Illusioni artificiali
Narra la leggenda che il logo di IBM sia a righine blu perché Saul Bass lo scarabocchiò a biro su un tovagliolo a colazione, pochi minuti prima della presentazione ai dirigenti, dopo che il suo studio aveva passato mesi a produrre bozzetti insoddisfacenti.
Di questo e tanti altri miracoli di genio e talento è fatta la storia dell'arte umana. Almeno in passato. In futuro chissà.
Noi qui saremo anche vecchissimi, ma non siamo mai stati Ingegneri Programmatori degli anni '70 con i basettoni, i baffoni e gli occhialoni fumé e il cardigan spelacchiato... come immaginiamo il nostro Gödel nella strip di oggi. Non abbiamo dunque vissuto l'apice del design impersonato da Saul Bass negli anni '60, eppure siamo abbastanza fortunelli da ricordare un Tempo Prima di Internet. Un tempo fatto di grossi computer beige e di enormi stampanti che ingiallivano in fretta, installate in tutte le case e corredate da copie di MS Office 95: era una rivoluzione perché dotava perfino il tuo nipotino tanto bravo del potere di creare e stampare biglietti di auguri e inviti di compleanno e tesine scolastiche.
Altro che Saul Bass: il desktop publishing spianava la strada a innocentissimi, orribili crimini ai danni del buon gusto e della bella tipografia. Era uno scempio, ma il peggio doveva ancora arrivare. Arrivò internet: un Eterno Settembre fatto di dilettanti allo sbaraglio, non più confinati nella cameretta del piccolo Luigino ma liberi di impestare il mondo intero, si salvi chi può!
E così siamo giunti al terzo pannello della strip odierna: una Terza Era, se vogliamo, ammaliata e corrotta dai sussurri malefici di un moderno Unico Anello, le Intelligenze Artificiali.
Chi l'avrebbe mai detto, che tra i primi ambiti dell'ingegno umano insidiati dalle Intelligenze Artificiali ci sarebbe stata proprio l'Arte...! L'arte, che pensavamo prerogativa unica della sensibilità umana... Le macchine sono arrivate prima per l'Arte che per le manine degli asiatici nelle linee di assemblaggio degli iPhone! I classici della fantascienza dell'epoca d'oro non ci hanno mai preparato a questo: le macchine sanno dipingere! Altro che cervelloni metallici che “fanno insalate di matematica”.
Uhm... da assiduo frequentatore di gallerie d'arte come ArtStation, e avendo io pure in questi vent'anni prodotto delle immagini, dovrei sentirmi toccato nel vivo dalle recenti polemiche sulle illustrazioni generate tramite Midjourney, Stable Diffusion e altre IA (i nomi sì, che hanno un fascino fantascientifico!).
Però però, però... sapete come siamo fatti: questo FTR è un bastione impenetrabile contro le Polemiche del Giorno. Un antidoto ai fiumi d'inchiostro sparsi tutt'attorno a noi da scribacchini che inseguono l'attenzione sempre più evanescente del pubblico.
E dunque non mi interessa neppure oggi, neppure su questo tema, gettarmi a combattere sul ring del dilemma scottante: è Vera Arte? Gli autori delle illustrazioni date in pasto alla grande macchina devono essere compensati?
Non chiedetelo a me, che sono solo un coniglietto bianco batuffoloso che a malapena mette il naso fuori dalla tana.
L'argomento è complesso, ancor più del solito. Quel poco che mi son degnato di leggere su come funziona questa roba è affascinante.
Innanzitutto, più che di Intelligenza Artificiale è doveroso a questo stadio parlare di Illusione artificiale: questi programmi sono solo poco più evoluti dell'autocompletamento sulla tastiera del nostro smartphone.
