Il tempo che usiamo
La conversazione raffigurata nella strip odierna potrebbe essersi svolta negli uffici di Ubisoft: o perlomeno così vuole il Meme.
Il meme regna sovrano, plasma la nostra percezione della realtà. Si fa realtà esso stesso, perlomeno in una bolla locale.
E così il mondo ride di Ubisoft, l'ha già condannata prima ancora dei mercati, già pregusta il sangue come squali in frenesia... esige il sangue: e forse ormai è troppo tardi per tornare indietro, anche se il Gioco che Deve Salvare Ubisoft™ non si rivelerà forse il disastro commerciale che i molti nemici della casa francese pregustavano.
Abbiamo già parlato di recente del nostro personale rapporto con la Fabbrica dei Francesi in occasione del loro precedente insuccesso e poi dell'anteprima di questa nuova delusione: è stata più che altro l'ennesima occasione per psicanalizzare un rapporto che, su questo fumetto in particolare, va avanti da quindici anni a colpi di, ehm, boicottaggi e magliette satiriche.
Ma tale è la guerriglia asimmetrica a cui siamo condannati. Ah, sì, e poi la nostra indignazione morale, la nostra fervida condanna, si può esprimere anche non comprando i loro prodotti: che gran vittoria, eh?
Questo Follow The Rabbit è tanto abituato a stare dalla parte dei reietti e dei preteriti che oggi non riusciamo proprio a non commiserarla un pochino, la ditta Ubisoft Cagna Maledetta. Naturalmente l'unico parametro importante per Ubisoft saranno gli incassi di questo Assassin's Creed: Quello In Nippolandia. Tutto il resto, giudizi di merito, critica estetica... quelli sono solo per noi. Prodotto, non Opera. Del resto è proprio questo il problema.
Saranno anche solo per noi, ma allora togliamoci almeno questa soddisfazione perversa, e diciamo qualcosa di un gioco di cui non ho proprio voglia di parlare. Anche solo battere i tasti su questo argomento mi pare un po' uno spreco di tempo.
Ecco, Assassin's Creed 2025 è uno spreco: di tempo nostro, di tempo per quelli che l'hanno fatto, e di soldi. Ma i paesaggi sono bellissimi! I monumenti sono ricreati con un'ottima cura! I costumi anche...! Eppure quei costumi sono vuoti, sono riempiti da personaggi vuoti con il vuoto dietro gli occhi. E quei panorami sono sempre sospesi tra uno stile iperrealistico e uno stile fotorealistico, come del resto l'intero gioco è sempre titubante sulla strada da prendere: vorrebbe farti giocare una ninja (una KUNOICHI) furtivissima ma poi per paura di perdere la fascia demografica degli appassionati dell'azione ti fa giocare anche uno grosso che mena... vorrebbe scrollarsi di dosso il meme umiliante della mappa riempita di segnalini che ti conducono per mano uccidendo ogni sensazione di scoperta, ma poi i segnalini te li mette lo stesso perché ha paura di perdere la fascia demografica di quelli che vogliono solo spegnere il cervello.
I giochi decisi durante le riunioni finanziarie vengono fuori proprio così: cosine pavide e informi, appiattite su schemi collaudati; personaggi costruiti a colpi di mozioni da comitati ideologici; sistemi di gioco “larghi un chilometro e profondi un centrimetro”.
Siamo reduci dalle visioni sconvolgenti di Death Stranding 2. Ci hanno sconvolto su due piani: su quello puramente estetico ed emotivo, e poi perché sono l'esatta antitesi del modo di fare videogiochi rappresentato da Ubisoft. La Corte dei Miracoli riunita attorno al suo Maestro conta quasi cento volte meno personale di Ubisoft: e in dieci anni, dicevamo, ha saputo costruire da zero un universo affascinante, un'avanguardia artistica in tutti i campi.
Tu cos'hai saputo costruire, Ubisoft, in questi dieci anni? Storielle avvilenti, puerili, esempi raccapriccianti di cattiva scrittura... e qualche buona ricostruzione 3D di monumenti storici, isolata in un oceano di mota.
Pensa se in quella decade quelle cento volte duecento persone fossero state messe al lavoro su cento progetti ridotti, ciascuno sotto la visione artistica unificatrice di un Autore vero: che Età dell'Oro sarebbe stata!
