Un uomo semplice
Restiamo anche questa settimana nell'antro della sala server, buio e refrigerato 24/7, dimora di quel cavernicolo di Bob che dispensa consigli agli Stagisti che vi si recano in pellegrinaggio (come Lyle, il guru del sudore nella palestra di Infinite Jest, ma meno schifoso!).
Almeno quaggiù non si sentono le cicale.
L'estate continua a soddisfare il nostro bisogno di sole e caldo e aria aperta: e se non bastasse lei c'è sempre Red Dead Redemption 2 con le sue praterie virtuali, la sua fauna e la sua flora iperrealistiche e i suoi panorami viceversa assai ispirati alla tradizione pittorica americana.
Non solo i testicoli dei cavalli si gonfiano al caldo e rattrappiscono nella neve, come a suo tempo non hanno mancato di notare gli adolescenti infoiati che speravano di giocarsi un “GTA con i cavalli”; ma i pesci nelle acque inquinate attorno alla miasmatica metropoli di St Denis sono più piccoli e con le squame annerite rispetto ai loro fratelli della stessa specie che sguazzano nelle acque cristalline più a ovest. E i richiami degli uccelli notturni (ornitologicamente corretti) che cantano nelle foreste di notte sono tutti rintracciabili uno ad uno fino ai rispettivi cantanti, se il giocatore ne avesse la pazienza.
Oggi sono tutti presi dalla sua componente Online sempreverde e non frega nulla a nessuno della parte solitaria di un gioco uscito quasi quattro anni fa, eppure sento il bisogno di lasciarne traccia almeno qui: RDR2 è l'esperienza videoludica di lusso. Ogni pixel e ogni animazione trasuda una cura artigianale che costa centinaia di milioni di dollari e otto anni di tempo, a voler essere veniali. Ma i risultati si vedono tutti. Ogni parte di questo gioco è pregiata e lussuosa come gli interni di un'auto della regina d'Inghilterra, ma costa come tutti gli altri: l'intrattenimento funziona così, ed è curioso.
Oltre a ciò, non guasta una storia che è a buon diritto tra le più memorabili che si possano vivere in un videogioco: l'epopea di un uomo semplice che si arrangia meglio che può un giorno dopo l'altro, finché un giorno qualsiasi arriva la sua fine, e poi i giorni indifferenti proseguono senza di lui.
Arthur Morgan è un uomo burbero e di poche parole: ampi spazi della sua personalità sono plasmabili a piacimento dalle azioni del giocatore, come è prerogativa dell'intrattenimento interattivo, ma il nucleo è quello.
Un omone che biascica le parole, ride di cose semplici, tiene un diario insospettabilmente introspettivo: abbiamo la sensazione che in altre circostanze sarebbe potuto essere di più e di meglio.
E invece questo tizio qualunque (che inizia a soffrire di una tossettina cronica) cerca sì di fare meglio che può, ma come dice lui stesso le buone azioni non gli vengono spontanee e naturali come ad altre persone, che invidia... c'è sempre come un'ombra che lo segue. Arthur adora la natura incontaminata e aborrisce le città o qualsiasi comunità umana di più di una dozzina di anime: rifugge la società come una cosa sporca e malata, e ha paura di fare del male lui stesso. Il suo sogno è un Ovest incontaminato senza anima viva in cui trascorrere i giorni che gli restano in armonia con fiumi e montagne. Ma già nel 1899 non ne esistevano più di angoli di mondo così innocenti.
Questo povero diavolo con gli occhi chiari e le mani grosse che quando sorride sembra un bimbo.
RDR2 è un racconto che sfugge alla retorica dell'Epopea del Vecchio West ma anzi diventa sempre più intimo, agisce per sottrazione finché non resta che un uomo solo alle prese con un destino banale: Arthur Morgan e la dignità del dolore.
E così in quest'estate disgraziata anche noi ci troviamo a desiderare una fuga alla Arthur Morgan, inseguendo una Frontiera Permanente, cercando rifugio nella natura selvaggia o quel che ne rimane. Ma nemmeno noi la troviamo più.
Lo-Rez: arte, storia, web designQuella rossa del direttore
Mi sono innamorato di Control appena l'ho visto. Mi sono innamorato tanto di Control che l'ho finito (fatto raro) e poi ho continuato a giocarlo anche dopo averlo finito (fatto inusitato), complice anche il fatto che i Remedy, a parte mostrarti i titoli di coda, non è che ti danno proprio idea che il gioco sia finito, anzi, ti lasciano tranquillamente col dubbio che da qualche parte ci sia ancora un sacco.
