La notte del giudizio
Un grido attraversa il silenzio di una notte d'inverno.
La notte magica tanto attesa è giunta e trascorsa, e ha lasciato una scia sbrilluccicante che ci ha ammaliato per lo spazio di tre ore. Siamo regrediti allo stato bambinesco ma senza purtroppo riuscire a dismettere del tutto l'incantesimo Pelle di Pietra che si impara con la mezza età.
The Game Awards 2024. Una nuova creatura emersa come un Alien dal petto del vecchio E3, che ora si erge tutta sanguinolenta sul suo cadavere, occupandone gli stessi spazi tra le tendopoli di Los Angeles.
Anche quest'anno devo ribadire le stesse considerazioni della volta scorsa: questa solenne notte di gran gala non riesce ancora a scrollarsi di dosso un certo impaccio adolescenziale, come se quella gente facesse cosplay di altra gente in abito da sera, senza appropriarsene mai davvero. Un mondo chiuso come un'Isola Perduta di Doyle, come un'Isola del Teschio dove creature bizzarre conducono strane esistenze ignorate dal mondo esterno.
La notte di gala dei reietti: e anche quest'anno sono rimasto affascinato dall'esibizione dei corpi umani, facce e mani che costruiscono i videogiochi che ben conosciamo. Volti rigati di lacrime, posture tutte storte e ingobbite perché è l'effetto dello stare seduti 16 ore al giorno davanti a uno schermo. Discorsi esitanti interrotti da pause imbarazzate, tubini scelti male che fanno il rotolino di grasso sotto le ascelle, tizi pettinati male che chiaramente non sono arrivati su quel palco per doti estetiche o carisma personale, ma per l'arte che hanno prodotto.
Certo, sarebbe stato tutto più emozionante se le premiazioni avessero una sia pur minima rilevanza... ed invece anche quest'anno era tutto sbagliato: dalla suddivisione grottesca delle categorie (Unicorn Overlord e Flight Simulator insieme?!), alla rapidità mortificante e offensiva con cui vengono annunciati il 90% dei vincitori di quelle stesse categorie, fino alle scelte stesse di candidati e premi.
Uno scorre l'elenco di candidati e premiati, e può solo scuotere la testa sconsolato e domandarsi: Cos'è andato storto, e quando, e dove? Urge una missione riparatrice alla Ritorno Al Futuro.
Anni fa ora su queste pagine mi sarei scagliato in un'invettiva tagliente contro queste premiazioni, soffiando con le guanciotte tutte arrossate. Ma la vecchiaia ci riduce a più miti consigli, o forse ci spezza dentro finché non perdiamo anche la forza di ribellarci.
Voglio provare a capire.
Per molti premi non c'è giustificazione se non la più bovina incompetenza di una critica che ha abdicato al proprio ruolo per farsi megafono di editori e pubblico.
Ma per il gioco dell'anno voglio aggrapparmi almeno alla speranza che un giochino per i bambini piccoli (!!!) possa far felici appunto questi bambini, che riceveranno con Astro Bot la loro prima esperienza videoludica. Un po' triste che quel titolo sia la versione 2024 di Spot, l'ottimo platform per Megadrive con protagonista la mascotte pubblicitaria della bibita 7-UP, interamente finanziato con il budget del marketing della ditta 7-UP per vendere le sue bibite ai bambini. Ma insomma, nulla di nuovo.
Stendiamo dunque un velo pietoso sui giudizi, e su coloro che li hanno espressi: lasciamoli affogare nella schiuma della loro iniquità.
Veniamo dunque ai sogni, e alle scie sbrilluccicanti che hanno lasciato nei nostri occhi. Il futuro appare roseo: i videogiochi sono in salute nonostante il loro triste contorno di critica e giornalismo e, ehm, non so mai come chiamare quegli altri tizi che fanno le dirette...
Il nuovo progetto dei tizi di Yakuza Like A Dragon, ambientato nel Giappone del primo Novecento, mi ha affascinato da subito; così come l'altro loro progetto, un nuovo Virtua Fighter?!?!?
E poi ci sono le certezze di CAPCOM che non si ferma più, e tira fuori una dopo l'altra le sue serie storiche per farle nuove e, sì, migliori: ora tocca a Onimusha e a Okami.