Molti avrebbero fallito, perché gli autori veri sono pochi, ma per quei pochi ne sarebbe valsa la pena; e anche economicamente sarebbe stato un modello ben più sostenibile, perché i successi di pochi coprono i costi di tutti... e invece Ubisoft si ostina a voler fare il suo colossal stile Cleopatra, rischiando ogni volta la bancarotta.
Continua dunque la nostra personale crociata contro i giochini che fanno bip-bop: perché il Giocazzo Ubisoft 2025, come gli ultimi polpettoni Sony, è proprio quella roba lì: carrube per i porci. Per gente che arriva stanca sul divano e tutto desidera tranne che esser messa alla prova, o attivare cervello, cuore o polpastrelli.
Consumatori distratti che divoreranno chilometri e chilometri di territorio giapponese ricostruito con grande dispendio di mezzi: colpa anche di un gioco che non ti dà alcun appiglio emotivo per soffermarti un istante su alcunché.
E allora non ti voglio male, Ubisoft: vorrei solo che ti sforzassi di crescere. Ora come ora sei solo uno spreco di tempo.
Lo-Rez: arte, storia, web design“Ho capito che il tempo che uso non è soltanto mio.”
— La Somma Frieren
Something rotten in San Andreas
MUBI, la piattaforma di streaming di quelli che se la sentono, ma anche la piattaforma che ogni tanto viene via a un euro per tre mesi, nelle scorse settimane ha messo online un documentario chiamato Grand Theft Hamlet in cui viene raccontato come un gruppo di persone hanno messo in scena l'Amleto all'interno di GTA Online
Diciamo subito che è una visione un po' faticosa, il documentario è completamente ambientato all'interno del gioco e quindi le capacità recitative delle persone sono quelle dei personaggi di GTA Online, che non è nemmeno animazione cutting edge per la nostra epoca. Le voci sono ovviamente reali e vengono dai microfoni, ma personaggi che confessano le loro problematiche mentre sulle loro facce ci sono stampate le espressioni un po' da pesce lesso degli NPC dei giochi tridimensionali non funzionano esattamente come dovrebbero, in termini di empatia.
GTA Online è un altro di quei progetti di cui si parla poco e monetizza tanto. Che GTA sia un long seller e il sesto capitolo sarà sicuramente uno dei titoli di cui parleremo a lungo è conclamato, ma pochi pensano a quale successo sia stato l'universo condiviso messo in piedi da Rockstar. Un universo che, in un certo senso, era già lì solo da avviare a partire dai giochi single player, ma che comunque ha richiesto degli investimenti e dell'intelligenza.
Oggi i MMORPG sono al crepuscolo e forse GTA Online è tutt'oggi uno dei più sani, con tutte le sue aggiunte tamarre, i voli assurdi in bicicletta e le sue possibilità bizzarre. Dovremmo un giorno sederci intorno a un tavolo e chiederci perché abbia avuto successo. Non perché sia diventato il gioco più importante dell'universo perché non lo è, semplicemente perché la sua azienda ha finito col guadagnarci. Se è vero che è così difficile tirare fuori soldi dai videogiochi queste domande dovremmo provare a porcele con un po' più di frequenza.
Vorremmo parlare di GTH come di un documentario sui videogiochi, ma la realtà è che è un documentario sulla pandemia. I protagonisti, due attori teatrali veri, si ritrovano "intrappolati" in GTA Online perché è il 2021 e quindi non possono uscire di casa né lavorare realmente. Ricreare una cosa come l'Amleto in un videogioco è qualcosa che può venire in mente solo a persone particolarmente avvelenate o a persone che si trovano in una condizione estrema di pressione, come è stata, appunto l'epoca dei lockdown. Sicuramente i momenti più intensi sono gli sfoghi che emergono a un certo punto o anche il modo in cui la VitaReale ogni tanto riesce comunque a prendere il sopravvento, scompaginando il progetto.
