Strip
serie
480, 18/09/2010 - Riti con la maionese
480
18 . 09 . 2010

Captive Communications

Neo e Gödel sono dunque tornati ai loro posti, in un triste cubicolo verdognolo, ritemprati dalle vacanze (?) e subito pronti a divertirsi alle spalle degli insipienti informatici.
Possiamo quasi immaginarceli, questi omini digitalizzati in stile Tron, che sfrecciano lungo i cavi di rete nelle loro tutine di latex fluorescente e distruggono i pacchetti cattivi. Un esercito di simil-Power Rangers in miniatura, al comando di Ingegneri delle Tenebre senza scrupoli... ah, che bel mondo sarebbe!

Questa è la settimana del Tokyo Game Show 2010. Ci sarebbe di che esaltarsi assai, perché la magnitudine delle novità presentate è notevole, però il mio entusiasmo è leggermente intralciato da certi problemi hardware che hanno colpito proprio ora il Demonio Nero che mi serve come computer. Niente che non si risolva sostituendo un componente, ma da Tokyo sta arrivando un flusso di informazioni che meriterebbe di essere contemplato in tutta la sua gloria.
Soprattutto la roba di Capcom mi ha stupito, sarà forse anche perché sono stato a vedere Resident Evil Afterlife 3D. Mi vergogno un po', però partendo da un livello di interesse = 0 il film è riuscito quasi a sorprendermi piacevolmente. Se fosse stato girato a velocità normale, senza lo slow-mo, sarebbe durato circa 20 minuti, ma a parte questo l'estetica dei combattimenti ha raggiunto una specie di perfezione astratta, a suo modo, che non mi dispiace. Pare di vedere le scene di intermezzo di uno dei giochi messe tutte di seguito, e questo non è affatto un male. Ad aspettarsi Vero Cinema da un titolo così, in fondo, si sarebbe solo deficienti.
Fine della micro-recensione. Dicevamo di Capcom: in Nippolandia gioca in casa, e ha voluto strafare presentando una inedita Proprietà Intellettuale™... di questi tempi è un evento. Asura's Wrath sembrerebbe un titolo d'azione violenta come tanti, ma raccoglie l'eredità di god Hand, e questo lo eleva considerevolmente al di sopra delle masse anonime. God Hand era un picchiaduro della vecchia scuola, molto sopra le righe, in cui capitavano ad esempio come boss di fine livello due gemelli ballerini trans brasiliani. I pugni atomici e le ondate di energia alla Kenshiro accompagnate da urla gutturali ritornano anche nel trailer di questo nuovo gioco, e mi fanno ben sperare. L'ambientazione mitologica indiana è un grande bonus.
Devil May Cry, il titolo d'azione per antonomasia, era comunque presente alla fiera, ma in una forma che i fan più duri forse preferirebbero dimenticare. Il tanto temuto reboot ad opera di una softwarehouse occidentale, a quanto pare, si farà: il nuovo episodio della saga si fa chiamare semplicemente DmC, e sfoggia un Dante adolescente pettinato da emo e vestito da emo, con tanti problemi da emo. Certo, potrebbe alla fine rivelarsi un gran gioco, ma per il momento meglio far finta di non aver visto niente. Trallalla...
Poi c'è Shadows Of The Damned di EA, che a dire il vero sembra identico a Devil May Cry, però è sviluppato dai mitici Grasshopper Manufacture (i tizi fuori di testa che si sono autoproclamati una “Video Game Punk Band”). Lo stile è comunque notevole, con un'estetica metal più occidentale che nipponica: speriamo che non ci annoi, e che sia meglio di Dante's Inferno. Non dovrebbe essere impossibile.
Per chiudere su una nota più spirituale, devo segnalare The Last Guardian. I nuovi filmati lo fanno apparire ancora più incantevole. Dagli autori di Ico e Shadow Of The Colossus, questo è un titolo che potrebbe perfino diventare antipatico, talmente è artistico... un autentico Videogioco d'Autore, con una storia essenziale che punta a commuovere con la sua semplicità. Spero che non piaccia solo ai critici che muoiono dalla voglia di elevarsi una spanna sopra le masse dei comuni videogiocatori.

Come un vento di primavera che investe un frutteto di ciliegi in fiore, questo TGS 2010 ha sparso in giro un sacco di roba e ci vorranno settimane per pulire tutto: avremo modo di parlarne ancora con più calma nei prossimi tempi.

