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844, 09/12/2017 - Tolstoj
844
09 . 12 . 2017

L'oscurità

È una verità universalmente riconosciuta che, quando due Ingegneri amanti delle tenebre si trovano soli nei sotterranei del data-center, i loro discorsi si fanno profondi e filosofici... forse perfino poetici, se mai la mente di queste fredde macchine ingegneresche ne fosse capace.
Tutto questo buio non si confà a un periodo dell'anno ormai dominato dalle lucine colorate, sempre e comunque. E invece bisogna continuare a parlare di cose molto oscure, perché questa settimana, in occasione dei Game Awards 2017, è uscito un nuovo filmato di Death Stranding.

Mamma mia quanto è oscuro!

La mia ammirazione per Hideo Kojima è senza confini: queste pagine sono qui a testimoniarlo. Però le atmosfere del suo nuovo gioco mi lasciano un po' perplesso, e le atmosfere sono l'unica cosa che si può commentare fino a questo momento. Non mi aspettavo questa decisa virata verso l'orrore cosmico e il surrealismo: Kojima è certamente famoso per riempire i suoi giochi di follie deliranti, ma sa anche dirigere un dramma assai concreto e con i piedi per terra, come nel finale magistrale di Metal Gear Solid 3 (il mio preferito).
Se non altro l'attesa di Death Stranding è ormai chiaramente essa stessa Death Stranding, e già questi trailer annuali ci emozionano come tanti giochi realizzati e finiti non sono riusciti a fare. Tutti gli ossessionati di questo mondo si sono attivati per elaborare le loro teorie complottistiche (incitati da quel vecchio volpone di Kojima stesso, naturalmente), e hanno scoperto indizi suggestivi come il fatto che i vari trailer sono sincronizzati tra loro. Bravi ragazzi, fateci sognare.

Siamo giunti alla fine di questa mia ennesima lettera d'amore a Kojima, santo subito, l'uomo che ho accolto con un'ovazione insieme ad 8000 musi gialli quando è salito di corsa sul palco del Tokyo Game Show con i suoi occhiali JR e gli stivali da cowboy, i nostri corpi fisici separati solo da pochi metri di distanza (le nostre anime sono da sempre vicinissime).
Ma voglio concludere con un tributo al genio del buon Hideo, rispolverando oggi un frammento di dialogo di Metal Gear Solid 2 uscito nel 2001: la prescienza di quel titolo si rivela sconcertante oggi, in quest'epoca di guerre d'opinione, reti sociali su internet e masse influenzabili come non mai.
Il piano dei cattivi (?) di Metal Gear Solid 2, infatti, consiste nell'incitare i popoli a trastullarsi sui social network invece di pensare alle cose serie, indurre la gente a sottoporsi volontariamente a una sorveglianza continua, e influenzare l'opinione pubblica tramite polemiche e notizie costruite ad arte: per questo gioco uscito nel 2001 il mondo finirà non in un'esplosione atomica (il rischio dei precedenti Metal Gear), ma in un chiacchiericcio senza costrutto.
Che gioco stupido.

Lo-Rez: arte, storia, web design
09 . 12 . 2017

It's been a long time

Star Trek: Discovery (prodotto da CBS e distribuito Netflix, differentemente da come scrissi tempo addietro, pardon) è arrivato nelle nostre case e ha concluso il suo primo semi-arco narrativo. Nonostante il canale scelto per farlo arrivare nelle nostre case la sua struttura è rimasta molto anni '90, con una distribuzione settimanale e una pausa cliff-hangerata di metà stagione. Visto che siamo in ristrettezze, naturalmente, non abbiamo avuto 25 episodi, ma qualcosa che dovrebbe essere intorno ai 15. Un bene? Un male? Complicato dirlo. Spoiler? Diciamo di si.

Ho avvicinato Discovery, ovviamente, con sacro orrore, visto che viviamo l'Età Oscura delle serie TV, ma mi sono ricreduto fin da subito, quantomeno rispetto la sensazione generale. Discovery è piuttosto rispettosa dell'impianto generale Trek, rimane legata a molti meccanismi del serial originale e a molte delle sue atmosfere. Il cosiddetto importante shift da capitano a personaggio secondario dell'astronave nella narrazione in realtà non si sente molto, perché comunque tutti gli Star Trek sono stati sostanzialmente delle opere corali. Su questo versante, più che altro, pesa assai di più il ritmo serrato di produzione, che impedisce l'elaborazione di episodi focalizzati su personaggi diversi dai protagonisti e che erano parte integrante del meccanismo Trek. Da una parte, infatti, ti permettevano di tifare per certi personaggi piuttosto che per altri senza che la produzione scegliesse su chi dovessi concentrarti, dall'altra permettevano di sviluppare molto di più i comprimari, facendo sì che poi, a lungo andare, arricchisero anche gli archi narrativi non propri. Comunque sacrificare questo tipo di approccio, considerando il progetto Discovery, è stato necessario quindi non ha senso recriminare niente a riguardo.
Di questa aderenza filologica però non c'è poi tanto da stupirsi. Se Kurtzman è un figlio di J.J. (ma uno dei meglio riusciti, diciamocelo), è vero anche che Fuller appartiene alla scuola originale ed è evidente il suo apporto per tenere la serie in carreggiata.

A discendere da questo primo impatto positivo, sicuramente, ho molto apprezzato la costruzione dei personaggi. Michael offre molti spunti, Saru è un bellissimo alieno, il capitano è forse un personaggio fin troppo complicato per il tempo che gli si riesce a dedicare. L'ingegnere capo riadattato a navigatore della Gilda di Dune è un ottimo espediente narrativo e spiace un po' che il dottore (che è una figura da sempre storicamente importante nell'economia trek) sia sostanzialmente ridotto a suo sidekick. Un po' più forzati i personaggi del compagno di stanza di Michael e del belloccio/romantic-interest/probabile-spunto-di-trama perché scritti un po' troppo per essere funzionali ai loro ruoli per essere credibili.