Fa molto strano, nel 2025, guardare spettacoli sulla pandemia. Perché secondo me, per qualche bizzarro motivo, non la viviamo come un momento storico che è accaduto, ma come un qualcosa che appartiene al nostro immaginario collettivo senza che ci siamo stati realmente dentro. E' un po' come l'MCU o la continuity di Guerre Stellari, è qualcosa di cui sappiamo molti dettagli, personaggi, eventi, ma che non è realmente vera, è un racconto condiviso che ogni tanto sfruttiamo per altri racconti, per l'appunto. Questa almeno è la sensazione che ho provato io guardando GTH, ma che ho sentito anche in altri momenti. Poiché non sono completamente pazzo so che è una sensazione fuorviante, irreale, ma proprio per questo è interessante parlarne. Il lockdown ha sicuramente modificato drasticamente la nostra vita, ma oggi ha anche manipolato i nostri ricordi, forse perché non interagendo abbastanza con le persone non riusciamo a collocarlo nelle cose che abbiamo vissuto, forse perché in quel periodo non abbiamo vissuto abbastanza.
Torniamo un po' nel nostro giardino. GTH è stato realizzato in condizioni estreme, vero, eppure dice tanto anche su quanto possono fare gli universi condivisi. Sicuramente una delle dinamiche più divertenti è vedere come i personaggi cercano di non farsi sparare a dietro mentre si organizzano da giocatori ignari che cercano semplicemente di divertirsi nella maniera in cui GTA Online viene usualmente giocato, con anche riflessioni sulla possibilità di istituire un vero e proprio servizio d'ordine. GTA Online è qualcosa di vivo perché ha un suo scopo, perché ti permette di sparare alle persone, però nel momento in cui gli si è infusa vita ecco che gli si può far fare qualcos'altro, come mettere in scena l'Amleto, anche se a quel punto sparare alle persone diventa un ostacolo. In un punto tra questi due estremi c'è il senso del metaverso.
Noi che siamo nerd da quel dì nemmeno siamo ad attendere il metaverso di Oasis di Ready Player One, noi siamo in attesa da molto prima dell'universo condiviso di Snowcrash. Meta alcuni mesi fa ha messo in giro un filmato sul suo metaverso così imbarazzante che oggi non riesco più a trovarlo e ha cercato di farci intendere che quello è il futuro. Meta sta progettando il suo universo online esattamente al contrario rispetto come andrebbe fatto, sta cercando un ecosistema in cui replicare tutte le meccaniche di attenzione e somministrazione di contenuti che usa Facebook. Peccato che Facebook possa sopravvivere anche con la sua invasività proprio perché galleggia in mezzo alla vita vera e così io sono pronto a sopportare i suoi ADV e i suoi imbarazzanti tentativi di attirare l'attenzione per vedere le foto di mio cugino. Nel metaverso invece Meta vuole metterci tutto quello che piace a lei anche in assenza di vita e quindi non si capisce perché io dovrei infilarmi in una così imbarazzante distopia.
E' necessario un sostituto della vita perché le persone possano stare in un luogo che non è realmente vita. GTA Online ha la pratica del gioco, delle dinamiche ludiche che sono una buona alternativa alla vita (anche senza facili battute), mentre quella cosa scorre e fa battere i cuore dell'universo allora possiamo vedere tutte quelle dinamiche che abbiamo letto nei libri di fantascienza, come per esempio una rappresentazione teatrale in questo universo teatrale. Questa però, nuovamente, chiede un grosso tributo alla vita reale, un tributo troppo grande perché si possa chiedere di pagarlo, se non in condizioni eccezionali.
La conclusione a cui voglio arrivare è che GTH dimostra che il metaverso esiste esattamente nei termini in cui la fantascienza voleva vendercelo, come un universo completo in cui possiamo fare quello che vogliamo e esprimerci secondo le nostre aspirazioni. Per arrivare a essere quello il prezzo da pagare è altissimo, implausibile in condizioni normali e non credo nemmeno che possa essere abbassato da una situazione tecnologica più avanzata. Eppure la sensazione è che ci sia una possibilità, giusto dietro l'angolo, giusto a pochi centimetri oltre il nostro sguardo, per farci qualcosa con questi mondi virtuali. Molto probabile che cosa sia questo qualcosa gli Zuckerberg e i techbro della nostra epoca non lo scopriranno mai, perché non sarebbero capaci nemmeno di trovarsi le mutande che hanno addosso, considerando il loro livello medio di intelligenza. Ma qualcun'altro, da qualche altra parte, potrebbe arrivare alla soluzione.
Cymon: testi, storia, site admin“Ci sono più cose in Cielo e in Terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.”