Lo-Rez: arte, storia, web design
18 . 09 . 2010

The history of the bubble gum

Quella del supporto tecnico ai non informatizzati è una situazione frusta e un po' consunta, ma ogni tanto me la concedo. Dopotutto non è che effettivamente Neo supporti nessuno, si interfaccia semplicemente con altre persone di altri uffici che non hanno assolutamente idea di cosa lui faccia. E meritano tutto. Meritano anche la maionese.
Come vi dicevo settimana scorsa il ritorno del Duca è un evento più emotivo che videoludico. Potreste provare a leggere commenti un po' ovunque per vedere la freddezza con cui viene preso dalle nuove generazioni e capire quale sia il nostro nobile e ingrato compito. Io invece voglio provare a indicarvi qualcosa di bello, ovvero questo post sul blog di M.it. Non è un caso che abbia moooolte similitudini col nostro articolo su M.it, visto che rappresenta esplicitamente il mio sentire.
Ma chi è il duca? Perché è così importante il duca? Cosa ce ne cale del duca? Oggi, un po' di storia.
Duke Nukem non nasce, come possono pensare i più, con gli FPS. In realtà la sua storia ha radici molto più lontano, nel lontano 1991, quando i giochi erano "per MS-DOS" quando imperversava la Guerra dell'Amiga e tutto era molto cubettoso. Si trattava di un platform a scorrimento laterale come al tempo ne esistevano migliaia e aveva una trama cretina come tutti: il cattivo aveva deciso di dominare il mondo facendo qualcosa, a Duke erano girati i cinque minuti ed era andato a prenderlo per impedirglielo. Insomma, un po' meno carne al fuoco di Halo, ma lo stesso principio: tu, il tuo fucile, delle cose che esplodono. Ai tempi la firma sotto cui il gioco uscì era quella della Apogee Software, un marchio storico, soprattutto per questo tipo di titoli, e la saga si compose di ben quattro titoli, tre strettamente collegati, tanto da considerasi episodi e un seguito vero e proprio. Allora Duke era già lo spettro nazistodie con cui sarebbe divenuto famoso, ma erano epoche ingenue e semplici, i nazisti erano nazisti soltanto se stavano dalla parte dei cattivi e ti sparavano addosso. In tutti gli altri casi erano... teutonici piuttosto biondi con un forte senso del dovere.
Duke, però, era un platform come tanti altri, e come tanti altri finì nel dimenticatoio. Mondo duro quello dei platform, se non riesci a raggiungere la massa critica di successo della leggenda ti attende un buio, triste, pozzo di retrogaming e vecchietti nostalgici.
Passarono le epoche, il videogame, rapidamente, cambiò. Gli FPS nacquero e si diffusero attraverso due tappe storiche: Wolfenstein3D (1992) e Doom (1993), entrambi della id Software. Doom in particolare fece nascere veri e propri fenomeni di isteria collettiva (Parliamo di questo periodo) per cui ogni software house DOVEVA produrre un FPS, un clone di FPS, qualcosa che assomigliasse un FPS o il seguito di un mezzo FPS uscito l'anno prima. La id, che naturalmente doveva mantenere un certo prestigio, nel fiume di epigoni che rappresentava il mercato di allora, si lanciò in quella che fu forse la sua più ardita impresa tecnologica: il treddì reale e si preparò a portare nel mondo Quake (1996). Ed è in opposizione diretta con il gioco del Terremoto che arrivò sui nostri schermi IL capitolo del Duca.
La Apogee software, ai tempi, prese il nome di 3DRealms e, probabilmente, ricevette dai suoi finanziatori il diktat di fare un FPS. Le dinamiche che li portarono a tirare fuori dallo sgabuzzino l'antico personaggio di Duke Nukem non sono note. Quello che fecero però fu riportarlo su schermo e potenziare con steroidi illegali il suo sciovinismo, il suo maschilismo, il suo nazismo, il suo tamarrismo e il suo rude bullismo. Ne fecero un eroe stupendo.
