arena chiusa da reti e vetro: una roba che pare uscita sempre da un film degli anni '80, ma di un altro genere, tipo Thunderdome.
L'estate, non so perché, è il tempo delle letture più intense e fruttuose. Mi rendo conto, dopo oltre vent'anni, che su queste sacre pagine di FTR non c'è mai stata molta Letteratura, pur considerando che metà del personale che lavora al sito fa lo scrittore e ha pubblicato romanzi non solo per cocciutaggine ma addirittura su richiesta di un editore.
Non ho piani per dare una svolta letteraria a questi editoriali, però quando capita ho dato e darò i miei impertinenti consigli non richiesti.
Ad esempio, in questi giorni esce l'espansione di Monster Hunter Rise. Che è un gioco, me ne rendo conto, ma il fatto è che esiste una serie di romanzi che sembra in tutto e per tutto la risposta letteraria e italiana a Monster Hunter: Mattanza.
Dove la Mattanza in questione è una grande fiera/torneo in cui i cacciatori dimostrano la loro abilità cacciando le orripilanti belve che infestano il Regno di Taglia. Il Regno di Taglia (sottotitolo: Ignoranza Eroica) è appunto la serie fantasy, anzi l'editore ruffiano la definisce spaghetti-fantasy.
Mi riempie di gioia conoscere un libro di questo genere che una volta tanto esibisce la sua italianità con arroganza invece di nascondersi pavido dietro all'emulazione del fantasy anglosassone. Ecco, forse però l'arroganza è un po' troppa, in questo caso... cioé, anche meno. Il duo di autori si fa prendere la mano sia nei toni (che sono mostruosamente orrorifici e disgustosamente volgari, ma ammetto di avere degli standard da educanda ottocentesca), sia nello stile, che si prende un po' troppe licenze poetiche e alla lunga stanca.
Dunque si tratta di libri da tener presente, anche se non sono necessariamente raccomandati. Accontentiamoci che esistano libri così anche nella povera Italietta.
Ma dicevamo di Monster Hunter Rise: Sunbreak. Il gioco è sempre Monster Hunter, senza un briciolo di Italia neanche a pagarlo, e anche senza l'orrore e gli squartamenti e i fluidi corporei e le battute laide di Mattanza. È ancora il caro vecchio gioco in cui prima della caccia si va a mangiare i dolcissimi dango al ristorante dei gatti chef.
C'è dunque viceversa tantissima Giappolandia, e a voler esser pervertiti uno lo noterebbe anche solo dal duo di graziosissime gemelle che ci assegna le missioni, nei loro yukata coloratissimi.
“Sì, ma a parte le gemelle con la frangetta, il gioco com'è?” potrebbe chiedere assolutamente nessuno. Che volete da me? Intanto è un'Espansione, badate, non un misero DLC: c'è più roba là dentro che nel gioco base. E poi è Monster Hunter ad altissima concentrazione, il che significa che se siete particolarmente deboli di volontà vi ruberà qualche migliaio di ore di vita, passate in un ciclo perpetuo di caccia e artigianato.
Avevano ragione le nostre mamme.
Grumpy
Sempre molto orgoglioso quando vanno online delle battute costruite su sotto-sotto-sotto-riferimenti stratificati che capiranno in due e magari nemmeno quelli perché sono io che li ho fraintesi e li ho resi male. FTR esiste anche per quello, per ridarvi quello che l'internet vi ha tolto, ovvero quella sensazione di spaesamento, di "what?" che vi dimostra che non sapete tutto. E' il primo passo per l'evoluzione.
Ah già, l'internet, è sempre divertente venire qui a fare il figurante che si atteggia da vecchio trombone e parla male di tutto e tutti ricordando dei tempi belli e dando l'impressione che solo lui sappia come vanno le cose mentre il resto del pianeta non capisce nulla. E' una specie di maschera della commedia dell'arte moderna, un ruolo che qualcuno deve ricoprire, un copione da recitare.
Poi però, beh, ci sono quei momenti in cui invece capisci che no, è proprio così, tu fai bene a essere arrabbiato e il pianeta gira nel senso sbagliato e l'internet è maledettamente rotta.
Ron Gilbert è stato attaccato su questa bellissima internet che doveva evolvere i popoli, da delle persone probabilmente non ancora dotate di peli sul pube o probabilmente uscite dall'adolescenza solo dal mero punto di vista numerico che si sono sentite il dovere di spiegargli come si fa Monkey Island. Gente che cerca di spiegare come si fa Monkey Island a Ron Gilbert. Lui, che fortunatamente appartiene a una generazione che può anche sbattersene dei like, alla fine, dopo aver letto tutte queste dotte critiche ben esposte con forbite argomentazioni ha deciso (e qui userò parole non proprio usuali in FTR) che si è rotto i coglioni dell'interazione social e ha chiuso i commenti sugli sviluppi del gioco, scegliendo di uscire dall'agorà social, facendoci la figura del "grumpy gamer", sembrerà a voi, oppure facendo una scelta di igiene sociale molto avveduta, dico io.
