Chiralità
“Oh my God, it's full of... EXCEL!” potrebbe esclamare il nostro Gödel nella situazione odierna, colmo di orrore cosmico.
L'orrore cosmico e la netta sensazione di trovarmi dentro fino al collo nella fantascienza sono state anche le mie reazioni all'E3 2018. La qualità di certi giochi che sono stati presentati nella grande fiera di settore mi ha scosso nell'animo: il mezzo videoludico si evolve senza sosta, e proprio al crepuscolo della mia attività ludica, quando ormai sono un vecchio in pensione, si cominciano davvero a vedere dei giochi che trascendono i nostri sogni più sfrenati di bimbetti.
Anche se certo non mi sognavo esattamente The Last Of Us 2, da bimbetto, con le sue braccia spezzate e le budella strappate e le gole sgozzate e i baci lesbici: ma un gioco che non sembra nemmeno più un videogioco, tanta è la cura con cui sono state affinate le interazioni... ecco, questo sì è un sogno che si avvera, dopo quasi trent'anni di carriera.
Ma chissenefrega di The Last Of Us 2, o di tutti gli altri titoli che ci sono stati sventagliati sotto il naso, sbattuti in faccia, urlati nelle orecchie. Quelli sono solo videogiochi; ne parleremo forse in futuro, ma oggi i miei primi pensieri sono tutti per Hideo Kojima.
Per lui, prima ancora che per il suo gioco. Non ricordo un'altra personalità così carismatica in questo settore, nemmeno all'epoca dei capelloni texani che guidavano Ferrari negli anni '90. Un misto di umiltà e passione sincera, aperta, spoglia di ogni considerazione ruffiana, che in una fiera fatta per vendere è di per sé un piccolo miracolo.
Uno che sembra stupito quando gli chiedono come mai investe tutti i suoi progetti di un'ossessione maniacale (“ho 55 anni, potrei morire domani”). Un intrattenitore a tutto tondo, che a uno o due anni di distanza dalla pubblicazione del gioco ha già cominciato ad ispirarci con immagini enigmatiche e bellissime, a stimolare la nostra curiosità con rispetto e garbo, e che ci esorta apertamente ad ingegnarci alla ricerca di indizi nascosti e a formulare le nostre teorie su cosa sia Death Stranding.
Uno che ama il suo gioco al punto da non volerci rovinare la sorpresa e l'emozione della scoperta, spiattellandoci davanti ogni dettaglio come fanno tutti gli altri, anche se così venderà meno.
E poi c'è il gioco, Death Stranding. Ogni trailer confonde sempre più, ma al tempo stesso si sta delineando con chiarezza una certa personalità e uno stile (anche artistico) che mi ha colpito con una forza che non sperimentavo da anni.
Un tempo collezionavo artwork e arte promozionale di tantissimi giochi, ma da tempo ormai non trovo quasi più nulla di stimolante: fino ad ora. I poster promozionali e gli screenshot in 4K di Death Stranding ha riacceso in me l'ispirazione.
Ho apprezzato la suprema ironia di cominciare il trailer con il primo piano di un culetto, e di mostrarci il gioco come se fosse la simolazione nonviolenta di un fattorino che effettua consegne a piedi da un avamposto all'altro di un territorio desolato che sembra l'Islanda. Sapevamo che il tema del gioco è “ricostruire legami tra le persone”, e che non ci sarà da usare violenza, ma davvero può essere tutto qui? Noioso! Anche questo costerà vendite, soprattutto se davvero non ci verrà mostrato più nulla fino all'uscita a sorpresa del gioco. Ma era troppo divertente per lasciarsi sfuggire l'occasione: ti capisco, Hideo.
E poi ci sono gli attori coinvolti nel gioco. Tizi famosi, registi di culto, Bond-girl francesi che sembrano finte anche nella realtà, Wonder-Woman degli anni '70 ringiovanite grazie al miracolo tecnologico. Una mossa dirompente che proietta all'improvviso, e con violenza, il settore videoludico in una nuova dimensione di rispettabilità. Era un passo logico, doveroso da tempo, ma solo il carisma di Kojima lo ha reso possibile.
La leggenda vuole che Lindsay Wagner, dopo che Kojima cercava da tre ore e mezza di spiegarle il gioco, sia infine scoppiata a piangere per la commozione. Professionisti che credono in un progetto artistico! No Fedez che fa la pubblicità dei telefonini.
Insomma, le sensazioni sono buone.
L'amore vince sempre
Sembra incredibile, ma quest'anno posso quasi dire di averla seguita l'E3, quantomeno i miei social mi hanno portato indietro abbastanza informazioni perché ora ne possa parlare.
