Strip
serie
994, 12/12/2020 - Villaggio di test
994
12 . 12 . 2020

Pazienza

Per una volta che Gödel stesso chiede di Fare I Test™... il Direttore lo stronca così. E poi ci si lamenta dei bug in produzione!
Perché si sappia, la strip odierna è la riproduzione fedele delle discussioni che ci sono state in CDProject a proposito di Cyberpunk 2077. Non si dica che questo fumetto non parla più di videogiochi (?).

Ma non è ancora il momento di parlare di Cyberpunk 2077: lo so, figli miei, che il mondo ce lo chiede, anzi ce lo impone...! Ma si tratta di un titolo tanto grosso che avremo agio di trattarlo anche in futuro (se avremo un futuro).
In effetti mi permetto di dire che forse un po' di sana vecchia pazienza avrebbe assai giovato a tutte le parti in causa: a quei diavoli polacchi per rendere un po' più presentabile il loro gioco, almeno per raggiungere la decenza; e anche ai giocatori che l'hanno pre-pre-pre-acquistato ben sapendo quali erano i rischi.
Anzi no, mi correggo: i giocatori non hanno nessuna colpa. I giocatori sono agnellini innocenti e batuffolosi travolti da un destino crudele. I loro 69.99EUR sono buon denaro sonante: perché dovrebbero attendersi di ricevere qualcosa di meno di quel che hanno pagato?
Sì, sì, sarò anche un idealista che vive sulle nuvole insieme ai minipony che vomitano arcobaleni... anni e anni di Gioconi Grossi pubblicati prematuri non mi hanno insegnato nulla? Suvvia, si sa che sono titoli complessi, il controllo qualità è difficile, la pressione per uscire sul mercato dopo 5 o persino 10 anni di investimenti è fortissima, e poi se non fanno così questi giochi non sono profittevoli! E tu, bravo bambino, non vorrai mai che questi giochi non siano profittevoli, VERO? Perché altrimenti poi smettono di farli. E sarà solo Fortnite per sempre. Tié, ben ti sta!
No, amici roditori: così non va bene. Non ci sono mai soluzioni semplici ai problemi in cui ci cacciamo noialtri umani. Però magari continuare a cercarle, e sperare che qualcuno le trovi, può essere d'aiuto.

Bene, ovviamente non era di questo che volevo parlare ma la rabbia è tanta e questa colonna è uno dei modi più innocui che conosco di sfogarla. Che poi non è che ci siano tanti altri argomenti pressanti oggi, eh! Voglio dire, i The Games Awards 2020 sono stati uno spettacolino triste: i momenti di maggior richiamo sono stati messaggi registrati di 30 secondi da parte di qualche attore famoso. Se questa è la prestigiosa serata di gala che si merita il settore dell'intrattenimento elettronico, ditemi voi!
Anche gli annunci di giochi nuovi mi lasciano del tutto indifferente, tranne forse questo filmatone di una vaccata asiatica online, Crimson Desert, senza dubbio una trappola per uccidere di stenti i coreani in un internet café di Seoul. Però tecnicamente che gli volete dire, fatto bene è fatto bene. A parte qualche animazione bizzarra, ma è pur sempre una anteprima.

No, io oggi ero partito con l'idea di strillare tutto eccitato per... il nuovo album delle K/DA!
Le K/DA, per chi non seguisse da vicino le nostre ossessioni maniacali (beati voi), sono quel finto/vero gruppo di idol K-POP adolescenti coreane (!!!) che sono in realtà personaggi di League Of Legends, e però sono anche persone vere, e cantano dal vivo in concerti olografici, e adesso si è aggiunta al gruppo una nuova arrivata cinese per piacere al mercato cinese, tutta timida e rossori carinissimi, finta come le altre ma un po' di più perché non era neanche un personaggio di League Of Legends, ma lo è diventata dopo e quindi adesso è davvero un personaggio finto di un videogioco vero, oltre che una cantante vera con una identità fittizia... sei ancora lì, o lettore?
È tutto così postmoderno, così... cyberpunk! Ad ogni modo, il video di debutto di queste K/DA, POP/STARS, aveva preso di brutto me e sospetto anche il mio compagno di sito. Gli avevamo dedicato anche una tristissima illustrazione di S. Val. 2019. I video del nuovo album invece non mi hanno esaltato, e nemmeno le canzoni.
Vuol dire che sono guarito, dottore?

