I 36 abiti di Padmé Amidala
La serie dello Strigo, oggi chiamata The Witcher per rendere la vita facile ai pubblicitari di Netflix nel mondo, inizia maluccio ma si risolleva nel finale, e nelle prossime stagioni potrà ambire ai livelli di Xena La Principessa Guerriera. Naturalmente la tecnica e la sensibilità sono aggiornate all’epoca contemporanea (non si tratta necessariamente di un miglioramento), ma il livello sta lì: diciamo tra Hercules e Xena.
Pro tip: questo è quello che passa per la testa agli Ingegneri Programmatori, quando li vedete tutti chini sui loro schermi a digitare imperscrutabili formule arcane. Oh, sì, ogni tanto lavorano, ma non basta a sfogare la loro ossessione.
La scorsa settimana preannunciavo il tema di questo editoriale, e di chissà quanti altri a seguire (uno al massimo)... esplorare le rovine perdute di Internet, alla ricerca dei resti sepolti di antiche civiltà. In epoca antica infatti, circa venti anni fa, noi c'eravamo e ci ricordiamo com'era: una Internet tenuta insieme dai collegamenti ipertestuali, non frammentata nelle fortezze impenetrabili dei vari social network, e tutta piena di sitarelli monotematici. La particolarità di quei siti è che crescevano spontaneamente come l'erbaccia, perché erano fatti da persone vere.
Ora non mi interessa diventare troppo nostalgico su queste pagine, ma basti dire che secondo me ci si divertiva di più, si amava e si odiava di più.
Vent'anni fa dunque sorgevano siti come The Royal Handmaiden Society. Possiamo ancora ammirare i resti di quelle pagine web maestose, possiamo persino seguire qualche link, ma attenti che non vi caschi in testa un pezzo di HTML.
TRHMS era un altare di devozione consacrato alla figura di Padmé Amidala, principessa e senatrice, la mamma di Luke e Leia Skywalker nella Trilogia dei Prequel. Ma soprattutto alle sue damigelle di corte.
Il sito è strapieno di materiale prezioso, soprattutto fotografico, in gran parte scansionato da riviste perché Episodio I uscì in quel bizzarro e breve interregno tra l'era di Internet e l'era di Non-Internet. Prezioso non soltanto per maniaci bavosi, ma anche per chi volesse farsi un costume per il cosplay (così va meglio!).
A questo proposito ci sarebbe anche un altro sito più recente, questo qua, che enumera “Tutti i 36 abiti di Padmé Amidala, valutati e ordinati”. Sapevate che Padmé sfoggia 36 abiti diversi nei tre film? Sapevate esattamente come sono fatti? Io, ehm... ma mi rendo conto che non è cosa di cui vantarsi.
Per chi volesse approfondire (ancora!) l'argomento, c'era anche questo Padawan's Guide, oggi ridotto a un inferno di link rotti, ma un tempo valida risorsa per... per cosplayer, diciamo.
Che epoca gloriosa! Improvvisamente ci si manifestò tutto il potere di Internet.
Lo-Rez: arte, storia, web designDoll parts
Escape from Tarkov è uno dei millemila giochi in uscita in questi mesi che passeranno sotto il mio naso senza quasi che me ne accorga. Mi ha però incuriosito leggere che non saranno disponibili playable characters donne perché sarebbe costato troppo lavoro realizzarle.
Nell'era del woke twitter e di tutto il resto non ho intenzione di tediarvi con la sparata sull'inclusività, ho stigmatizzato già in passato diverse volte il maschilismo endemico del mondo dei videogiochi così come anche l'importanza del crescere dell'utenza femminile, ma stavolta non è questo il taglio che voglio dare al discorso. Il fatto è che proprio non riesco a capire quali siano i razionali dietro a una scelta del genere, se esista un qualche valore a livello di marketing o se pure sia effettivamente il risultato di una scelta umorale del team (va da sé che la spiegazione tecnica è fallace e non la prendo nemmeno in considerazione).
L'identità, in tutte le sue forme, è qualcosa di molto importante, ma noi videogiocatori dei tempi antichi, come forse anche quelli più moderni, abbiamo grossi problemi a prenderla sul serio perché, online, molto spesso non abbiamo mai avuto bisogno di confrontarci con essa. Non confondeteci con la gente che mette le foto su instragram (le sue foto), non confondenteci con chi narra la propria vita su Facebook, noi videogiocatori (così come noi utilizzatori dell'internet) del passato non abbiamo mai lasciato che la nostra identità influenzasse la nostra esistenza online. Il nostro avatar è sempre stato un giocattolo, uno degli infiniti giocattoli con cui abbiamo sempre giocato con leggerezza. Per lungo tempo la società online ha sempre accettato che non ci presentassimo con il nostro nome all'anagrafe, ha sempre ritenuto sensato che la nostra faccia appartenesse a qualche personaggio di qualche contesto che ci interessasse, molto spesso non ha mai neanche osato chiedere quali fossero le nostre generalità o le nostre esperienze, cercando semplicemente di dedurlo tra le righe di quello che dicevamo.
Nei videogiochi possiamo ben pensare che sia ancora così, perché il videogioco per primo ti spinge a uno stacco. Il videogioco ti chiede di essere un mercenario russo in qualche scenario di guerra apocalittico ed è evidentemente che questo non è ciò che sei nella vita reale, per cui che senso avrebbe se dovessi invece portarti dietro il tuo vero nome, i tuoi veri connotati, la tua vera identità? Giocare è esattamente il contrario di quello.
Come giocare riguarda manipolare e modificare il proprio modo di essere il divertimento di questo giocare è determinato dalle possibilità messe a disposizione. E' inutile che cerchiamo di negarcelo: abbiamo tutti trovato divertente giocare col personaggio femminile, una volta ogni tanto, pur essendo maschi. Lo abbiamo trovato divertente per mille ragioni, alcune serie, alcune becere, altre facete, ma è così.
(questo discorso presta un tale numero di fianchi al woke twitter odierno suddetto, a causa di numerose semplificazioni, che considero per una volta una fortuna che non verrà letto da nessuno).
Per questo non riesco a inquadrare la questione relativa a EFT come maschilismo, sia questo implicito o esplicito, passivo o aggressivo o quant'altro. Non posso credere che un livello di maschilismo tanto infantile (e meno pericoloso di tanti altri tipi) possa arrivare a influenzare le scelte di un'azienda.
Sono abituato a essere su questa colonna saccente e a sparare infinite sentenze, è un po' il motivo per cui questa colonna esiste. Questo caso di Escape from Tarkov, invece, lo porto alla vostra attenzione proprio perché non riesco a farmene un'idea. Lo so, potrei trovare la via facile e partecipare al linciaggio acritico, ma questo, invece, mi appartiene meno. Preferisco appoggiare qui una riflessione aperta, una riflessione che probabilmente da più importanza del necessario a qualcosa di in realtà irrilevante oppure che può essere spunto per arrivare a qualcosa di più complicato. Perché questi, comunque, sono argomenti complicati. Anche quando si parla di videogiochi.
Cymon: testi, storia, site admin“Here we are, don't turn away now / We are the warriors that built this town / From dust.”