Una installazione artistica
L'antipatia degli Ingegneri per i Consulenti è ormai conclamata, perlomeno su queste pagine: ci sono forse le basi per aprire un terzo fronte di battaglia, dopo quello tra Ingegneri e Quelli Del Marketing?
Ma che ne so, c'è troppo sole per occuparsi di claustrofobiche politiche da ufficio! Un sole così merita di essere assorbito avvicinandosi il più possibile alla fonte, lassù in montagna dove osano solo le aquile, e i turisti facoltosi, e gli sciatori d'acciaio teutonici.
Salire a piedi per ore con gran fatica, affondando nella neve fino al ginocchio, e poi scendere giù in slittino in pochi euforici minuti... il modo più duro per imparare le leggi della fisica, ma anche un ripasso necessario per noialtri lavoratori sedentari.
Ma i videogiocatori da sempre hanno qualche motivo in più per starsene incollati a una sedia, ingobbiti su uno schermo: ciascuno un motivo diverso, ad esempio per me potrebbe essere, in queste ultime settimane, il capitolo finale di Kentucky Route Zero.
(Cioè, il capitolo finale dura appena un'oretta, ma ormai il mio tempo per videogiocare è ridotto a questo.)
Non credo di aver mai parlato su queste pagine di questo gioco, e dunque stavolta non posso vantarmi andando a tirare fuori dall'archivio un editoriale del 2011 in cui lo citavo... eppure stavolta sarebbe stato utile, perché la storia di KRZ è assai particolare: il primo episodio è stato annunciato nel 2011, ma il quinto ed ultimo è uscito solo ora. Considerato che ciascun episodio dura un paio d'ore al massimo, sorgono spontanee alcune domande.
La prima: ma c'era davvero bisogno di tutto questo tempo per produrre qualche oretta di avventura punta e clicca, dalle interazioni davvero limitate, con una grafica 3D lo-fi che sembra uscita dagli anni '90? Non so, dovremmo chiederlo alle tre persone che hanno fatto il gioco. Qualcuno glielo ha chiesto, in effetti, e mi dispiace dire che questi tre tizi sono esattamente quello che sembrano a chiunque giochi il loro gioco, ovvero tre palloni gonfiati laureati in “arte”.
Anche il loro gioco è stato esibito in una mostra d'arte come “installazione artistica”, con le sue didascalie pompose e il manualetto e tutto quanto.
Per quanto mi sia istintivamente antipatico questo approccio, per quanto siano lontani da me questi tre tizi e il loro modo di intendere i videogiochi, devo ammettere che c'è posto anche per loro... Kentucky Route Zero è un'opera d'arte, costruita fin dal primo istante per essere descritta come un'opera d'arte, ma comunque funziona.
Invece di ispirarsi al cinema come tanti giochi, questo si ispira al teatro.
Invece di inserirsi nel solco di un genere preciso, magari come operazione nostalgica come va di moda oggi, questo gioco fa cose decisamente insolite, forse proprio perché è il prodotto di tre tizi estranei all'ambiente tipico dei videogiocatori.
Certi invasati dicono che Kentucky Route Zero continua a girare nel tuo cervello molto tempo dopo che l'hai disinstallato dal tuo PC, e sono d'accordo. Ha una personalità fortissima, soltanto sua, diversa da tutto. Certo ricorda in superficie le avventure punta e clicca di una volta, i poligoni grossi e senza texture, le scelte di dialogo: ma è solo apparenza, KRZ usa queste similitudini superficiali per divertirsi a farle a pezzi.
Ad esempio le scelte di dialogo non servono a scegliere i dialoghi, servono a inventare le personalità dei personaggi strada facendo, senza peraltro alcuna possibilità di influire sulla vicenda. Ma la cosa che fa più riflettere di questo titolo è come si diverte a spiazzare il giocatore facendolo interagire nei modi più disparati, e mai come ci si aspetterebbe da un videogioco qualsiasi. A volte si controlla solo un punto di vista disincarnato, oppure un oggetto inanimato o un gatto, oppure il controllo passa da un personaggio all'altro più volte nella stessa scena.
Kentucky Route Zero fa cose strane con la nostra mente. Ed è anche davvero molto bello da vedere. Mi sta antipatico ma non posso fare a meno di ammirarlo.