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12 . 12 . 2020

Giù nel cyberspazio

Gli sviluppatori sono una razza erratica. Se gli chiedi come è fatta la piattaforma di testing dei loro sogni sostanzialmente ti dicono che vorrebbero una cosa tipo Matrix, esattamente uguale alla realtà, in cui i tester vengono immersi senza sapere di essere in una simulazione e ogni tanto ne escono, ogni tanto no, rimanendone intrappolati. Alcuni miliardi di dollari, una certa spesa in vite umane, ma diamine se il software è certificato.
Se invece vai a vedere come fanno i test prima del rilascio eccoteli che fanno un paio di click, si ok la pagina non è che si carica, ma cosa vuoi, è la macchina di sviluppo, nei log non ci sono poi troppe righe di warning. E comunque erano solo cinque righe di codice, dai.
Lavorare con gli sviluppatori è sempre un tantinello difficile.

Finalmente è uscito Cyberpunk, non tanto perché ci tenessimo ad avere cyberpunk, ma perché non ne potevamo proprio più di articoli sull'attesa di cyberpunk e meme sul ritardo. Non mi sono appassionato moltissimo al progetto Cyberpunk, se devo essere sincero. Quando cercano di venderti un mondo super-open-world, paradossalmente, riesci ad amarlo solo se un giorno poi ci entri, altrimenti, visto da fuori, non riesci a esserne ammaliato. Un gioco open world non può sorprenderti, deve sedurti perché deve trascinarti dentro di sé, se sai già che non ci entrerai difficile subirne le malie. In occasione di questo rilascio mi sono limitato a guardare l'unboxing della superversione e poco altro. Certo, ho anche recepito le lamentele per i bug della versione PS4. Sottolineare questi aspetti, però, è ormai puro populismo. I videogiochi escono così, non è una questione di capacità realizzativa, è il modo in cui funzionano le aziende in questo millennio della banda stra-larga. Costa meno far lamentare gli early adopter e sistemare che inserire due mesi di testing circostanziato in più perché tanto gli early adopter fisiologicamente finiscono, come i bug. Sulla linea di demarcazione tra due generazioni poi, questi fenomeni ovviamente si acuiscono. Sono i veri segnali che una console sta morendo in ragione di un'altra, oltre a un malizioso invito a cambiare la tua anche se, lo sappiamo bene, funziona ancora benissimo.

Credo che nel 2020 con l'uscita di un gioco chiamato Cyberpunk possiamo anche riflettere sul Cyberpunk, inteso come movimento, una delle realtà più potenti degli anni 80 (quaranta anni fa). Cosa ne rimane oggi? La mia idea è che il cyberpunk ha goduto del vento in poppa dato dall'entusiasmo che permeava i suoi anni e che, forse, ha camminato nel nostro immaginario per più tempo di quanto meritasse. Sia chiaro, non rinnego nulla. Non rinnego la trilogia dello Sprawl di Gibson, non rinnego di aver giocato a Syndacate, non rinnego nemmeno Johnny Mnemonic e Takeshi Kitano che si fa chiamare Takeshi. Tutte queste cose, però stavano bene nel luogo dove sono nate e vanno contestualizzate in quell'epoca. Possono anche servire come riferimento estetico, certo, anche per fare un videogioco nel 2020, ma i ragionamenti del cyberpunk si sono fatti più faticosi da sostenere.

