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933, 21/09/2019 - La luna dello sviluppatore
933
21 . 09 . 2019

Camminare in montagna

Magari uno pensa che i freddi Ingegneri non abbiano spazio nelle loro menti, che funzionano come macchine logiche, per sciocche superstizioni... e invece ci credono eccome. Alla Luna Nera che porta sfiga e tutto quanto. Perché chi meglio di loro conosce l'imprevedibilità alla base di tutte quelle costruzioni di uni e zeri, fragilissime e caotiche...!

Ma il freddo è ormai alle porte, i chiari di luna sul mar non sono più spettacoli a cui assistere ogni sera all'aperto, e volenti o nolenti dobbiamo predisporci tutti alla lunga traversata invernale.
Meglio quindi procurarci un buon videogioco da gustare accanto al camino come un rum invecchiato, ma senza i relativi danni per la salute. Personalmente consiglio un Hideo Kojima Game™, tanto per andare sul sicuro. Anche se in effetti di sicuro non c'è mai un bel niente, con quel vecchio volpone.
Prendiamo Death Stranding: nessuno sa cosa sia Death Stranding, nemmeno dopo 78 minuti di gioco commentati da Kojima al Tokyo Game Show. Certamente è un'opera che sa catturare l'interesse, se è capace di tenerti incollato allo schermo per un'ora ad ascoltare un giapponese che sussurra in giapponese senza sottotitoli, e una giapponese che STRILLA in giapponese ogni tre per due.
A me piace. Mi piace tutto quello che ho visto, e il modo in cui è stato presentato. L'umanità è irrimediabilmente perduta, e si fa beffe del Maestro e di quello che definiscono con sarcasmo un “walking simulator”... ma non ce ne curiamo in questa sede. Lo stesso Kojima ha dichiarato in una lunga e interessante intervista che quando fai un gioco che piace a 100 persone su 100, allora non hai inventato un bel nulla. Se invece ti sei messo in testa di spingere avanti il medium videoludico, oppure di trascinarlo avanti come un mulo recalcitrante, dovrai per forza sopportare qualche raglio di protesta.
Adoro la non-violenza che pervade Death Stranding, e che non si limita alla superficie ma modella intimamente il gameplay e anche l'ambientazione: ad esempio pare che non solo gli umani siano allergici agli esseri misteriosi (che fanno lacrimare gli occhi di Sam), ma che la reazione sia reciproca, sicché anche noi con la nostra sola presenza siamo nocivi ai nostri nemici (da cui le famose granate di pipì che sono già diventate un meme). Credo che questo dettaglio sia già una bella dimostrazione del concetto di legame su cui si fonda questo gioco: una reciprocità che ci lega tutti quanti, che lo vogliamo oppure no.
Stringere legami sarà dunque il tema di Death Stranding, ma nelle ultime dichiarazioni Kojima ci ha sorpreso (ancora): a chi gli voleva far dire a tutti i costi che la sua opera è una metafora di Temi Molto Attuali nella realtà di oggi, lui ha risposto con fermezza che i legami, o “strand”, non sono necessariamente una cosa buona. Legami degeneri possono anche portarci alla rovina, come può ben vedere chi frequenta i social network (povero lui!).
Un'opera anche filosoficamente complessa e controversa, dunque, indice di una maturità che ben di rado il mezzo videoludico ha mostrato nella sua breve vita.

E poi ci sono le camminate. Lunghe camminate solitarie attraverso una natura aspra e desolata, che costituiranno buona parte del tempo di gioco. A questo proposito giova assai la mirabolante resa tecnologica dei paesaggi, delle condizioni atmosferiche, delle animazioni: davvero costituiscono un mondo secondario nel quale mi perderei ben volentieri ad esplorare ogni pinnacolo innevato, ogni ruscello verdeggiante di muschio, ogni autostrada in rovina.
È assolutamente geniale l'intuizione di trasformare un'attività ormai proverbiale per la sua noia in tutti i videogiochi, la consegna dal punto A al punto B, nel fulcro stesso del gioco. Come se Kojima avesse raccolto la sfida di rendere divertenti le parti più blande dei classici giochi d'azione, quegli intermezzi tra una sparatoria e l'altra.

Avrei da commentare molti e molti altri tocchi di classe. Per oggi mi fermo, ma qui siamo a casa mia e comando io, e questo gioco e il suo autore hanno catturato in pieno la mia immaginazione e il mio interesse. Quando ami qualcosa la ami, c'è poco da fare.

Lo-Rez: arte, storia, web design
21 . 09 . 2019

PTSD

Cymon, una volta eri una persona meglio, un genuino genio rinascimentale, versato in mille pratiche e mille interessi. Ora, vecchio, sei ridotto solo a robottoni giganti e maghette, maghette e robottoni giganti. Settimana scorsa il solito editoriale di robottoni giganti, per esempio!
E questa settimana, maghette.