Lo-Rez: arte, storia, web designLos Angeles, 2019
E' il 1997 e la Westwood Studios è all'apice del successo.
La software house deve tutta la sua gloria a un'intuizione avuta 5 anni prima, ottenuto il compito di sfruttare per la seconda volta l'universo di Dune di Frank Herbert. Nel 1992 la Cryo Interactive aveva tratto dalla storia originale un'avventura grafica rarefatta e piuttosto particolare che però, preso il controllo dei Fremen, diventata un curioso gioco strategico, sempre piuttosto lento, ma che godeva della grande atmosfera costruita intorno. Forse fu quello a ispirare i Westwood, forse, più semplicemente, nelle loro menti si era già sviluppato un concept che potevano "colorare" con la guerra per la spezia, fatto sta che se ne uscirono con Dune 2, il primo Real Time Strategy. Non diede loro la consacrazione, ai tempi solo un'altra software house pensò di lavorare sul genere, ma quando poi perfezionarono le meccaniche in Command & Conquer scoppiò una febbre che portò loro nell'olimpo delle software house e cambiò il mondo dei videogame per sempre (chi era la software house che li seguì da subito? Un piccolo gruppo che pensò valesse la pena clonare, sostanzialmente, Dune 2, dandogli una livrea fantasy. Si chiamava Blizzard, forse ne avete sentito parlare).
Con un gioco consacrato come capolavoro e capostipite di un brand già duplicato in due filoni distinti e di altrettanta gloria, la Westwood decide di lavorare a qualcosa di completamente diverso e apre uno scrigno nerd che, fino a quel momento, era rimasto intoccato, un oggetto che per l'immaginario di quei tempi aveva lavorato come primo motore immobile o come seme. La configurazione base da cui, frattalmente, si era sviluppata la fantasia di noi tutti.
Era ora, si dissero, di fare un videogioco su Blade Runner.
Non poteva essere un gioco qualunque, ma non poteva nemmeno essere qualcosa di diverso da un'avventura grafica. Mentre ormai le ambientazioni, le idee e lo stile del film di Scott si era moltiplicato in infiniti titoli con infinite finalità declinate in infiniti generi, l'unico modo perché la storia originale rimanesse sé stessa era raccontandola per quello che era: una storia. Ma, come si fa spesso quando ci si avvicina a ciò che è sacro, non poteva essere esattamente quella storia, bisognava nasconderla dietro un paravento, osservarla solo di riflesso, senza mai guardarla negli occhi, pena rimanerne bruciati.
Blade Runner era quindi un'avventura grafica, ma non la storia di Deckar. E' la storia del cacciatore McCoy, che invece di dare la caccia a Roy Batty è sulle tracce di Clovis. I punti di contatto tra il film e il videogioco sono molti eppure le due trame coesistono nel senso che la nostra azione videoludica si svolge nei medesimi giorni in cui si svolge quella cinematografica, tanto che incontreremo Tyrell poco dopo che lui avrà congedato Deckard e esattamente come Deckard, alle nostre spalle aleggerà l'ombra di Holden, l'altro cacciatore caduto vittima dei lavori in pelle.
Abbiamo fatto oggi questo largo salto nel passato perché Gog ha recentemente patricinato il porting del gioco su SCUMMVM e lo vende a un prezzo consono. Avrei potuto anche evitare di comprarlo, io anni fa già lo emulai, a ben guardare, ma sono una persona debole e, dal punto di vista di Gog, un vecchio pieno di soldi, quindi ho cliccato, cliccato, cliccato e mi sono messo a giocarlo. Non l'ho ancora finito, ma sono ormai settimane che questo editoriale ha bisogno di essere scritto per cui eccoci qui.
Anche una volta fatto un passo di lato rispetto alla storia originale i Westwood non potevano comunque scrivere un'avventura grafica. Dichiararono fin da subito che il loro obiettivo era realizzare un'esperienza diversa, più immersiva, che non mettesse semplicemente il giocatore nei panni di un personaggio, ma lo mettesse a confronto con le sue scelte e con i suoi dubbi. Sostanzialmente, quello che cercarono di realizzare, fu una specie di sandbox in cui il giocatore svolgeva le sue indagini in modo più realistico rispetto quanto usualmente accade, cioè semplicemente analizzando la scena del crimine, recuperando indizi e interrogando persone. Il corpus di tutte le informazioni raccolte, poi, veniva raccolto in un archivio consultabile in cui il giocatore avrebbe potuto liberamente fare le sue connessioni e quindi, da un diverso punto di vista, raccontarsi la storia. Contemporaneamente presero una decisione ancora più coraggiosa e dichiararono che il gioco avrebbe avuto multipli finali, sia basati sulle scelte del giocatore, sia dovute a certe variabili che il gioco, alla sua inizializzazione avrebbe stabilito. In questo modo sul serio l'avventura sarebbe stata vissuta, in quanto unica e non predeterminata.
