Non fare la sottona
Siamo nel pieno del dolcissimo autunno, quando la temperatura ambiente è così perfettamente calibrata da rendere superfluo e anzi fastidioso il climatizzatore in auto.
Si tratta di una finestra climatica magica, più o meno ampia a seconda di dove vivete, che ci ricorda che tutto sommato l'animale umano si è evoluto su questo pianeta, nonostante la Natura si mostri spesso ostile. La luce pastosa e ambrata del sole pomeridiano non sembra però aver addolcito Bob e Direttore, che nella strip odierna battibeccano come al solito, come in una sit-com a tema Lavoratori del Settore dell'Informazione.
La settimana videoludica è stata rapita in un turbine di colori acrilici su fogli trasparenti: è uscito Cuphead, un giochino platform/sparatutto difficile da cani.
Noto con sorpresa che molte riviste popolari del settore sembrano aver aperto gli occhi e cominciato a notare che esiste, nei videogiochi, un aspetto artistico che esula dalla risoluzione, dalla qualità dell'anti-aliasing, dal framerate. Bravi! E dunque i cani e i porci del nostro settore cominciano a notare che un giochino come Cuphead ha qualcosa di speciale, un non-so-che che lo distingue dalle masse: nella fattispecie, una grafica disegnata a mano (?) che ricostruisce con cura meticolosa lo stile dei primi cartoni animati degli anni '30.
Ricordo che qualcosa del genere era l'ideale ultimo di tutti i platform dell'era a 16 bit, un sogno allora quasi inconcepibile. Quanto sono vecchio.
L'altro aspetto che colpisce di Cuphead è appunto la difficoltà estrema. Io non l'ho ancora giocato, ma ormai sono piuttosto diffidente dell'opinione pubblica in fatto di difficoltà... Prendiamo Hyper Light Drifter: tutti a stracciarsi le vesti e frignare, ma dopo un primo impatto devastante tutto sommato l'ho trovato impegnativo e severo ma giusto. Con Hollow Knight stessa storia.
E badate bene che non mi considero (più) un Vero Videogiocatore Hardcore! Certo ho l'esperienza della vecchiaia, ma ormai sono un pensionato del joypad, e preferisco sempre impostare il livello di difficoltà più basso perché non ho tempo di consumarmi le dita per 120 ore sullo stesso gioco.
Tutta colpa dei giovinastri di oggi col risvoltino ai pantaloni, questi sottoni resi molli dalla visione passiva dei loro youtuber preferiti... Ma prendete in mano quella levetta e andate ad arare i campi, come si faceva ai miei tempi!
Lo-Rez: arte, storia, web designHai da accendere?
Questo non sarà un editoriale su Twin Peaks! Ma ha un titolo che confonderà gli avvelenati di Twin Peaks. Perché si, perchè siamo tutti troll, messi nella posizione giusta. Comunque, in sintesi, eccoci al receditoriale di ACCA - L'ispettorato delle 13 Province
Quello che mi ha attirato in ACCA è il fatto che, a colpo d'occhio, non sono riuscito a classificarlo. Non ci sono robottoni, non ci sono maghette, non ci sono vampiri. Se anche vogliamo credere che faccia parte del calderone dello slice of life considerate che non ci sono licei, non ci sono amorazzi e rossori e non c'è timidezza diffusa.
ACCA è una storia strettamente politica, rimescolata con del mystery e dello spy, in un mondo inesistente che ha qualcosa a che fare col nostro, in modi sottili e intelligenti.
Il regno di Dowa è infatti strutturato in maniera bizzarra. Ha un re, come tutti i regni, ma questi, per evitare guerre civili e divisioni, ha deciso di concedere alle 13 province che compongono il suo regno completa autonomia, lasciando che queste prendano la decisione che meglio credano. Gli unici punti di coesione sono la Dieta, la riunione in cui tutti i rappresentanti delle province si ritrovano per decidere l'andamento del regno nella sua globalità e la ACCA, un'istituzione indipendente dal regno e che svolge, in ogni provincia, compiti propri della tutela del vivere civile come quelli di polizia e pompieri, ma anche qui sottostando al modo d'essere delle province stesse. Unica eccezione, l'ispettorato, ente centralizzato che controlla le varie sezioni dell'ACCA sparse per il paese, ufficio dove lavora il nostro protagonista, Jean, costretto dal suo ruolo a viaggiare molto.
Sotto questa struttura complessa e allo stesso tempo semplice, utopica e nel contempo distopica, si agita un complotto, la pianificazione di un terribile golpe e la lotta di potere per il dominio del regno di Dowa.
ACCA, posto in questi termini, si configura come un anime che non vive sull'azione, pochissima lungo tutta la serie, ma che si fa forte di molti personaggi ben caratterizzati e affascinanti (Otis in primis) nonché dell'esposizione del mondo bizzarro che cerca di dipingere. La serie afferma con forza le profonde differenze tra le province e, con un espediente molto giapponese, le esemplifica sistematicamente tramite il cibo (e ancor più specificatamente col pane) dimostrando come luoghi differenti mangino (e quindi vivano) in modo differente. Il continuo rimarcare le differenze, però, è paraddosalmente utile a raccontare la grande necessità di collaborazione tra persone e il fatto che spesso la gente comune, il cosiddetto popolo, è in realtà poco interessato alle logiche delle lotte di potere, impegnato a vivere come meglio crede.
Inizialmente ho considerato il regno di Dowa uno specchio del Giappone, visto che già in altre opere ho visto rimarcata e sottolineata la differenza tra le diverse prefetture, ma, andando avanti nella visione, mi sono convinto che si tratti di un'allegoria del mondo intero e di come questo possa vivere in equilibrio, nonostante viva costantemente sotto la minaccia che qualcosa finisca con l'inasprire i rapporti tra le varie culture.
Considerate ACCA l'intreccio di tutti questi messaggi, ma aggiungeteci anche le visioni personali di Otis e di sua sorella, quelle del suo migliore amico e altri interessanti ritratti. Tutto questo, impastato, fornisce una pagnotta fragrante e saporita, che è un piacere addentare fino all'ultimo, anche perché il finale, non clamoroso, ma non errato, chiude in maniera corretta e elegante il disegno generale.
ACCA è, insomma, un anime molto, molto consigliato, anche se non saprei dirvi cosa sarebbe dovuto piacervi prima per guardarlo, perché non vedo niente a cui possa fare riferimento. Vedetevelo così, senza rete, probabilmente non ve ne pentirete.
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