Dall'Europa arriva invece l'unica casa di sviluppo decente con sede europea: ci porta The Witcher 4 con una tech demo oltremodo impressionante, ma io sono strano e perverso e avrei preferito piuttosto un nuovo Cyberpunk, perché il fantasy fangoso e puzzone non mi pare più altrettanto interessante. Ma poi il femminile di “Strigo” è... Strega?
Infine dagli USA arriva l'eccitazione comandata, il minutino costruito ad arte per accendere gli animi (purtroppo anche per i motivi sbagliati, come accade ormai con tutto ciò che è americano).
Il Monopolista di Mercato presenta: INTERGALACTIC.
Apprezzo moltissimo la scelta di abbandonare il territorio degli USA per concentrare finalmente tutti questi soldi e questo talento su un immaginario davvero interessante e nuovo. Apprezzo anche che questo immaginario sia stato sottratto di peso ad Akira e Cowboy Bebop, con tanto di giradischi (CD?) con le stesse animazioni del film.
Meravigliosa l'atmosfera da fantascienza noir scalcinata e decadente, tutta neon pacchiani e musica anni '80. Mi piace perfino la scelta straniante di tappezzare tutto di marchi di aziende note e riconoscibili come Porsche, Adidas e ovviamente Sony: anche questo mi rimanda ai ruggenti anni '80.
Peccato che ora siamo nei '20 e le cose si sono complicate parecchio. La protagonista spero non sia trattata come un manifesto politico di certa ideologia californiana, ma che possa godere di una sua autonomia come personaggio a tutto tondo. Ma è presto, restiamo speranzosi e limitiamoci a sognare: non sapere troppo a volte è una benedizione.
The tavern
A nessuno di noi piacciono i Game Awards, ma questo non vuol dire che non ne abbiamo bisogno. Ora che sono scomparse le grandi fiere e gli eventi sopravvissuti scorrono via senza che nessuno li consideri importanti serve comunque un luogo, un qualcosa, intorno a cui ci possiamo unire tutti, almeno una volta all'anno, tanto per guardarci in faccia. Soprattutto in questi tempi bui, in cui continuano a risuonare i conteggi dei licenziamenti, i potenziali triplaA falliscono sonoramente e i prodotti più assurdi guadagnano la ribalta erodendo mercato ai Vero Videogiocatori, serve capire che tutti, ma proprio tutti noi siamo parte dell'industry, ognuno con il suo ruolo, come se fossimo tutti ingranaggi dello stesso macchinario, parti di un organismo enorme e pulsante. Perché questo accada serva che, da qualsiasi luogo proveniamo, esista un luogo dove incontrarci, un posto dove sostare tutti assieme a pensare tutti assieme al futuro. Una taverna dove riposare tra una quest e l'altra, con una billboard con le prossime quest da fare. Questo è Game Awars.
Poi ci sarebbe un momentino da spiegare come mai, quando uno mette insieme un baraccone caciarone di soldi e pubblicità creato unicamente per i memini e i video fighi di youtube, deve sempre arrivare il commentatore dotto a dirci che "era meglio se mettevano su la Biennale di Venezia del videogioco". C'è poco spazio per i creator, è buono solo per i trailer nuovi, i premi sono dati a cazzo... certo che sì, avete mai visto un evento che fosse fatto in altra maniera (questo tacendo il brivido che mi è passato per la schiena nell'aver usato il termine creator).
Vorreste che i Game Awards avessero il prestigio degli Oscar, ma intanto diciamoci che gli Oscar sono un baraccone caciarone di soldi e pubblicità e che gli Oscar vanno a quelli bravi perché per non darglieli bisognerebbe negare l'evidenza (e anche così si son prese delle gran cantonate, negli anni). Gli Oscar hanno anche quasi cent'anni di vita e hanno attraversato le epoche cambiando, rinnovandosi, mutando. Possiamo auguare, anche se non gli vogliamo bene, che i Game Awards cambino altrettanto e allora sì che da qualche parte emergerà, necessariamente, il prestigio.
Il gioco dell'anno è stato Astro Bot Scrissi un editoriale piuttosto ampio l'anno scorso sulla vittoria di Baldur's Gate e su come non ne accettassi l'egemonia. Ai tempi il mio giudizio era distorto dal fatto di essere un PCista da tempo immemore e allora la vittoria di BG3 poteva sembrarmi anomale, ma dal mio punto di vista non escludeva nessuno. Era invece la vittoria di un gioco dall'anima PCista, che però esisteva anche sulle altre piattaforme. In un certo senso, quindi, si poteva credere avesse un potenziale "ecumenico" per accogliere tutti, anche se faceva strano crederlo.