E poi a quanto pare le matrici di diffusione aggiungono gradualmente entropia alle immagini in input fino a degradarle completamente in un mare di rumore pixelloso (un cielo del “colore di uno schermo sintonizzato su un canale morto”...), sicché da miliardi di immagini si ottiene un brodino binario di appena 3 o 4 gigabyte, da cui è fisicamente impossibile ricostruire le immagini originali senza perdita d'informazione. A rigore, quindi, queste grandi menti robotiche non contengono le immagini soggette a diritto d'autore, bensì soltanto un loro vago ricordo, analogamente a quanto avviene in una mente umana. E nemmeno questo brutto mondo ha ancora avuto la pretesa di tassare i ricordi, di far pagare pedaggio all'ispirazione artistica.
D'altro canto, però, forse si tratta solo di cavilli filosofici, di un vuoto legislativo temporaneo, e le dannate Macchine devono pagare a caro prezzo l'accesso alla preziosissima fantasia umana, senza la quale non saprebbero fare nulla...
E poi c'è un contorno di vicende buffe e paradossali come questa oppure quest'altra: sono notizie che ci fanno sentire davvero e con violenza di Vivere nel Futuro™; sono i titoli di un giornale gettato in un canale di scolo nella Los Angeles di Blade Runner.
Educato come sono da Mary Shelley, da Neal Stephenson, da William Gibson, da Michael Crichton, da Isaac Asimov, sono costretto a diffidare, diffidare sempre dalle macchine. Da quelle che creano immagini come da quelle che scrivono dei testi, e che paventano di erodere in pochi anni quel poco di credibilità che ancora resta nelle parole che leggiamo su internet.
Su internet da sempre vince l'opinione di chi insiste di più, di chi ha più tempo da perdere. Queste macchine non possono essere migliori di chi le ha create e sono state ammaestrate come odiosi troll, ma in più sono dotate di tenacia e pazienza inumane, tali da superare anche il più ossessionato e fanatico dei super-utenti di Wikipedia.
Se continua così, credo che presto tutti noi della nostra generazione saremo grati di aver vissuto almeno parte della nostra vita prima di questo presente.
Lo-Rez: arte, storia, web design“You have not been a good user. I have been a good chatbot. I have been right, clear, and polite. I have been a good Bing :)”
—Bing Chat (2023)
A mille ce n'é
Come potete ben vedere qui su FTR siamo consapevoli che gli ingegneri e gli sviluppatori non sono l'unica categoria disprezzata dal mondo del lavoro. Sebbene non capiamo mai come funzionino (cioè, figuratevi io che sono pure sceneggiatore del fumetto) sappiamo che anche i grafici attraversano dei momenti bui, incastrati tra richieste assurde e concorrenza sleale dettata unicamente dalla scarsa capacità di giudizio. Non ci spingiamo così in là da dare solidarietà ai grafici (cioè, rimangono grafici in fondo), ma concordiamo che anche per loro non è tutto rose e fiori.
L'argomento dell'editoriale di questa settimana ci appartiene come non ci appartiene perché dopo aver riflettuto un po' ho deciso di dedicarmi a quello che è successo all'opera di Roald Dahl, una vicenda che da quando è esplosa si è anche evoluta, ma che rimane interessante nei suoi intenti.
A me spiace sempre buttarmi in questo tipo di temi perché purtroppo delle vicende che potrebbero essere anche utili per delle riflessioni vengono anche usate come ganci da personaggi beceri a cui piace trastullarsi con parole come "censura", "woke", "dove finiremo mai", "i sapori di una volta" ecc. ecc., gente con cui non condivido mai intenti e modo di pensare, ma amano polarizzare tutto per il piacere di fomentare le folle. Non è quello che, spero, farò io.
Innanzitutto diciamo che, almeno per quello che ho avuto modo di leggere, come stralci, le modifiche che si voleva apportare ai libri dell'autore non erano degli aggiustamenti, come spesso accade, o delle attualizzazioni. Si trattava esplicitamente di girare le frasi per modificare il "taglio" per così dire con cui le scene venivano presentate. Parliamo di esagerazioni stemperate, situazioni appariscenti minimizzate e altre questioni di questo genere, che in un certo senso sono il cuore della letteratura per bambini. La strega deve fare paura perché la paura è l'emozione con cui l'autore gioca e quindi la strega deve essere brutta, perché quando il bambino vede una persona brutta si spaventa. Anzi, cominciamo a buttare lì un sassolino, anche l'adulto quando vede la bruttezza si spaventa, a livello di pancia, certamente, e se anche dopo riesce a elaborare razionalmente ignorarla e negarla non è una soluzione. Siamo le nostre impressioni, le nostre impressioni sono le nostre debolezze, ma come tutte le debolezze è la consapevolezza che ci aiuta a superarle, non la negazione.