Tutto bene, quindi? Serie promossa? Completamente riconciliati col brand? Torneremo tutti a metterci le tutine e le orecchie finte alle fiere? Ecco, no... per due importanti ragioni.

Innanzitutto, Discovery sbaglia in modo abbastanza grave tutte le razze non umane presentate, che sono sostanzialmente i Klingon e i Vulcaniani (lasciamo stare Saru che è un unicum e non viene mai preso in quanto razza). Riguardo i Klingon io capisco le maggiori disponibilità tecniche del 2017, ma non c'era assolutamente bisogno di trasformarli nei goblin del Signore degli Anelli e eradicare alla radice tutto il lavoro sulla loro cultura fatto negli ultimi trent'anni. Che i Klingon dell'epoca di Kirk fossero meno filosofeggianti e cultori dell'onore e della disciplina di quanto poi si siano mostrati in TNG e seguenti è probabilmente vero, ma è anche vero che sono sempre stati una commistione di cultura barbara e militare convinta, lontana dalla nostra concezione di società, ma non in quanto versione "peggiore" di noi, ma in quanto qualcosa di "diverso" da noi. I Klingon di Discovery, invece, a parte un blando culto di Kahless (su cui potremmo parlare ore, eh) e una certa ottusa difesa della propria cultura simile a quella di Salvini su Facebook, non sembrano credere in nulla, mancano di quella ritualità e di quella liturgia che non è solo parte integrante della continuity, ma è anche un importante elemento per renderli interessanti allo spettatore, elevandoli dal ruolo di villain che è più forte ma tanto verso il finale esplode.
Stessa cosa per i vulcaniani. Li vediamo meno, ma in generale danno più l'impressione di essere presuntuosi che privi di emozioni. A parte un Sarek fin troppo empatico, anche il generale della flotta fa un po' troppe faccine per essere completamente seguace della logica. Nuovamente non sembra di vedere una costruzione di razza dietro le azioni dei personaggi, sembra di vedere degli umani un po' più antipatici e truccati differentemente.
Tutto questo discorso, lo so, può apparire come un'acida e presuntuosa sparata da vecchio trekker. In parte lo è. Ma solo perché, se devo parlare delle cose che mi hanno fatto amare Star Trek, di certo c'è anche la forte caratterizzazione culturale dei suoi vari personaggi. Se questa mi viene portata via in cambio di un (discutibile) boost del trucco permettetemi di considerare la cosa piuttosto sgradevole.

Ancora più grave di questo, però, c'è per tutta Discovery una tale sciatteria nella scrittura delle storie da essere irritante (per quanto vero marchio di questa Età Oscura). Nel Pilot il capitano-che-deve-morire, visto che non ha trovato ancora modo di crepare a dieci minuti dalla fine, si lancia stupidamente verso il suicidio. Un paio di episodi dopo, il capo-della-sicurezza-che-tanto-non-abbiamo-approfondito ha una crisi isterica molto simile e si fa ammazzare per rimarcare la drammaticità del momento. Mudd, protagonista di un episodio di loop molto ben fatto, per qualche ragione virato dal bonario trafficone galattico a spietato mastermind del furto, vede il suo arco narrativo chiudersi con una scena alla Casa Vianello, solo per riconsegnarlo all'immaginario originale. Tutto questo per arrivare a un finale dove c'è mezzo episodio di possessione aliena classico che però è lasciato lì a metà perché si aveva altro da fare, seguito da un forzatissimo duello col cattivo-che-deve-morire-tanto-è-secondario che anche se viene risolto correttamente nei criteri Trek (technobubble, single-point-of-failure e stupidi duelli, come di consueto) in realtà non lascia granché perché un po' tutti i personaggi sono arrivati a quel punto un po' per caso. E, di nuovo, un minuto prima della fine, visto che ci siamo dimenticati il cliffhanger, ultima stupidata per avere la premessa della seconda parte di stagione.
Il problema di cattiva scrittura non riguarda tanto se quello che vediamo su schermo è divertente o non è divertente. Ci sono cose noiosissime scritte bene, cose divertentissime scritte male. Il problema è che di fronte a uno Star Trek, che dovrebbe ancora essere fantascienza di livello impegnato e che dovrebbe rappresentare l'epica della Space Opera così come la letteratura l'ha amorevolmente coltivata per anni, non riesco proprio a spegnere la mia sensibilità per il racconto, anche perché così, in realtà, non rimane che un simpatico gioco di riferimenti malfatti e delle scene action ridicole (perché sono ridicole da sempre in Star Trek le scene action). Posso anche accettare poco impegno nella costruzione delle storie, ma quando vedo dei veri e propri espedienti messi lì in mezzo al solo scopo di ammiccare e spingere avanti le cose nella direzione che probabilmente piace al pubblico, piuttosto che una sincera voglia di raccontare qualcosa non posso che irritarmi.

La conclusione è che Star Trek: Discovery raggiunge la soglia del guardabile. Per considerarla una serie Trek tour-court serviverebbe forse un po' più concessioni alla continuity di quante posso permettermi, ma in ogni caso non è così agghiacciante vedere quel marchio su questo prodotto. Però, rispetto a quello che, come trekker, vorremmo dalla TV, si poteva fare enormemente di più. Perché, in fin dei conti, siamo stati abituati troppo bene.

“Your world has food chains. Mine does not. Our species map is binary. We are either predator or prey. My people were hunted. Bred. Farmed. We are your livestock of old. We were biologically determined for one purpose and one purpose alone: to sense the coming of death. I sense it coming now.”

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