Le critiche che sono state mosse hanno riguardato la direzione artistica (ci torneremo), il fatto che il gioco uscirà innanzitutto per Switch (come se da qualche parte qualcuno potesse arrogarsi lo ius prime noctis) e pure la modalità semplificata, una cosa che Monkey Island ha esattamente dal 1991. Sicuramente le critiche alla direzione artistica sono quelle più succose. A parte quelli che hanno detto che semplicemente il gioco è brutto (che non è vero, ma i gusti son gusti),
sembra che alcuni scienziati del videoludo si siano lamentati del fatto che il gioco non sarebbe stato in pixel art, come se la pixel art fosse l'acme della direzione artistica.
Ecco, cerchiamo di cominciare a sfatare qualcuno di sti falsi miti del progesso che letteralmente infestano la scena attuale: la pixel art è una forma d'arte, quando è realizzata bene, ma non è l'apice della grafica videoludica, è un sistema spesso poco costoso di realizzare videogiochi che si porta con sé anche un diffuso e generico effetto nostalgia del genere Stranger Things, ovvero ormai completamente inefficace su tutti quelli che hanno vissuto l'epoca di riferimento, ma incredibilmente romantico per tutti quelli che l'epoca di riferimento non l'hanno mai vista e non hanno nemmeno idea di come fosse fatta davvero. Io, ve lo dico sinceramente, quando hanno cominciato a tornare alla pixel art, per tutte le ragioni per cui ci sono tornati, un po' di anni fa, ammetto di essermi commosso e sono il primo ad aver detto che la grafica di certi giochi, proprio perché in pixel art è sostanzialmente senza tempo. Oggi, però, che si fa in pixel art anche la pasta al sugo e sono tutti lì a credere che l'abbia realizzata Andy Warhol in persona forse è ora di dircelo che c'è pixel art e pixel art e che ci sono scelte di direzioni artistiche che possono comprendere di usare come di non usare la pixel art. Che senso avrebbe avuto, per Monkey Island, tornare alla pixel art? Perché ci saremmo dovuto andare a impantanare in un nostalgico ritorno al passato alla Fabio Fazio solo per avere i personaggi come li avevamo avuto nel 91? Monkey Island fu pubblicato con la miglior tecnologia disponibile del tempo, esprimendo un tratto grafico identitario. Monkey Island 2 fece la stessa cosa sfruttando la miglior tecnologia di riferimento del suo tempo (e fu un bel salto, credetemi). Questo nuovo Monkey Island oggi deve (deve) presentarsi sfruttando la tecnologia che ritiene più opportuna spremendoci fuori tutto quello che sarà necessario per esprimere la sua idea di direzione artistica che deve essere, innanzitutto di carattere. Non nostalgica. Non processabile da piccole persone che non hanno il semplice concetto di arte nel loro cervello. Non ovvia. Deve essere quella scelta per servire l'idea del videogioco. Perché è così che si progettano le direzioni artistiche nei videogiochi. Almeno quando lo si fa tra adulti.
Ma piantiamola pure qui. Voi sapete che esiste un lato oscuro negli autori di FTR, un certo desiderio, ogni tanto, di indulgere nell'odio, quell'odio vero, feroce eppure innocuo che ci ha mosso negli anni della nostra giovinezza, quando galoppavamo per i forum consapevoli di dover uccidere o essere uccisi. Questa genuina ferocia è qualcos'altro che ci ha portato via l'internet d'oggi, ma non per il bene, perché ha fatto sì che venisse sostituita dalla frustrazione, dall'invidia e dalla meschinità, pulsioni più piccole, ma che corrodono silenziosamente e inesorabilmente, senza rimedio.
Quello che conta è che The Return of Monkey Island continua a essere in produzione e nessuna delle critiche espresse online dai poco edotti sarà tenuta in considerazione. Ammetto che non seguivo costantemente il diario di sviluppo perché è una cosa che non ho mai fatto, anche se ogni tanto anche su Twitter qualche battuta carina di Gilbert è uscita. Non sentirò quindi poi più di tanto la mancanza dello sviluppatore ritirato nel suo silenzio perché gli sviluppatori, innanzitutto, sviluppano, tutto il resto è un orpello di cui possiamo fare a meno. Dopotutto, c'è così tanta gente in giro a sparare idiozie che se anche loro smettono non si nota quasi.
Editoriale furioso che va verso la chiusura. Come sapete FTR vive di ossessioni ed è evidente che Monkey Island mi appartiene completamente, motivo per cui è già la seconda volta che la colonna viene completamente dedicata al suo sviluppo. Ci verrà voglia, naturalmente, di raccontare di altri temi, presto. Soprattutto se questa maledetta internet vede di comportarsi un po' benino.
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