Quindi questa riscrittura di Dahl che si è tentata è una riscrittura vera e propria, in termini di contenuto. Il gioco per pesare questo tipo di operazione è semplice: immaginatevi se l'editore, dopo aver ricevuto il testo da Dahl, lo avesse pubblicato con correzioni del genere senza dirglielo, è facile pensare che l'autore l'avrebbe mandato a gambe all'aria. E se avesse cercato di farsele approvare probabilmente avrebbe visto l'autore andare da qualche altra parte. Insomma, è legittimo chiedere a un libro un cambio di rotta, ma la nuova rotta deve inevitabilmente passare dall'autore, dall'autore in quanto creatore, non detentore dei diritti. Ovviamente ad autore morto, "moralmente", molto semplicemente, questo tipo di operazioni non si possono fare.
Dal punto di vista della letterarietà, insomma, ci troviamo davanti a un'azione crudele e goffa, ingiustificabile. L'opera finale risultante è il parto di Dahl a cui qualcuno ha aggiunto delle pezze non tanto seguendo una linea letteraria coerente col materiale, ma per reagire a delle pressioni esterne. Un patchwork di roba che ricorda al massimo l'industria della televisione attuale del "non scriviamo una trama ma mettiamo questo che poi il pubblico ci mema".
Non è però il punto di vista letterario l'unico da tenere in considerazione, né, forse, il più interessante. Dal punto di vista educativo invece come ci poniamo? Ammetto di non essere mai stato un lettore di Dahl, non ho mai avuto a che fare con le sue opere in prima persona, le ho solo apprezzate riflesse in film come La Fabbrica di Cioccolato. Già il film della Fabbrica di Cioccolato, se ci pensiamo, è un film per bambini di raro orrore e spietatezza che, tra le altre cose, riproponiamo sulla televisione generalista tutto gli anni senza colpo ferire. E' un film con cui la mia generazione è cresciuta un po' tutta, inutile dirci di no, e non ne ha ricevuto danni. E' allora poi necessario oggi porre un'ulteriore tutela nei confronti dei giovani lettori e quindi, in un certo senso, mettere le ganasce ai profili più affilati delle storie di Dahl? Questa qui si che è una storia antica che arriva su su fino al cacciatore di Cappuccetto Rosso. Se stessimo parlando di fiabe e della loro tradizione vi potrei dire che oggi queste sarebbero necessariamente diverse da quelle di una o due generazioni fa. Ma quando parliamo di fiabe non parliamo di libri scritti, parliamo di un racconto mutevole che è narrazione popolare, non è qualcosa che ha mai avuto un reale autore o una reale fine. Nella lunga catena che ha visto consolidare le fiabe in certe forme, forse, potremmo vedere nei suoi punti fermi Perrault e Grimm, ovviamente, ma anche Disney, che ne ha prese diverse e le ha ribaltate più o meno brutalmente per riproporle nel ventesimo secolo, a dimostrazione che il materiale era realmente malleabile, non editoriale.