Control è un(o dei pochi) TriplaA che Epic ha regalato nei suoi periodici give-away. Il colpo di fulmine è scattato appena l'ho fatto partire: la sequenza introduttiva col motore del gioco girava.
Facciamo un passo indietro. Il computer che possiedo oggi non è un computer da gamer perché, semplicemente, non sono un gamer e anche se uno lo sfizio lo ha sempre lo sfizio non vale i 300-400 euro di distanza tra la macchina che possiedo ora e quella che effettivamente servirebbe per far girare i giochini. Io lo so e non è che mi lamento quando vedo che i giochi stentano. Quello che mi fa un po' arrabbiare è che certa roba Unity con la grafica non molto diversa da dieci anni fa pretendano risorse a non finire e soprattutto che molti giochi, nel momento in cui abbasso le richieste a precipizio, rimangano ingiocabili perché incapaci di fornirmi fluidità a causa di caricamenti e altre magagne.
Una delle nette distinzioni tra un triplaA e gli indie che vi piacciono tanto è che naturalmente questi ultimi non possono godere dei mesi di ottimizzazione che gli altri riescono a trovare nel loro budget. E' una cosa che pesa moltissimo se hai un gioco media fascia, ma oggettivamente esclude da qualsiasi forma di divertimento (anche quella per cui scenderemmo tranquillamente a compromessi) noi bassa fascia.
Control parte a cannone con una 1900x1080 che è da far piangere sangue alla mia macchina, ma la sequenza scriptata con Jesse che entra nel FBC gira fluida. Ovviamente poi il sonoro, alcuni passaggi e tutto il resto degrada, ovviamente il gioco-gioco non è gestibile così, ma il suo lavoro certa di portarlo a termine comunque. Questo è un buon sintomo e infatti, riportando tutto a una 1280x1024 da primi 2000 (più qualche dettaglio giù) ecco che tutto prende a macinare e a essere allo stesso tempo divertente.
Lasciando stare i tecnicismi, poi, Control mi ha ammaliato col suo primo, delizioso, ribaltamento di fronte. Jesse entra nel Bureau per trovare suo fratello, il Bureau è ovviamente la tipica agenzia malvagia che non ci dikono le kose e trama alle spalle della gente, si presenta insomma come il tipico kattivo contro cui la nostra eroina dovrà combattere. Invece bastano le prime battute per ribaltare tutto. L'agenzia kattiva è stata invasa da qualcuno di veramente cattivo e noi ne siamo diventati in qualche maniera il direttore.
Control è il tipico TriplaA standard. Visuale in terza persona, grande ambiente da esplorare (con tipici meccanismi metroidvanieschi di aree che si sbloccano con l'avanzare della trama), nemici da abbattere e misteri da risolvere. La terza freccia dritta al mio cuore è arrivata dal sistema di controllo. Sebbene Jesse parta potendo solo sparare ai nemici con l'acquisizione di diversi oggetti di potere le sue capacità di amplieranno. Potrà quindi lanciare oggetti (e qualunque cosa dello scenario), erigere scudi, volare (con tanto di picchiate violente sui nemici) e altro. Più che in molti altri casi però questo dà al videogiocatore una vera possibilità di scegliere diverse strategie per affrontare i nemici e allo stesso tempo costruire delle sequenze di azioni (fighe e tamarre) che non sono scriptate, ma sono effettivamente il risultato di decisioni coscienti. Alla fine, in mezzo alla torma di avversari, senti realmente di poter prendere il controllo della situazione anche quando la situazione rimane complicata e ci vuole una certa malizia per uscirne vivi.
A corredo di tutto ciò come non citare la trama, affascinante come può essere una specie di versione "nera" di un libro di Stross, oltretutto deliziosamente ricollegata ad Alan Wake fino quasi a inglobarlo nella sua continuity e guarnita di ottimi personaggi e grandi immagini, rese con quel gusto artistico capace di renderle preziose, come l'attraversamento del labirinto del posacenere al suono di una band metal.
Control meritava oggi una recensione? No e questa colonna non lo è. Ma il videogiocatore che è in me meritava, per un giorno, di poter parlare di un gioco che l'ha esaltato e poter portare le sue emozioni al pubblico. Perché pure nel 2021, sembrerebbe, coi videogiochi ci si riesce ancora a divertire.
Cymon: testi, storia, site admin“Here's the new girl. Standing around day dreaminig when she should be getting work done. Who the hell does she think she is? The Director?”