Ci sono state cose delle cose che ho trovato interessanti? Ecco, quello direi di si. Ci sono state cose che giocherò, sul breve medio o lungo termine? Quello è molto più probabile di no.
Innanzitutto volevo dedicare due parole a Anthem, perché è il ritorno di Bioware dopo essere uscita dalla spremiagrumi di Mass Effect. Curiosamente, sembra che la strategia di comunicazione questa volta sia mettere l'accento sul gameplay piuttosto che sulla storia e sulla costruzione dei personaggi. Potrebbe sembrare strano perché così l'azienda sembra non scommettere sui punti in cui è più forte, ma il contesto in cui ci troviamo è importante: all'E3 le storie "non arrivano" e comunque il grosso del mercato le storie non le cerca. Abbiamo parlato poche settimane fa di come un personaggio stimolanete come una soldatessa menomata possa essere triturato per presunta incoerenza storica, in generale dobbiamo accettare che la narrazione è ormai un campo minato nel mercato dei videogiochi, o meglio, è un campo minato quando parliamo di triplaA e eventi mondiali. Non è un caso che sia tutto diverso nel sottobosco dell'indie e dello steam-distribuito, dove invece, a volte, si guarda quasi più l'ombelico del proprio simbolismo rispetto a divertire i videogiocatori. Una dicotomia così netta non significa che Bioware ha deciso di puntare su un prodotto senza trama con jetpack saltellanti, ma probabilmente lascerà che la trama arrivi a chi innanzitutto è stato attratto dai jetpack, dalle foreste e della scenario cooperativo. Questo almeno è quello che possiamo sperare. Certo, il fatto che le romance possano essere introdotte in un secondo momento, dicitura che promette tutto e nulla, non è il migliore degli indicatori, ma non è nemmeno corretto pensate che Bioware abbia completamente voltato le spalle al suo passato.
Il bacio di Last of Us II, invece, ha fatto parlare molto di sé, fortunatamente per le ragioni giuste, ovvero per il salto tecnico che rappresenta. Lo rappresenta davvero? Io continuo a dire che nonostante i passi avanti fatti negli anni dalla grafica dei videogiochi sia nei filmati non interattivi sia nella grafica in play, l'espressione dei personaggi è rimasta ancora all'età della pietra e dà sempre l'impressione di trovarsi di fronte a dei manichini che aprono la bocca. Ho provato a guardare un paio di volte questo bacio per vedere se evidentemente mi trasmetteva qualcosa di più però... insomma... niente, se quello che doveva darmi è una fisicità reale non me l'ha data.
Quando Lo-Rez parla di direzioni artistiche che vanno appiattendosi mi chiedo quanto stiamo perdendo di artisticamente valido per andare all'inseguimento del reale. Perché dobbiamo sempre ricordarci, quando parliamo di videogiochi soprattutto, che l'inseguimento del reale è una scelta, non necessariamente la più interessante, ed è una scelta con dei vincoli stringenti. Se vinci, hai sicuramente del potenziale narrativo notevole, perché puoi praticamente manipolare un intero film in funzione del tuo videogioco, se perdi condanni il tuo pubblico a dei manichini. Che poi tra il distacco dalla realtà, la sospensione d'incredulità e il racconto come racconto, anche con i manichini ci si possa emozionare (e non è che, negli anni, Last of Us non abbia emozionato) possiamo essere d'accordo, ma la resa grafica, quell'aspetto solo, è qualcosa che possiamo valutare di per sé.
Lascio l'ultimo appunto per il gioco forse più vicino alla mia forma mentis, ovvero Cyberpunk 2077, che si è rivelato al mondo e ha sicuramente attratto molta attenzione su di sé. Si dice che il gioco voglia riscoprire il cuore del mood cyberpunk della fantascienza classica, quella di Gibson. Personalmente il suo trailer me lo ha fatto sembrare molto di più un GTA con impianti, che poi probabilmente sarà anche la sua destinazione d'uso. In questo senso applaudo alla scelta della prima persona, perché sicuramente questa scongiurerà di trovarsi di fronte a una mod fantascientifica di GTA, appunto, e costringerà gli autori per primi a trovare una nuova identità di gioco.
E' stata un'E3 in cui si sono dette anche molte altre cose, come ormai consuetudine si sono viste soprattutto IP consolidate che gemmano nuovi capitoli, da questo trend credo sarà difficile staccarsi. Forse possiamo riconoscerle un tentativo, rispetto ad altre fiere, di aprire verso mondi stimolanti, che è un po' quello che si chiederebbe in generale ai videogiochi. Di questo, dal mio angolino apatico e privo di reale interesse, gliene rendo merito.
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