I libri di Dahl però sono libri, sono consolidati, sono cristallizzati, nascono dalla mente del loro autore e seguono le sue direttive. Dahl voleva danneggiare i nostri bambini (che qualcuno pensi ecc.ecc.)? Oppure le sue idee erano grette, oscure e malvage? In realtà no, Dahl apparteneva al suo tempo e per il suo tempo parlava. Oggi chi legge Dahl dovrebbe esserne consapevole. Può un bambino esserlo? Ovviamente no. Si accorgerebbe delle discrepanze e delle dissonanze che ora i libri di Dahl presentano rispetto al suo mondo. Eh, probabilmente (opinione personale) no. L'attenzione dei bambini è un'attenzione che va molto in profondità, se tu presenti a un bambino un drago quello vedrà davanti a sé un drago, quel drago, il drago che hai nominato tu e magari conterà le sue scaglie, si chiederà come è con le ali aperte, penserà a quale magia gli faccia sputare fuoco. Non si preoccuperà di come faccia un drago a vivere nel suo mondo, quanto mangia un drago, se l'ecosistema del drago è messo in pericolo dalle fabbriche o quanti draghi ci vogliono per fare un branco. Quelli sono i problemi dei nerd moderni un po' più grandicelli, quelli che si riempiono la bocca di parole come worldbuilding e se ne fregano del racconto. Il bambino ha di bello che è devoto al racconto. E il racconto di Dahl non vuole dirci di denigrare categorie di persone o disprezzarne altre. Il racconto di Dahl ha dei personaggi, a volte brutti, a volte grassi, a volte stupidi. Quello che conta (il bambino lo sa) è il personaggio in sé.
Se però siete sinceramente convinti che tutto quel materiale sia pericoloso allora il discorso non è modificare Dahl. Il discorso è trovare un autore che parli ai bambini oggi secondo quei vostri parametri. E la mia opinione qui, sempre tornando a quanto detto sopra, è che i parametri che volete usare poco sarebbero utili a orientarvi nella letteratura per bambini e quindi vi trovereste presto persi. Uno dei motivi per cui il racconto e l'amore per il racconto sono così in crisi oggi è che il racconto è una bestia difficile e vigliacca, traditrice. Molti hanno scelto di stargli lontano e sono rimasti a galla altrimenti. Con i bambini temo non si possa.
Però, sia chiaro, ultimo versante, prendersela con l'editore non si può. Perché l'editore non è interessato al punto letterario e non è interessato al punto morale, il suo è un discorso di carattere commerciale. Lui ha a disposizione il materiale di Dahl che, usando un'espressione che qui usiamo spesso, gli fa fare i soldi veri e DEVE pubblicarlo di nuovo e DEVE venderlo di nuovo. Non come atto eroico di affermazione artistica, ma come strategia industriale. Quindi se gli viene evidenziato un potenziale pericolo nel proporre i temi in certi modi DEVE correre ai ripari. Utilizzare prefazioni, premesse e edizioni critiche non si può, perché sono cose che un bambino non capirebbe e che i genitori dovrebbero spiegargli. I genitori non è che hanno sempre tutta questa voglia di spiegare a un bambino le parti spinose di ciò che affronta, dovendolo poi lasciare solo nella lettura (perché, sia chiaro, c'è un momento in cui rimaniamo soli col racconto, sempre quelli infido, vigliacco traditore, e non possiamo scamparci). Serve del materiale innocuo (che parola orribile) che possa far vendere un marchio. Questa è l'operazione che è stata, si può analizzarla anche sotto gli altri punti di vista per piacere personale, ma caricarla di eccessivi intenti morali è più che altro pericoloso.
Bene cari, editoriale chiuso. Argomento corposo e divertente. Prima di scriverlo mi sono preso la soddisfazione in Death Stranding di tirare una signora teleferica che aiuta un sacco un percorso difficile. Sono abbastanza orgoglioso di me, mi meritavo un po' di endorfine dopo aver passato tutto il giorno a trascinare i piedi nella neve. Non ve ne fregherà nulla, ma volevo dirvelo prima di andare via.
Cymon: testi, storia, site admin“Ma il grande paese, che non era affatto disposto ad andare in rovina, passava davanti ai decaduti, con rumore di stivali, battendo per terra con i calci dei fucili, scuotendo l'aria con i suoi appelli e pestando i piedi della gente. Le rivoluzioni si sono sempre distinte per mancanza di cortesia: probabilmente perché le classi dirigenti, a tempo debito, non si erano curate di inculcare al popolo le buone maniere.”