Sovraimpressioni
Galleggiamo in questa luce da acquario, tra turbini di foglie gialle e vento caldo. È arrivata la pioggia ma non la nebbia. Il freddo forse ormai è solo un ricordo.
Quando le cose si fanno insopportabili non si è portati a prediligere l'orrore anche nelle nostre opere di finzione. Meglio tuffarci in Super Mario Bros Wonder, che è un viaggio nelle droghe psicoattive senza drogarsi, coi suoi fiori arroganti e i suoi folli deliri gioiosi.
Oppure no. Forse invece l'orrore è proprio quel che ci vuole adesso. Un orrore grande grande ma comunque molto più gestibile di quello vero.
La stagione ci favorisce: in questi giorni, ci insegnano i cioccolatai e le catene dei grandi magazzini, si radunano le streghe.
Anche il settore dei videogiochi ossequia la stagione con un nuovo grande gioco dell'orrore: Alan Wake 2. Non era scontato che fosse un gran gioco: e a seconda dei gusti potrebbe non esserlo affatto, se vi piace saltare sulle piattaforme o risolvere enigmi intelligenti o sparare con soddisfazione... se vi piace, cioé, fare tutte quelle cose che di solito facciamo nei videogiochi.
Eppure Alan Wake 2 raggiunge il suo obiettivo: ovvero immergerti in un'atmosfera terrificante, metterti addosso l'ansietta quando ci giochi al buio con le cuffie, e raccontarti una storia interattiva. Io non sono certo un fan di questi thriller sovrannaturali ad ambientazione rurale americana, che sono tanto frequenti da costituire praticamente un intero filone di libri, film e serie... ma credo che funzionino comunque meglio nei videogiochi, perché quel tanto di interazione contribuisce tantissimo all'ansietta e agli spaventerelli.
Questo Alan Wake 2 si inserisce dunque in pieno nel filone di questi survival horror, molto più affine ai Silent Hill (e a Deadly Premonition!) che ai Resident Evil: sì, ma quindi a me chemmimporta? Questa roba non fa per me, eppure questo titolo in particolare esercita un fascino che non può lasciarmi indifferente, in virtù della sua direzione artistica eccezionale.
Non c'è niente da fare, questi tizi sanno costruire degli interni incredibili, come avevano già dimostrato con Control (il gioco che ha tirato fuori persino Cymon dalla pensione). Carta da parati e moquette e luce polverosa dalle finestre, per non parlare dell'effettistica sovrannaturale che è davvero di un'inventiva prodigiosa... soprattutto quelle sovraimpressioni di filmati girati dal vivo che si compenetrano con i volumi dell'ambiente di gioco in una maniera creativa e originalissima, che dà luogo a situazioni di gioco pazzesche e memorabili. E quella luce rossa profondissima e onnipresente, che contrasta meravigliosamente con i verdoni delle ombre più fredde, da mangiarsela con gli occhi.
Anche il sonoro è eccezionale, non solo urletti e scricchiolii ma anche canzoni vere cantate da artisti veri come finora hanno fatto in pochi.
La tecnologia grafica, dal canto suo, a quanto pare rappresenta il nuovo paragone col quale saranno misurati tutti i titoli a venire. Le strade bagnate e i boschi nebbiosi e gli interni fatiscenti illuminati dalla torcia sono il terreno ideale per il Ray Tracing, il Path Tracing, il Ray Reconstruction e tutte quelle altre nuove diavolerie della tecnica che conoscono bene i giovincelli.
Io ammetto di esser rimasto un po' indietro su questo fronte: il mio PC va ancora a carbonella, e questo è uno dei motivi per cui questo Alan Wake 2 non lo giocherò. Ma questa, nell'anno 2023, è solo una scusa: basterebbe infatti abbonarmi un mesetto (o due o tre o quattro, visti i miei tempi ludici) a Geforce Now e succhiare tutta la magnificenza di questo titolo dalla cannuccia dello streaming.
Ah, sì, c'è anche il fatto che questo titolo è strapieno di riferimenti al succitato Control, che io però non ho ancora giocato: altra ragione per evitarti, Alan Wake!
E insomma, Alan Wake 2 è il gioco che giocherei tantissimo se non fossi terrorizzato dai rumorini come un gatto nevrastenico, se il gameplay non fosse superficiale e sciapo, se non citasse altri giochi che non conosco, se non servisse un computer al fulmicotone termonucleare per rendergli giustizia... scuse, scuse, scuse!
Forse forse allora lo giocherò su YouTube giocato da qualcun altro che a me lasci solo la parte divertente, ovvero... guardare. Questo, lo so, fa di me uno dei rincitrulliti di cui parlavo la volta scorsa. Ha!
Ma allora magari, per non rinunciare proprio del tutto a questa stagione delle streghe, potrei gettarmi su un gioco più nelle mie corde, più a portata di povero pensionato dal cuore debole quale ormai sono: tipo The Cosmic Wheel Sisterhood.
Giochino piccino, pixel grossi, tematiche ingombranti, paura zero: ha un po' il sapore della resa. Non so se sono davvero così pronto ad arrendermi. Non so se sono pronto ad abbandonare così il videoludo moderno, dopo soli trent'anni sulla cresta dell'onda.