Queste promesse furono rispettate? Razionalmente la risposta che dobbiamo dare è: no. Perché quest'idea di lasciare libertà al giocatore in un inverso che comunque deve essere controllato passo passo come quello di un'avventura grafica si riduce nel dargli la libertà di fare poche cose. Sostanzialmente, a livello di brutale gameplay, tutto quello che si può fare è andare di posto in posto, cliccare sugli hotspot e poi lasciare che questi evolvino la trama, con un contributo minimo da parte nostra. Capita anche che la storia si evolva mentre noi la viviamo passivamente, per esempio ci sono dei personaggi che si incontrano o che comunque fanno cose in nostra presenza non sulla base di qualcosa che precedentemente abbiamo fatto noi, ma semplicemente perché ci siamo trovai nella location opportuna quando era il loro momento. Da una parte questo da una notevole immersività, perché sembra veramente, come nei film, di essere finiti casualmente nel posto giusto al momento giusto e sfruttare la situazione, dall'altra parte è evidente che si viene "trascinati" più di quanto si riesca a guidare e questo, in un prodotto che non è proprio una visual novel, è frustrante.
Siamo qui a scrivere questo lungo articolo, però, perché c'è qualcosa di più, che riguarda in senso più lato l'esperienza di Blade Runner. Perché accanto a un lavoro di gameplay coraggiosissimo, ma non riuscito, bisogna mettere anche un lavoro GIGANTESCO e rispettoso fino alla devozione del materiale di partenza. Potete giocare Blade Runner anche solo allo scopo di arricchire la vostra conoscenza del film e integrarla con nuovi affascinanti spunti. Il gioco è zeppo di riferimenti incrociati e, oltretutto, fa qualcosa che nessuno, in nessun altro contesto, ha provato a realizzare, oppure rimette nell'immaginario del film larghi brani del libro da cui è tratto. Il romanzo di Blade Runner (Do android dreams....) è un'opera profondamente diversa dal film che è stato realizzato, Scott prese solo alcuni spunti per realizzare un prodotto completamente diverso nelle ambientazioni, negli scopi e nei personaggi. Per questa ragione è sempre difficile considerare le opere una accanto all'altra. I Westwood, invece, con un lavoro affascinante, riescono a ricostruire alcuni temi fondativi del libro e armonizzarli con quelli del film arricchendo quindi l'esperienza di numerosi altri livelli. Per esempio il delitto iniziale su cui McCoy si mette a lavorare è un massacro in un negozio di animali reali. In Blade Runner non si da molta importanza al mercato di queste creature come nemmeno al grande mercato delle loro controparti artificiali. Nel libro, invece, il discorso è molto articolato a riguardo, perché coinvolge l'empatia delle persone verso altri esseri vivienti e il modo in cui riesce a ingannarsi in presenza di un mondo che è morente per i risultati delle guerre nucleari.
Per quello che riguarda me, facendo tutti i distinguo riguardo ciò che "me" rappresenta, ovvero la persona scollata dal mondo e piena di bizzarri fetish che avete imparato a conoscermi negli anni, questo lavoro di cui vi ho parlato basta per giustificare il gioco e posso anzi arrivare a dire che il gameplay così rarefatto, visto come funzionale a quello, è anche una scelta corretta. Blade Runner non è un'esplorazione di locazioni (che sono in verità moltissime e bellissime), ma un'esplorazione di una psicologia e delle sue sfaccettature, ottenuta tramite un videogame. Un unicum che non ha insegnato abbastanza da vedere il suo schema replicato, ma che nella sua semplice esistenza vale certamente qualcosa. E, come vi ho detto spesso in merito alle avventure grafiche, merita di essere giocato anche oggi, nel 2020.
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