Possiamo liquidare abbastanza rapidamente la parte "cyber". Gibson per primo non capiva nulla di informatica e l'informatica è troppo noiosa per essere venduta alle folle. Metafore colorate, divinità e caschi non sono mai stati una rappresentazione sincera della reale rivoluzione dei computer. I caschi, timidamente, cominciamo a vederli oggi, ma non saranno la nostra interfaccia regina, le Intelligenze Artificiali sono partite da tutto altro punto di vista e chissà, comunque il discorso sulla coscienza esula molto da quella che è stata l'immagine dei vari Invernomuto. L'idea invece di hackerare un sistema sparando con la pistola magica su dei cubetti... mmmmh, lasciamo stare.
Più interasse il "punk", la parte che forse è stata più facilmente ignorata, quella che contrapponeva la gente comune alle zaibatsu, in varie forme. In questo senso la divisione tra un sopra e un sotto ha seguito una curva più morbida e insinuante. In certi termini il cyberpunk ha anticipato lo strapotere delle società privati in ambiti come la rete e le nuove tecnologie, ma ha anche deciso di focalizzarsi su due gruppi di persone che non siamo mai stati noi, ovvero gli eletti delle grandi piramidi, immortali e senza limiti, e i reietti nelle zone buie della società, regredite a una specie di far west senza legge. Questa netta divisione in caste, però, manca di uno sguardo sulla società di mezzo, la società dei consumatori, quella che nell'ipotesi del cyberpunk (e della spietata critica al consumismo degli anni 90) era ridotta a una mandria di animali da macello, di cui quindi non c'era niente da raccontare. Quello di cui accuso il movimento è aver deciso per l'impermeabilità che ha teorizzato tra questo gruppo e gli altri due, l'impossibilità di muoversi tra questi, che semplifica di molto lo scenario. E' vero invece oggi che noi, animali da macello, da una parte siamo effettivamente sotto il controllo delle zaibatsu, ma siamo anche parte attiva nella lotta. Le persone che oggi si vedono negati dei diritti non sono persone escluse dalla società, ma persone al suo interno, che la società cerca di anestetizzare. Siamo tutti legati a doppio filo a un sistema complicato che fa delle interconnessioni la sua forza. E' forse questo quello in cui si è peccato un po' in ingenuità e che visto replicato a oggi annoia forse più in fretta.

Ciò ovviamente non toglie che il mondo cyberpunk sia divertente, soprattutto per come si è lasciato contaminare dalla letteratura hard-boiled, come abbia decostruito il mito della conquista spaziale, come abbia sporcato molti sogni che le epoche precedenti, a loro volta, avevano gestito troppo ingenuamente. Fa ancora bene leggerlo e recuperarne le opere, con la giusta prospettiva. Per esempio, tornando a Gibson, la trilogia della blue-ant rappresenta un'intelligentissima evoluzione di quello che era l'immaginario del tempo, un modo in cui rileggere certe suggestioni in uno scenario molto più realistico e vicino alla realtà. Tanto Black Mirror, a sua volta, restituisce in una lingua più attuale quello che il cyberpunk magari non poteva dire.

Bene carissimi, anche per questa settimana è fatta. Ormai siamo vicini al Natale, quella cosa che fallirà, come suo solito, a renderci più buoni. Dovrebbe esservi poi evidente che c'è un'altra ricorrenza, molto più followtherabbittesca ormai incombente. Che fa un po' più paura, a pensarci.

“Il penitenziario numero 13, a Engel's, è il campo di lavoro modello che viene mostrato ai difensori dei diritti umani affinché se ne ripartano convinti che la situazione carceraria in Russia ha fatto dei progressi. Così nel 1932, al culmine di una carestia che aveva ridotto allo stremo i contadini, arrivati al punto di uccidere i propri figli, H.G. Wells concludeva, sulla base dell'eccellente pranzo offertogli a Kiev, che in Ucraina si mangiava proprio bene.”

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