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serie
959, 21/03/2020 - Taunt
959
21 . 03 . 2020

DOOM.exe

La primavera non conosce le tribolazioni degli uomini. La natura già mostra segnali di risveglio, tali da farci pensare che tutto finirà come nel finale di Final Fantasy VII.
Per il momento, perfino FTR è caduto nella diabolica tentazione a cui aveva giurato di resistere sempre: usare i suoi poteri per raccontare la Vita Reale, sempre temendo di mancarle di rispetto. Ma insomma dunque Neo, Gödel e tutti gli altri oggi Lavorano Da Casa.
Naturalmente, la situazione dà adito a visioni sconvenienti, a fotografie segnanti di scorci domestici che avremmo preferito non conoscere mai.
L'abbigliamento casalingo di Neo e Gödel è tale da farci urlare “Almeno abbassa la risoluzione del video”, ma si può a tutti gli effetti considerare abbigliamento tecnico: un pigiama integrale di flanella (ispirato a modelli naturalmente giapponesi) con mille accorgimenti utili tanto per il gamer quanto per il lavoratore in remoto: di sicuro, il distanziamento sociale è garantito.

Un siffatto completo super-accessoriato, pronto a qualunque esigenza ludica, non sarebbe nulla senza la materia prima: i giochi, quelli belli.
Non mi vergogno di aver citato settimana scorsa Half Past Fate, che è una commedia romantica melensa e intrisa dei cliché del genere (?), ma è anche disegnato come un RPG giapponese a 32-bit (meno le animazioni favolose che sfoggiavano quei giochi, perché quelle richiedono un talento raro), e c'è persino un minigioco istruttivo che ci insegna come si cambia la gomma di una macchina. Però mi rendo conto che questo gioco è come uno di quei frullati 100% bio organici rigeneranti, mentre a volte uno vorrebbe soltanto bistecca e patatine: ecco, DOOM Eternal è la bistecca con patatine, al sangue e con contorno di onion rings.
Il suo miracolo sta nell'aver mantenuto il carattere di DOOM attraverso tutti questi decenni, in un panorama mutevole e capriccioso come quello dell'intrattenimento. Anche se non del tutto: anche questo gioco come tutti oggi soccombe alla moda degli elementi RPG, dei livelli da accumulare per sbloccare questo e quello, del collezionare tutti i pupazzetti e le stelline e le monetine... questa moda scellerata che trasforma ogni gioco in un cestone dei premi del luna park. Ma a parte quello, e non è poco, si può dire a ragione che DOOM è tornato.
I meccanismi di gioco sono sorprendentemente sofisticati: tutto incoraggia il giocatore a volteggiare da un nemico all'altro trattandoli come risorse ambulanti, da raccogliere per prolungare la scia di distruzione di qualche secondo.
L'apparato tecnico convince appieno: belle immagini e fluidità perfetta, 144 fotogrammi al secondo in 4K... John Carmack ne sarebbe orgoglioso.
Ma tutti questi sono solo dettagli, perché l'essenza è la carneficina sfrenata. Un mondo popolato soltanto da mostri letteralmente venuti dall'inferno, senza l'ombra di un innocente o anche solo di un essere vivente: è campo libero per dare sfogo all'ultraviolenza senza remore di coscienza, neppure virtuali. L'unica interazione possibile con l'universo di DOOM è la violenza: la motosega in faccia, la fucilata nello stomaco, finché il diavolo stesso non inizia a temerci.
Ripagare la morte con la sua stessa moneta, centuplicata: il Marine senza nome assurge così a figura mitizzata, il flagello divino di cui parlano le profezie, le favole che spaventano i cattivi, l'agente di distruzione invincibile come una forza della natura che porterà la rovina nel cuore dell'Inferno stesso facendolo saltare per aria a cazzotti. Un sacrificio di morte e una discesa agli inferi per sconfiggere la morte stessa. A pugni in faccia.
Un gioco messianico. Un'esperienza catartica.

“Il giorno della Grande Attivazione due programmatori vestiti in modo sobrio arrivarono con le loro borse sobrie e furono fatti entrare con circospezione nell'ufficio. Erano consci che quel giorno avrebbero rappresentato l'intera razza umana nel momento culminante della sua storia, e si comportarono con estrema calma e senso di responsabilità: si sedettero rispettosamente davanti alla scrivania, aprirono le loro borse e tirarono fuori i loro notes in pelle.
I due programmatori si chiamavano Lunkwill e Fook.
Restarono seduti alcuni attimi in perfetto e deferente silenzio, poi, dopo avere scambiato una tranquilla occhiata con Fook, Lunkwill si protese in avanti e toccò un piccolo pannello nero.
Un acuto ronzio indicò che l'immenso computer era attivato. Dopo un breve silenzio, questo parlò loro con voce sonora e profonda.
Disse: – Qual è il grande compito per il quale io, Pensiero Profondo, il secondo più grande computer dell'Universo del Tempo e dello Spazio, sono stato chiamato in vita?”

