Norma Jeane
Blonde (2022) è un film dell'orrore.
Meno male che è una storia romanzata, e NON una biografia! Almeno uno può rincuorarsi pensando che magari la persona storica non è stata abusata e violentata incessantemente come per tutte le due ore e quarantesei minuti di questo film. 166 minuti di brutalità sono monotoni: purtroppo è un film monotono, che si affida a una sola nota insistita ad nauseam, ma le immagini riescono a movimentarlo e a scovare la bellezza anche in fondo all'abisso.
Blonde ha una particolare tinta di orrore psicologico che me lo fa accostare a Joker (non si dica che cito solo roba vecchissima!)... ma questa Norma Jeane vale dieci Joker, se non altro perché il suo film non sembra così tanto, bé, una pagliacciata. E però serviva la mano di un regista eccezionale per legare insieme tutti i frammenti sparsi che compongono questo film sconnesso e nevrotico: non l'abbiamo avuta, e dobbiamo accontentarci delle immagini molto belle e dei dialoghi che, caso strano per una produzione hollywoodiana, non sono scritti per il bambino più tardo della classe.
Una “Passione di Marilyn”, per così dire: una dea sacrificata sull'altare della nostra scopofilia... non meravigliamoci se ci fa sentire un pochino a disagio.
Una buona introduzione a questo tempo ottobrino, da sempre congeniale alle atmosfere horror. Mi invita a rimanere su questi temi, cinema horror e attrici e cinema, ma anche videogiochi: IMMORTALITY è un videogioco atipico, tutto composto da scene filmate con attori reali, e dunque non interattive; l'unica interazione consentita è nel fermo immagine, nella moviola, nel riavvolgimento, nella manipolazione di questo archivio di video alla ricerca di indizi su “Che fine ha fatto Marissa Marcel”, l'attrice che nella finzione del gioco ha interpretato tre film tra gli anni '60 e i '90.
Che fine ha fatto Marissa Marcel in realtà lo scopri quando si sblocca un certo achievement... dopo di che puoi continuare a vagare nella rete di collegamenti ipertestuali tra gli spezzoni di film, tra i dietro le quinte rubati sui set, e scoprire sempre nuovi dettagli.
La storia non è particolarmente intricata o misteriosa, anzi, ma devo ammettere di aver provato un brivido gelido lungo la schiena la prima volta che si manifesta la... meccanica di gioco, diciamo così, che consente di scoprire gli indizi. Piuttosto agghiacciante. È interessante anche il tema di fondo dell'immortalità come malattia trasmissibile attraverso l'Arte... ma non voglio dire di più.
Infine, Follow The Rabbit si unisce al cordoglio per l'improvvisa scomparsa di Kim Jung Gi. Era un artista eccezionale, che avevo già citato su queste pagine per la sua miracolosa abilità con il pennino nero (ma da non confondere con Kim Jung Tae, anche lui artista coreano da me citato a più riprese).
Lo-Rez: arte, storia, web designGli occhialini dalla bancarella
Molti mesi fa Lo-Rez si chiese come mai avessi taciuto un mio giudizio sul quarto Matrix (Resurrection) per poi proporvi la sua piccata recensione. Ai tempi la risposta, semplicissima, era che non avevo avuto voglia di raggiungerlo al cinema e non lo avevo visto. La solita PayTV dei bimbi ricchi ha ovviamente ovviato a questo e nonostante per buone ragioni l'argomento sia ormai sperso nell'oblio penso di poter dire quattro paroline.
Il mio giudizio sulla saga di Matrix è in conflitto col popolino dalla notte dei tempi, essendo io uno dei pochi estimatori di Matrix: Reloaded, un'opera che anche oggi, a distanza di tanti anni, reputo un'opera sontuosa sia per costruzione che per visività che anche per contenuti. Poco importa che voi là sotto nel volgo non lo capiate, Reloaded grondava concetti e idee tanto che a scrollarlo ne gocciola tutt'oggi e non potete farci niente.
