Homo Ludens
Un timido sole fa capolino tra le nuvole. Non qui, stupidi: in Death Stranding.
Sembra tutto così reale, dal ruscello che scorre tra i ciottoli al muschio che ricopre la brughiera in cui un povero idiota si ostina a scarpinare carico come un mulo. Ma è più che reale, perché ogni strumento e ogni capo d'abbigliamento e ogni edificio e ogni veicolo (ma anche ogni montagna e ogni cielo e ogni temporale) è conforme alla stessa direzione artistica artistica, la direzione artistica di uno che ha un gran gusto. Sono i vantaggi dell'essere dentro a un videogioco.
“Non esiste il brutto tempo, solo i vestiti sbagliati”, dice il proverbio dei popoli più climaticamente svantaggiati: ed è perfetto anche per Death Stranding, perché dà forma alle sue stesse meccaniche di gioco. Ma non si può non pensare che Kojima abbia in testa ben altro ambiente ostile che un passo di montagna, per quanto aspro e impervio... è il mondo stesso in cui viviamo ad essere tossico, a farci lacrimare come reazione allergica. Una landa desolata, abitata da un sacco di gente ma tutti che se ne stanno chiusi per conto loro.
Così non va bene, ci dice Hideo Kojima.
“Vivere non è diverso dall'essere morti, se si è completamente soli”: uno che scrive una cosa del genere deve saperne qualcosa di solitudine, e infatti in questa intervista miracolosamente rilasciata a TGcom24 (?!?!) Kojima ammette di essersi sentito solo per la maggior parte della sua vita. -E chi è in questa situazione tende a passare molto tempo con i videogiochi-, ha aggiunto. Death Stranding è stato concepito dal germe di questa riflessione: un videogioco per aiutare la nostra sparsa generazione di solitari videogiocatori a riconnetterci gli uni agli altri, a creare dei legami basati sull'empatia.
E dunque Death Stranding doveva essere un gioco in cui non solo possiamo arrivare in fondo senza ammazzare nessuno (quello potevamo farlo già in Metal Gear Solid vent'anni fa), ma in cui persino i nostri avversari non vogliono ucciderci.
Un gioco in cui la morte di chiunque è una catastrofe per tutti.
Un gioco gentile, umanista, attualissimo.
Un gioco di una bellezza struggente ma non appariscente.
Un gioco libero dall'ossessione di piacere a tutti.
Un gioco complesso e ambiguo, un antidoto contro l'ossessione degli articoli che vi presentano “10 cose che non sapevate (spiegate bene) (FOTO)”.
Un gioco onesto, che vuole divertirci, emozionarci e farci pensare. Ma divertirci non sempre: forse il tratto più geniale dei design di Kojima, presente in tutte le sue opere, è proprio l'aggiunta di momenti di pura spiacevolezza per il giocatore... momenti noiosi, ripetitivi, o frustranti. Ma fatto apposta. Per farci sentire quello che sta provando il nostro personaggio. Serve davvero una fiducia in se stessi fenomenale, e una visione artistica senza compromessi, per osare qualcosa del genere in un prodotto commerciale costato decine di milioni.
E, a proposito, quanto tempo era che non si vedeva una grossa produzione videoludica che non è il seguito o il prequel o il remake di qualcos'altro, che non è tratta da qualcos'altro?
Un gioco che non fa piani per il futuro. Una storia che pensa solo a se stessa, non a fondare una famiglia di seguiti per dieci anni. No casse premio a pagamento, no micro o macro transazioni. Ma non doveva essere impossibile, in questa economia? Ma guarda un po'!
Ma non devo essere acido, perché non è quello che vuole il Maestro. Kojima vuole che apriamo le nostre mani e le tendiamo al prossimo, non che le chiudiamo a pugno per fare male.
C'è tanto male nel mondo, ma Death Stranding ci insegna solo a cercare il buono. Dentro e fuori dal gioco: così come la miriade di comparse di artisti famosi che sono diventati personaggi digitali testimonia la capacità di Kojima di “creare legami” nella vita reale, così i suoi numerosi miracoli commerciali rompono le logiche a cui eravamo ormai rassegnati. Un gioco finanziato da Sony che però esce anche per PC, solo single player (ma con la presenza degli altri giocatori sempre tangibile), pieno di stranezze astruse.
E mi viene in mente la riflessione amareggiata di Martin Scorsese, che vede il Cinema ridotto a un omogeneizzato per bambocci scemi. Il problema non è parlare male dei film Disney su Internet (anche se questo già di per sé è un atto di ribellione straordinariamente audace), il problema è che questi prodotti di successo soffocano qualsiasi altra espressione artistica. Ecco, Hideo Kojima è uno dei pochi autori che miracolosamente è stato affrancato dalla schiavitù di dover vendere tantissime copie. Se poi le vende lo stesso, tanto meglio.
E le recensioni? Io direi che è piuttosto Death Stranding a recensire voi: le recensioni sono sempre anche un banco di prova per la critica, non solo per i giochi. Una materia alta eleverà uno scrittore mediocre, diceva Melville: ecco dunque la vostra smisurata Balena Bianca, cosiddetti giornalisti videoludici... è giunto il momento di dimostrare la vostra statura!