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21 . 03 . 2020

Consiglia un film

Continuiamo come settimana scorsa. Gli eventi qui si susseguono e non lasciano molto spazio alle materie stimolanti di cui vorremmo parlare. Presto, finalmente, potremmo trattare un po' di serie TV (LA serie TV) e qualcosa di qualche genere lieto, ma per ora atteniamoci a questa rubrica, che poi è anche uno sfogo. In questi casi, un po' come faccio con gli anime, me ne sbatto se si tratta di prodotti recenti o importanti e dico quello che mi va. Settimana scorsa, per quello che riguarda il libro, ho voluto puntarvi verso della fantascienza recente perché la fantascienza recente è qualcosa che dobbiamo tutelare. Oggi, invece, parlando di cinema, voglio parlarvi di un film vecchio, non un classimo, semplicemente un film vecchio, che però ho sempre visto e rivisto con affetto.

Guardatevi Assassins, un film del 1995 che si poggia su tre nomi piuttosto notevoli del cinema d'allora (più un easter egg): Richard Donner alla regia, Antonio Banderas e Sylvester Stallone nei ruoli principali, più una giovane Julianne Moore a completare il cast. Una voca che dobbiamo accettare, noi boomer, è che la gran parte della cinematografia anni 90 è invecchiata malissimo. Tutto quel capello cotonato, tutte quelle spalline, tutti quegli sguardi beffardi che non vanno da nessuna parte. E una povertà di dialoghi che ti consola (anche a causa di doppiaggi un pochino approssimativi, spesso). Assassins sfugge un po' a tutto questo risultando gradevole anche con un rewatch a 25 anni di distanza. Contate che Stallone non è ancora nella fase sono-vecchio-e-faccio-finta-di-niente, ma il suo ruolo di eroe d'azione è qui volutamente immalinconito, mentre Banderas si diverte a fare lo schizoide sopra le righe. La storia non sfugge completamente agli standard dell'epoca, offrendoci due personaggi negativi (due killer professionisti) dove però uno è naturalmente lavato e rilavato in un codice d'onore cavalleresco che lo dipinge come positivo, mentre l'altro, fuori controllo come un lupo mannaro, ci fa capire abbastanza rapidamente di trovarsi dalla parte dei cattivi. Non mancano ovviamente intrighi, fantasmi del passato e colpi di scena per un impianto che si basa tutto sulla sfida tra i due, che dopo essersi contesi "contratti" a vicenda si ritrovano a combattere il primo per salvare Julienne Moore e il secondo, ovviamente, per ucciderla. L'easter egg di cui vi parlavo proprio nella storia si annida, perché alla scrittura di questa vicenda ci sono nientemento che i fratelli (al tempo) Wachowski, alla loro prima scrittura prima di fare il botto con Matrix. Una parte di quello che sarà del loro destino come profeti nerd lo si fede nel sottile strato di informatica pseudo-reale che pervade il film. Stallone, infatti, riceve le sue missioni tramite un affascinante chat a terminale che a posteriori ricorda l'inizio di Matrix e Julianne Moore interpreta un hacker, ovviamente molto cinematografica (ovvero una che battendo furiosamente sui tasti, non si sa bene come, riesce a far di tutto).

Ok, ma stiamo scendendo un po' troppo nell'analisi. Perché dovreste recuperare Assassins da chissà dove e guardarvelo? Perché è uno dei pochi casi anni 90 in cui la costruzione del cattivo è interessante quanto la costruzione del buono e perché, in un epoca ancora piena di luccicanti cavalieri, offre nel personaggio di Stallone un eroe crepuscolare, più profondo di quanto di solito sia concesso a questo tipo di pellicole. E' un film su un duello, simmetrico nel presentare le scene, quindi non si riduce a un noioso inseguimento della bella urlante tra le grinfie del cattivo. L'intrigo di fondo, poi, che naturalmente non si esaurisce nello scontro in primo piano, riesce a dare struttura al tutto. Donner rimane uno dei maestri della sua epoca, uno degli autori che più l'ha caratterizzata (Arma Letale, Goonies, Ladyhawke tanto per dire) e un film d'azione che non abbia altra pretesa che essere quello ha bisogno, innanzitutto, di un grande regista che orchestri tutto perché sia godibile (quello, cioè, che il cinema di oggi praticamente non sa più fare).

Voi pischelli di un po' di anni 90 avreste bisogno, perché se è vero che l'epoca del mito sono gli anni 80, è stato il decennio successivo che ha consolidato molti personaggi. Perché Stallone bene, ok, ma per tutti gli anni 80 è stato Rocky e Rambo, se non fosse riuscito a campare con opere del genere negli anni 90 i soldi per fare film con lui anziano oggi non glieli avrebbe dati nessuno. A recuperare a strascico l'epoca ci si può imbattere in cose che fanno storcere il naso, ma con una buona guida (me) si possono ancora avere delle gran soddisfazioni.

“Ehi tu, anima in rivolta / Questa vita di te non si è mai accorta / Colta di sorpresa, troppo colta / Troppo assorta, quella gonna è corta”

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