Questa frattura tra me e il fandom forse è anche alla base del mio modo di vedere la trilogia di Matrix che, per quanto ami molto, non ho mai visto come un universo esteso o qualcosa di intoccabile e sacro. Forse, come dice Lo-Rez, ho sempre saputo che la sopravvivenza era nel riuscire a definirlo solo un film e per quanto sia possibile scavarlo, analizzarlo, riviverlo e amarlo non bisognava mai permettergli di tracimare da questo. E' solo fuori dal contesto cinematografico che possono nascere le campagne dell'odio, è solo nel momento in cui un'opera trascende che si possono chiamare delle Guerre Sante. Nelle meccaniche dell'industria dell'intrattenimento non c'è niente che la morale renda illecito, nemmeno Star Wars VII. Quando sentiamo una brutta fitta di dolore sotto il costato a pronunciare certi nomi (ahi!) è perché gli abbiamo dato troppo spazio nel nostro immaginario.
Quindi pazienza se si è deciso, dopo tanti anni per un Matrix: Resurrection. Lo volevamo? No. Lo abbiamo atteso trepidanti? No. Ne siamo infastiditi? No. Però esiste ed la sua esistenza non può passare completamente sotto silenzio, una riflessione non la si nega a nessuno.
Matrix: Resurrection è un film svogliato che si appiccica al finale netto e definitivo di una saga. Questa è la premessa già nota prima che uscisse nelle sale. Coloro che hanno cercato con grande forza di dargli un senso hanno provato a vedere il lato metacinematografico sotteso a certe dinamiche, come quelle che vedono Neo ridotto a programmatore della Warner Bros, geniale padre di un Matrix videogioco, che in fondo è uno shift rispetto alla verità degli avvenimenti, ma neanche tanto, visto che richiama quell'assurdo progetto multimediale che è stato Matrix: Online. Tutti gli altri, me compreso, vi hanno visto un more of the same di certe dinamiche, soprattutto del primo capitolo, con tanto di pillole, vasche e pile umane. Nel trovarmi di fronte tutto ciò, però, di nuovo, non ho sentito alcuna blasfemia. Matrix: Resurrection, anzi, fa un opera abbastanza lodevole nel non operare un completo reboot della saga, cercando invece di mandarla un po' avanti, con una razza umana che ha trovato un nuovo equilibrio con le macchine e una Matrix che si può realmente vedere "dal di fuori", ovvero come un oggetto chiuso in sé stesso in un universo più vasto. C'è poi un nuovo cattivo, c'è Mr. Smith, c'è Morpheus e anche un po' di Kung-fu.
Il problema è che nessuno, ma proprio nessuno si è impegnato perché ne uscisse un bel film.
Se a questo Matrix: Resurrection fosse stato applicato lo sforzo produttivo della trilogia originale, la Wachosky superstite avesse trovato buone soluzioni di regia, Neil Patrick Harris fosse stato più di un cameo e la confezione fosse stata più arrogante chi lo sa, magari saremmo qui a parlare di un divertente baraccone che sfrutta una storia che si regge in piedi nei limiti dell'action-movie, qualcosa di trascurabile ma divertente. Magari saremmo usciti da questa storia con voglia di più Matrix fino a far gemmare da questa pellicola dei seguiti.
Invece, spiace, non è così. Smith e Neo sono downgradati sia perché mancano i loro attori originali sia perché manca una giustificazione alla loro esistenza, Neo e Trinity non sono solo invecchiati, sono stanchi di fare gli stilosi e la camera che li riprende non ha mai abbastanza colori o luce per farli apparire più che un paio di attori che fanno un favore a un amico. Le immagini importanti di questo Resurrection sono le riedizioni dei momenti della trilogia originale e non c'è nient'altro di realmente utile. In pratica ogni scenario della trilogia di Matrix, soprattutto all'interno del mondo virtuale, era un capolavoro di senso e realizzazione di per sé, qui invece è solo un posto dove i nostri personaggi sono stancamente trascinati.
Matrix: Resurrection è un ottimo oggetto per spiegare la magia del cinema. Se la spegnete o non vi impegnate a metterla dentro, il prodotto che risulterà sarà esattamente così. E potendolo confrontare con un prodotto appartenente alla stessa famiglia che però ne è letteralmente saturo, giocando un pochino al gioco delle differenze potreste imparare qualcosa.
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