Mi limito a segnalare la video-recensione di un'ora fatta da Tim Rogers (il Video-Evento, come proclama lui stesso). Leggo saltuariamente questo tizio da oltre vent'anni, non perché lo vado a cercare ma perché le nostre strade continuano ad incrociarsi: non mi sta affatto simpatico, ma certamente sa parlare. Questo video è il suo Magnum Opus: un'ora intera di logorrea straripante, in cui è possibile cogliere dichiarazioni come “Death Stranding is A CATHEDRAL OF JOYFUL DELIGHTS”.
Oppure la mia preferita:
Death Stranding vi farà dire “Buongiorno!” al fattorino di Amazon.
Lo-Rez: arte, storia, web designCabinato party
Considerando il poster appeso alla parete dietro Neo, mandare la gente per prati può bene essere considerata una minaccia, perché sappiamo bene cosa si aggira per i prati, ovvero creature del mondo dei morti, gente con maschere strane, cose che puoi evitare solo pluggando uno spinotto in un feto ecc... ecc..., non è un gran periodo per andare per prati.
Ma non siamo qui a parlare di Kojima, la mia conoscenza a riguardo, a provarci, impallidisce confrontata con quella del mio vicino di colonna.
Quando la Nintendo tirò fuori il NES mini un po' ridemmo, ma quando poi questo si rivelò un successo commerciale dovemmo ritrattare la nostra ironia. Poi, naturalmente, venne il SuperNES mini e dovemmo spiegarcelo come una ovvia strategia per cavalcare l'onda. Pure la Playstation Classic, dobbiamo ammetterlo, ci sembrava un tentativo di SONY di mettere la bandierina anche su quel tipo di prodotto, ma niente più. Insomma, la sintesi è che tutte le volte che qualcuno esce con un progetto del genere ci pare di dover trovare una particolare spiegazione per quell'oggetto specifico. Adesso che anche Capcom ne ha uno forse è ora di cominciare a pensare di trovarci davanti a un vero e proprio genere, un mercato un... non so... una roba a cui la gente pensa per fare realisticamente dei soldi.
Visto che però le tradizioni sono tradizioni eccomi di nuovo a raccontarvi quanto sia sbagliato il prodotto Capcom, in particolare. 16 giochi intanto sono abbastanza pochini e, soprattutto, non si può fare a meno di notare che dentro la selezione ci sono alcune ripetizioni di prodotti già presenti in altri classic (lo avete visto che c'è praticamente un Megaman per ogni piattaforma?). DUECENTO euro è un prezzo decisamente assurdo per quello che è sostanzialmente un giocattolo, se abbiamo sempre messo la nostra quota psicologica a CENTO immagino capiate cosa vuol dire vederla alzarsi in tal maniera.
Poi, naturalmente, c'è il metallo.
Innanzitutto la chassis a forma di LOGONE Capcom, che è assai inguardabile. Se potevamo pure venderci che le console classic erano dei memorabilia che potevano essere esposti per il loro valore storico anche in una casa signorile, è impossibile pensare di tenere a vista questa enorme caramellona gialla e blu, a meno di trovarsi nella cameretta ipercolorata di un bimbo.
Poi, ovviamente, c'è il discorso controller. Sono abbastanza sicuro che quando Lo-Rez ha visto i due Sanwa originali con sei tasti un po' si è commosso e anch'io ammetto che, per cinque minuti, potrei anche amare il look and feel di un oggetto del genere, ma una volta che la maturità prende il sopravvento non possiamo negare che parliamo di una configurazione scomodissima per qualsiasi cosa non sia il gioco alla scrivania. Per poter giocare in due da divano dovete avere a disposizione un supporto adeguato ad adeguata altezza su cui poggiare l'intero catafalco, non esattamente qualcosa che credo si possa trovare d'amblè nelle case degli italiani.
Eppure, alla fine, mettersi qui a criticare il progetto è un po' il modo peggiore per gestire la notizia. Perché, da un altro punto di vista, si tratta proprio dell'oggetto più avvelenato e di nicchia possibile, proprio per tutti i suoi problemi. E visto che l'intero trend di vendite del genere ha sempre sfiorato l'assurdo mettersi a pontificare può solo condannarci a una figura barbina, quando qualcuno se ne uscirà a dire che anche questa console è stata un trionfo. E' invece più utile sottolineare quanto ho scritto sopra: l'industry dei videogiochi ha scoperto che può vendere supporti fisici (fisici! Mentre stiamo andando a giocare in cloud!) in cui montare giochi antichi propri della tradizione del retrogaming e con operazioni del genere può ottenere ritorno economico. Questo significa che c'è un mercato di persone che di fronte a queste cose si emoziona abbastanza da decidere per l'esborso. Un mercato che certo non riguarda le nuove generazioni, ma che non possiamo essere che noi.
A suo modo, quindi, quello che voglio portarmi a casa è questa visione di un'enclave di antichi ribelli che vivono nascosti nel mondo multicolorato del nuovo millennio, magari giocano con la loro PS4 oppure hanno un account Steam eppure, nei loro cuori, aspettano solo la Chiamata dai cantori della Golden Age per tornare a combattere.
In certe giornate un'idea del genere mette ottimismo.
In altre mi sembra che ci stanno a fregare.
Cymon: testi, storia, site admin“Popolum nocte discotecae / Donum divinum juvenis / Puellae discintae adoremus / Semper danzantes homini”