Duke Nukem 3D, nonostante il nome, non si mise in opposizione tecnica a Quake. Quake, dicevamo, aveva un reale motore treddì con tanto di luce dinamica, DN3D invece si presentava con un motore costruito sulla falsariga di quello di Doom. Molto più potente e pulito, ovviamente, ma comunque un 2D con illusione di prima persona, con cattivoni che, volenti o nolenti, da vicino sembravano sempre e comunque sagome di cartone. Nonostante questo, però (ricordate di che anni stiamo parlando!) i due titoli arrivarono a un serrato testa a testa con fazioni, faide e tutto. Questo fu possibile perché Duke Nukem puntava tutto sul charadesign, l'assurdità delle situazioni, la costruzione degli scenari e il ritmo. Aggiungendo a questo, però, intelligenti trovate di gameplay quali jetpack e ologrammi (che oggi sbandiera come grandi soluzioni Halo: Reach) nonché un arsenale fornitissimo di armi particolari e intriganti (bombe a tubo, mine laser e raggio rimpicciolente). Insomma, DN3D era il trionfo dell'esser cazzari e poiché tutti i videogiocatori, all'epoca, erano cazzari, incontrò il favore delle folle (con l'aiuto amichevole di un sacco di spogliarelliste).
Eppure, anche così, anche con tutto quel successo, Duke Nukem era solo un videogioco. La leggenda venne negli anni successivi.
L'uscita di Quake e la sconfitta di decine di FPS meno riusciti usciti assieme a lui non spense l'entusiasmo per il genere. Chiuso il secondo round con il trionfo appunto del titolo id e di quello 3DRealms le software house tornarono tutte nei loro garage a progettare l'epoca successiva. Sarebbero venuti i Quake 2, gli Unreal (che per un po' rischiò di divenire vaporware a sua volta), i Daikat... bhe, un sacco di titoli. Nel fervere di tutte queste attività, ovviamente, fu annunciato anche il seguito di Duke Nukem 3D, un titolo dal nome profetico di: Duke Nukem Forever.
Ora, abbiamo letto tutti le preview dei più disparati giochi e si parla sempre di figosità, cose belle, idee esaltanti. Le prime press release relative a Duke Nukem Forever, però, diedero da subito l'impressione che gli sviluppatori fossero diventati guru ayurvedici fatti di LSD. Termini come immagini fotorealistiche, personaggi simili a esseri umani veri e vecchietti a cui si può contare i peli della barba affollavano qualunque articolo parlasse di questo gioco mitologico. In realtà, da toccare con mano c'erano tre screenshot e forse, un accenno di trama su un inizio a Las Vegas. La saga di Duke Nukem Forever iniziò allora e parliamo del 1997, quasi quindici anni fa.
Furono molti, da allora, ad alimentare il mito. In primis ci si mise la 3DRealms che, qualunque cosa succedesse (compresi stravolgimenti societari, tsunami e guerre termonucleari) continuava ad affermare che il gioco era in lavorazione sebbene sarebbe uscito solo una volta pronto. Una tale tenacia di intenti l'abbiamo vista spesso, ma la 3DRealms la protasse per una decina d'anni e progressivamente a quella che era legittima, giornalistica attesa di informazioni si sostituì il frizzo, il lazzo, il desiderio di prendere in giro una vicenda del genere, di sottolinearne l'assurdità. E di certo non aiutava, sullo sfondo, la figura stessa del Duca, un tamarro molto poco politically correct che sembrava dotato di vita propria, lì solo per prenderci in giro, per dirci quanto se ne sbatteva le palle di noi e che non avremmo dovuto rompergli i coglioni se non aveva intenzione di uscire in un nuovo videogioco. Allora, probabilmente, lo amammo come non mai.
Uscirono, negli anni, a onor del vero, diversi giochini con il marchio Duke Nukem e la sua verve. Ma NON ERANO Duke Nukem Forever perchè Duke Nukem Forever NON POTEVA USCIRE. Perché il Duca, semplicemente, non voleva.
Duke Nukem Forever è uno di quei temi che per quello che riguarda FTR considero tabù. Nel senso che è una specie di bene rifugio, una cosa che funziona sempre, una battuta riempitivo. Se devi arrivare a tirare fuori Duke Nukem forever significa veramente che non hai idee. Un po' come la storia del supporto tecnico e la strip di oggi. L'ultima volta che l'ho citata però non è stato molto tempo fa, credo sia giusto ricordarlo per onor di cronaca. E' questa, non molto vecchia. Si parlava di id, di Unreal e si, anche di Duke Nukem. E forse la scrissi perché allora si, mi sembra, si disse qualcosa in proposito dell'abbandono del progetto. Ma da allora sembra che la leggenda meriti un nuovo capitolo.

“Yeah, piece of cake!”

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