Lo-Rez: arte, storia, web designTurn on the laugh track /
We'll see if it changes the scene /
Maybe this is just the funniest version of us /
That we've ever been /
I think our feet are gonna slip /
I think our hands are gonna shake /
I think our eyes are gonna cry /
I think our hearts are gonna break /
Maybe we'll never lighten up /
Maybe this isn't gonna quit
L'arte di sopravvivere
L'incedere del mondo dei videogiochi è calmo, ma inesorabile. Sono lontani i tempi dei burst di titoli tutti assieme, magari titoli tutti uguali, che si scannavano per un posto al sole. In una sorta di pace armata i colossi dell'industry hanno deciso di spartirsi il mercato proponendo a cadenza piuttosto regolare titoli triplaA votati al successo, lasciando che ognuno di loro abbia la sua settimanina in cui tutti gridano al capolavoro, seguita dalla settimanina in cui tutti dicono che è una ciofeca seguita da alcuni mesi di ponderate analisi del prodotto. Sarà ricordato come un anno curioso, questo, pieno di giochi difficili che sono piaciuti a tutti e ritorni di saghe storiche che però più che fare affidamento sul loro brand in verità hanno dimostrato di essere prodotti solidi di per sé e di meritarsi tutte e tre le A del loro segmento. La verità è che il mercato ha tutt'oggi una grandissima fame di buoni giochi, una grandissima fame di capolavori e in qualche modo gli sta bene che ne esca uno al mese, come se si fosse ancora negli anni 90 e quello che contava di più era avere qualcosa per la copertina della tua rivista preferita. Oggi l'impressione è che ci siano solo le copertine visto che gli indie giocano in un'altra categoria e i giochi di mezzo sono morti. Crepuscolare ma interessante.
Il gioco alla ribalta oggi è indubbiamente Alan Wake 2 arrivato sugli scaffali dopo un travagliato sviluppo editoriale. Non giocai il primo Alan Wake e pur non giocandolo ricordo di aver scritto un editoriale che lo riguardava, non so se giocherò a questo Alan Wake, ma rispetto a tanti titoli mi interessa un po' di più. Mi interessa un po' di più perché sembra che per ottenere successo i Remedy abbiano deciso di affidarsi alla storia e sapete perfettamente quanto questo atteggiamento mi commuova. Dicemmo anni fa che il primo Alan Wake era più o meno un'avventura grafica, qui probabilmente è più evidente che ci troviamo davanti a un survival horror, ma se è vero che la storia comanda comunque in un erto tipo di dinamiche andiamo a parare. Il gioco diventa divisivo nel momento in cui a una grande storia non riesce ad appaiare un grande gameplay però quello che le recensioni sembrano dire è che comunque l'una fa da stampella all'altro abbastanza per non considerarlo un flop.
Personalmente la saga di Alan Wake mi sta particolarmente cara perché, a suo modo, è in continuity con Control, di cui ho detto e giocato. Control era un delizioso metroidvania che traboccava gameplay, ma la sua trama era tutt'altro che banale e se la voglia di narrazione è la stessa anche in questo secondo capitolo del signor Wake allora non stento a credere che sia un gran racconto. Ancora una volta l'industry mette alla prova l'utenza: dopo avergli propinato giochi "faticosi" ora vuole provare a vedere se riesce a farla innamorare con un gioco che ha bisogno di un certo tributo in termini di emozioni e attenzione. Non è così banale come si può pensare, la storia nei videogiochi va gestita, come va gestita in tutti gli altri media, ma forse nei videogiochi è più difficile che altrove perché l'interattività è inevitabile e di conseguenza è più complicato tenere i tempi narrativi come starebbero meglio.
Il survival horror, poi, diciamocelo, è un genere di grandi immagini e grandi storie. Da ancor prima di Resident Evil, dall'epoca gloriosa di Alone in the Dark si è sempre trattato di spaventare e raccontare e non è certo un caso se i titoli di punta di questa categoria hanno spesso scavato solchi nella Storia con la S maiuscola.
Una notizia più piccola, ma sorprendentemente in tema (e sorprendentemente in tema con l'Halloween che ignoriamo usualmente, pensa un po' te) è il reimaging VR di 7th Guest, gioco che ho pure acquisito su non ricordo che piattaforma, in un passato remoto. Quando sono venuto a sapere del progetto sono saltato sulla sedia non tanto per il gioco in sé quanto per questa ennesima riprova che il passato dei videogiochi non è mai morto. 7th guest è stato uno dei primi, attenti bene, giochi su CD dove sfruttava l'enorme spazio disponibile (parliamo di 640MB) per proporre all'utente sequenze su sequenze in blender con qualche texture, per raccontare la storia del protagonista, intrappolato in questa casa infestata, costretto a giocare con i fantasmi a risolvere indovinelli su indovinelli. 7th Guest si era un gioco che non concedeva niente alla trama, ma faceva dell'atmosfera e del coinvolgimento una tale leva da aver segnato un'epoca. A pensarci bene, in effetti, in VR deve essere un'esperienza notevole, come tutte le vicende horror anche se si ridurrà, come giusto, a una gigantesca settimana enigmistica da risolvere con dita d'osso.
Purtroppo, mediaticamente, è impossibile dire che questa reimaging abbia avuto un qualche impatto, gli unici cuori che poteva smuovere erano qui alla tana, ma si sa, sono cuori che hanno poco a che fare col grande pubblico, però un poco ci ha emozionato questo ritorno agli albori del videoludo digitale, questo ritorno che però dimostra come certe meccaniche e certe idee siano senza tempo, quasi immortali, oppure condannate a infestare i nostri PC per un tempo infinito.
L'editoriale di Halloween, quello che senza volerlo è proprio diventato l'editoriale di Halloween, può dirsi concluso. Ora potete uscire, indossare il vostro buffo costume e andare a cercare caramelle da degli sconosciuti. Un'attività che era già pericolosa trent'anni fa, figurarsi adesso con tutto quello che si sente in giro. Contenti voi, però, chi sono io per fermarvi.
Cymon: testi, storia, site admin“Se bruciasse la città / Da te, da te, da te io correrei”