L'orrore
Clara sa essere irritante e lo sappiamo... ma siamo anche certi che sa farsi perdonare, quando vuole. Ma questa parte non credo la mostreremo in una strip: preferiamo lasciarla alla fan fiction.
Da un po' di tempo a questa parte abbiamo trascurato l'argomento videogiochi: ecco, mi piacerebbe rimediare oggi, ma mi toccherebbe parlare di Resident Evil VII: Biohazard, e non ne ho tanta voglia.
Questi giochi non mi hanno mai interessato granché neppure quando si chiamavano Biohazard in Giappone e Resident Evil in Occidente... figuriamoci ora che lo stile orientale è conflagrato insieme a quello occidentale, perdendo gran parte della sua attrattiva. Niente chara-design elaborati, niente artwork in generale (ma forse è un bene, dati i soggetti di quest'ultimo episodio), ma in compenso almeno sembra che Capcom sia riuscita a far tornare questa serie gloriosa prepotentemente rilevante ancora oggi, nel 2017, salvandola dall'oblio.
Parlo per sentito dire, naturalmente, perché detesto l'atmosfera orrorifica di questo nuovo Resident Evil e non ho il minimo interesse a giocarlo. L'angoscia snervante e il ribrezzo improvviso non rientrano nel mio ideale di divertimento videoludico, anche se capisco che taluni invece sono irresistibilmente attratti dallo spettacolo di violenze atroci, scenari claustrofobici dove regna il degrado e spaventi agghiaccianti... tutta roba che Resident Evil 7 offre in abbondanza.
Siamo infine giunti al punto in cui la tecnologia grafica e in particolare la Realtà Virtuale permettono un tale grado di immersione nel mondo di gioco da risultare persino eccessivo, quando lo scenario è così repellente. Un conto infatti sono i cari vecchi film dell'orrore, che si possono sempre neutralizzare concentrandosi sulla ciotola degli orsetti gommosi che teniamo in mano, oppure facendo un commento sarcastico al vicino di posto. Ma come stiamo scoprendo in questi giorni, quando si indossa un casco e l'orrore simulato diventa l'unica realtà, la tensione può diventare insostenibile.
L'evoluzione non ha mai preparato l'animale umano all'esperienza della Realtà Virtuale, tantomeno se questa esperienza consiste nell'essere inseguito in una cantina buia da un mostro maniaco: ma non scherziamo, io sto male in macchina nei tornanti di montagna!
Quindi bravo Resident Evil, volevi far vomitare la gente e ci sei riuscito. Ma adesso torniamo a pettinare i minipony, ok?
Circle of Life
La vicenda del Cerchio della Vita (qui uno qualsiasi tra i riassunti che potete trovare in rete) porta alla ribalta quello che da sempre è un "villain" nell'immaginario comune videoludico, soprattutto italiano, ovvero GameStop. Non è che GameStop abbia mai fatto, nella sua storia, niente di malvagio, ma il fatto di essere forse l'unica catena di negozi di videogiochi presente sul nostro territorio le ha accordato una sorta di monopolio da cui sono discese pratiche e costumi capaci di mettere alla prova i limiti del rapporto di fiducia tra cliente e venditore. Questo però non gli ha mai impedito di essere usato da ogni livello di utenza videoludica, dall'hardcore gamer, al casual, passando per la nonnina che vuole fare il regalo al nipotino.
Ha naturalmente tutt'altro profilo questa vicenda, anche se, in realtà, prendere a parlarne considerando l'etica dell'azienda nei confronti dei clienti è secondo me sbagliato, è un po' come ripercorrerla partendo dalla coda. In ultima analisi i dipendenti GameStop mentivano ai clienti per spingere le vendite dell'usato, ma questo può considerarsi solo un sottoprodotto di un sistema perverso che è invece quello radicato nell'idea americana di competitività, obiettivi e valutazione dei lavoratori.
Per motivi che sarebbe interessante analizzare, il modello lavorativo americano ha sempre una sua connotazione competitiva che a volte sfocia esplicitamente nella gara. Si spera, in questo modo, di incentivare un certo tipo di comportamento e, entrati in quest'ottica, viene naturale credere che alzando la posta si alzerà il rendimento di conseguenza. Alcune dirigenze si fanno ingolosire e quindi mettono la posta al massimo, ovvero alla conservazione del posto del lavoro, ma come sempre accade, tirando troppo la corda non si ottiene realmente un risultato, si ottengono invece solo tossine e circoli viziosi. Purtroppo non funziona esattamente come nei videogiochi, spingere una barretta su su in una qualche direzione non significa sempre e necessariamente aumentare le proprie capacità.
Lo scenario che va delineandosi tramite le interviste ai dipendenti del negozio è agghiacciante e preponderante rispetto a qualsiasi atteggiamento i dipendenti stessi arrivino poi a tenere nei confronti dei clienti. L'idea di dover legare a dei numeretti estremamente complicati da ottenere la propria sopravvivenza al proprio posto di lavoro, magari anche in situazioni in cui questo posto è necessario oppure rappresenta una carriera su cui si è deciso di investire è grottesca e anche umiliante nei confronti della persona in sè.
Ma, ahimé, anche piuttosto diffusa.
Farebbe piacere usare questo aneddotto per poter finalmente affermare ufficialmente che i commercianti sono cattivi e noi acquirenti siamo agnelli mandati al macello, sarebbe bello raccontarsi di essere degli eroi che combattono contro un mostro senza cuore. Potrebbe anche, sottilmente, essere una giustificazione per indugiare tutt'oggi nella pirateria. A mio parere, invece, il vero nodo vittima-carnefice si stringe tra i dipendenti di GameStop e GameStop stessa. Che poi questo abbia ricadute negative anche sui clienti è solo naturale decorso del meccanismo, visto che nessuna pratica perversa manca di avere ricadute perverse sul proprio commercio.
Se questo scandalo non si cheterà rapidamente probabilmente, invece, saremo noi utenti ad aver effetti positivi. E' possibile che a fronte del danno d'immagine finalmente GameStop modifichi la sua politica relativa ai prodotti usati, dai prezzi assurdamente prossimi a quell dei prodotti nuovi e in qualche modo raddrizzi così alcune storture che oggi il mercato tutto ha.
Questo, però, risolverebbe il nostro problema, non il problema di chi ci lavora dentro, che forse meriterebbe invece maggiore attenzione.
Cymon: testi, storia, site admin“You can look but you can't touch / I don't think I like you much / Heaven knows what a girl can do / Heaven knows what you've got to prove / I think I'm paranoid and complicated / I think I'm paranoid, manipulated”