Astro Bot, invece, suona invece come la nuova mascotte principe di PS5, sembra progettato per essere l'erede di SuperMario e Sonic, è un gioco che urla Playstation da ogni poro, tecnicamente è un gioco in cui il protagonista è letteralmente a cavallo di una Playstation, in questi termini parlare del Gioco dell'Anno come del Gioco di Tutti è proprio impossibile, questo è un gioco per quell'utenza lì, significa che se appartenete a un'altra parrocchia non importa quante statuine abbia preso, non ci giocherete e basta.
Anche da qui passa il concetto di maturità di cui parlavamo l'altr'anno. Dobbiamo definire veramente un vincitore assoluto? Non avrebbe più senso avere un vincitore per ogni piattaforma, un vincitore che potrebbe vincere su una piattaforma e perdere su un'altra? Avrebbe senso se effettivamente ci interessassero i Game Awards come dato storico sul mondo dei videogiochi, invece, nel grande circo, credo che ognuno possa fare il pagliaccio come vuole.
Cerchiamo però di credere che i Game Awards nel momento in cui eleggono un certo titolo cercando di dare un messaggio o anche solo uno spunto di riflessione. L'altro giorno hanno provato a dirci che la direzione da seguire erano gli RPG cervellotici, oggi invece cercano di spiegarci che la chiave del successo è il ritorno alle origini, alle origini del mondo console tutto, quando i dominatori del mercato erano i platform, facili o difficili, le avventure immediate in cui ancora serviva la coordinazione oculo-manuale e non era poi importante mettere in piedi delle cutscene girate da registi professionisti. Come l'anno scorso anche quest'anno dirò che sarebbe bellissimo se, a fronte dei Game Awards, adesso piovessero su tutto il mondo dei videogiochi dei platform adrenalinici triplaA che spingono su tecnica e gameplay, come sarebbe stato bellissimo un rinascimento del RPG classico l'anno scorso. Non è accaduta una cosa, non accadrà l'altra, non solo l'industry se ne sbatte dei Game Awards, ma visto che vive di piani di progetto della lunghezza di cinque-sette anni avrebbe anche poco senso ne tenesse conto. Ve la immaginate Ubisoft che nel 2030 se ne esce con un platform (vi prego, NO, non il cinquantaseiesimo reboot di Rayman) e quando gli chiedono perché l'ha fatto risponde "perché nel 2024 ha vinto il Game Awards Astro Bot". Difficile crederlo.
Eppure quello che ha fatto Doucet è stato coraggioso e geniale. Tornare alle radici dell'industria e riprendere in mano tutto da zero, contro tutti i trend disponibili. Avesse voluto veramente rinverdire i fasti di Crash Bandicoot, certo, avrebbe creato un gioco mortalmente difficile da spaccare i joypad reali, ma forse sarebbe stato persino troppo per i nostri cuori e il nostro mercato.
A parte il vincitore definitivo direi che non ci sono state cose clamorose, ReFantanzio ha portato a casa le statuette narrative/artistiche, Wukong la palma dell'action, Balatro la palma indie. Forse di Balatro un fan dei giochi di carte come me avrebbe dovuto parlare un po' di più, ma è un titolo che è emerso curiosamente dalle nebbie cogliendoci un po' tutti alle spalle. Visto il successo che ha avuto, però, non credo ci sia niente da recriminare.
Game Award è anche trailer dicevamo. Dovessi sceglierne uno, uno solo, solo uno? Virtua Fighter. Nel momento in cui Mortal Kombat 1 decide di arrendersi al mercato che non gli ha voluto abbastanza bene il ritorno di questo altro brand storico ha mosso qualcosa nel mio vecchio cuore. Come dice anche Lo-Rez, in un certo senso i picchiaduro sono ancora portatori dell'anima incorrotta dei Veri Videogiocatori di un tempo.
Cymon: testi, storia, site admin“I'm beautiful in my way 'cause God makes no mistakes / I'm on the right track, baby, I was born this way / Don't hide yourself in regret, just love yourself, and you're set / I'm on the right track, baby, I was born this way (born this way)”