No, non stiamo parlando (ancora) della serie finale di Symphogear (ma sono contento siate attenti), ma di Magical Girl Spec-Ops Asuka, un anime su cui c'è molto da dire, NON FOSSE ALTRO che la mia vena filologica, quando si parla del genere, diventa a dir poco ipetrofica.

Uno degli aspetti che in quest'epoca permette al mondo anime di essere ancora vitale mentre le narrazioni occidentali continuano a guardarsi indietro senza costrutto è dato dal fatto che le idee, in Giappone, sono sostanzialmente "open source", nel senso che quando un autore fa qualcosa di molto bello, gli altri autori, senza vergogna, ma anche senza il biasimo della società, possono coglierne gli aspetti che preferiscono e riproporli, solitamente modificandoli o comunque portando avanti il loro personale punto di vista. Nella società occidentale si ha un po' di orrore di fronte a pratiche del genere, questo impedisce però che si abbiano delle seconde letture su argomenti magari intriganti a meno di ricostruirle in un ambiente genuino, ma frettolosamente impiantato, oppure montandole proprio su quella trama di partenza, con tutti quei prequel, sequel, spinoff e reboot in cui però evidentemente la linfa vitale della storia è già esaurita da un bel pezzo.
Spec-Ops Asuka, evidentemente, saccheggia le idee di Madoka Magica, le manipola dove gli serve e poi parte da lì, dando molto per acquisito, per dare forza a una diversa narrazione. In Asuka le maghette esistono per difendere la Terra, dietro la loro creazione non c'è nessun inganno, ma come in Madoka la loro esistenza non è un caramelloso sogno di bimba, ma una maledizione che le ha portate a vivere esperienze terribili. La storia dell'anime comincia a tre anni da quando la missione delle maghette è stata considerata compiuta, l'esercito dei Dias, le ridicole e agghiaccianti creature cucciolose che hanno invaso la Terra è stato sconfitto, il mondo è salvo. Quello che ci viene mostrato è come le protagoniste tirano avanti dopo quell'esperienza, gravate dal peso delle compagne morte e delle esperienze che hanno dovuto affrontare.

Sarebbe stato bello, in realtà, un anime quasi intimista in cui Asuka, faticosamente, cerca di reinserirsi in una scuola normale, ma nel frattempo si trova a confrontarsi col peso del suo passato e dei suoi poteri, come sembra voler fare la serie nei primi episodi, incentrati unicamente su di lei e sulle sue nuove amichette. Purtroppo poi la storia prende la più scontata piega della nuova guerra contro un nuovo super-cattivo (la cui identità è abbastanza intuibile), in cui lei reincontra l'amica di sempre Kurumi e tutti gli impianti "militari" con cui ha dovuto confrontarsi in passato. Questo però non toglie che il taglio della serie è molto interessante, soprattutto nel mostrare le vite distorte delle protagoniste. Asuka ha un esplicito PTSD che si fa vivo a più riprese, ma è ancora più inquietante l'intera psicologia della apparentemente innocua Kurumi, che gli autori non si vergognano di presentare come un personaggio realmente deviato, seppure allo stesso tempo schierato comunque con i "buoni".

Dal punto di vista tecnico l'anime non è niente di epocale. La decisione di fare dei cattivi dei pupazzi cucciolosi è a tratti geniale, ma non offre grande impatto visivo, il tratto è in generale pulito, ma non lussuoso. I costumi delle maghette sono già orientati verso lo stile Madoka, con assurdi merletti da cameriere, quindi nemmeno lì il disegno mi ha rubato il cuore. Un appunto che mi farà passare per pervertito, ma che, capirete bene, è doveroso per parlare professionalmente del genere, è che non si indugia praticamente mai sulle vestizioni, a volte completamente tagliate via. Quella mezza che si vede è maliziosa come da prassi, ma è veramente una cosa di sfuggita, come se effettivamente gli autori volessero dare a tutto un taglio più serio (del tipo: noi esploriamo la psicologia dei reduci di guerra quindi fate di non mettervi a guardare le ragazzine nude).
La opening è una bella canzone acida elettrodance cattiva che si ascolta volentieri, ce n'è in giro anche una bella cover.

Magical Girls Spec Ops Asuka è consigliato, non fosse che c'è anche qui il link Crunchyroll, sono dodici episodi. L'anime arriva a un finale parziale, che nulla dice del cattivo e dei suoi piani reali. Visto però come è stato scritto (e il suo genere di riferimento) potremmo pure scommettere il tempo di vederlo su una possibilità di rinnovo che ci concederà altre stagioni. Considerando che Symphogear chiuderà con AXV dobbiamo pur trovare qualcosa da inseguire negli anni.

- Piantala, russa! Fatti una vodka e chiudi quella bocca!
- Ma sono ancora minorenne...

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