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serie
756, 05/03/2016 - Proxami un caffe'
756
05 . 03 . 2016

Un amore incontenibile

Quello di “proxy” è un concetto complesso dalle molte sfaccettature, capace di incutere un sacro terrore perfino agli Ingegneri delle Tenebre: usarlo con noncuranza su individui ignari potrebbe annichilire le loro menti deboli e primitive.

Scagliato una volta ancora dalla mano del destino in un punto a caso del globo terracqueo, giungo a voi ora piuttosto disorientato.
Per fortuna ci sono un paio di certezze a guidare il nostro cammino: una è il video di presentazione di Uncharted 4: Fine di un Ladro. Si tratta di una produzione solida come la roccia, curata con una professionalità che non ha rivali in altri settori dell'intrattenimento (come il cinema, che ultimamente sta andando un po' ai porci).
Davvero è un filmato che eleva lo spirito, sebbene a me tendenzialmente non importi un bel nulla di questo genere di giochi... ma come si fa a resistere a questa esecuzione magistrale, alle ambientazioni esotiche, al dramma familiare? Il solo pensiero di un reboot/remake cinematografico di Indiana Jones, fatto oggi, ci fa rabbrividire di raccapriccio, mentre questo gioco riesce ad arrivare dritto al nostro cuore.

L'altra certezza è un titolo che, quello sì, dovrebbe essere sulla mia lunghezza d'onda: un RPG strategico a turni in 2D giapponese? Nel 2016? Sogno o son desto?
Eppure la serie di Fire Emblem per Nintendo 3DS mi ha sempre lasciato freddo. Non ho nulla contro questi giochi, ci mancherebbe, e so che sono tra i migliori in assoluto per la console piccina che anch'io, incredibilmente, posseggo. Ma forse non ho più le forze mentali per affrontare titoli così impegnativi.
Eppure non posso che provare il massimo rispetto per Fire Emblem: Fates, che oltretutto è stato accompagnato dalle polemiche sulla censura che da sempre per tradizione circondano questi titoli nipponici: è stato bellissimo leggere delle controversie su fanciulle che bevono pozioni per diventare maschi, o su meccanismi di gioco che prevedono di strofinare col ditino i ritratti dei personaggi sullo schermo per suscitare in loro varie reazioni perverse. Quanta nostalgia!
E poi come si fa a non ammirare l'amore sconfinato, incontenibile di questo titolo che addirittura trabocca dai confini di un singolo gioco e si moltiplica in due, e presto saranno tre, giochi diversi? Tre edizioni differenti per protagonisti e trama, che raccontano la stessa storia da punti di vista diversi. Non possiamo restare insensibili al cospetto di tanta abbondanza.

Lo-Rez: arte, storia, web design
05 . 03 . 2016

Shakespeare in Japan

Di questi tempi non c'è niente di meglio del receditoriale anime di Zetsuen no Tempest

Trama: la sorella minore di Mahiro, Aika, è morta, lui non se n'è fatto esattamente una ragione, perché lei non era proprio sua sorella, era un po' stronza e citava continuamente Shakespeare. E, insomma, Mahiro ne era decisamente invaghito, anche se lei si divertiva a trattarlo da fratello e lo teneva a distanza.
Sia come sia la sua morte ha convinto Mahiro a vagare per il mondo, senza esattamente uno scopo, finché un giorno non inciampa in una bambolina di legno che lo mette in contatto con la principessa Hakaze, la più grande strega del clan dei Kusaribe, che è stata confinata su un'isola deserta per permettere al resto del clan di compiere un blasfemo rituale che (forse) porterà alla fine del mondo. Mahiro e Hakaze stringono un patto: Mahiro aiuterà la maga a fermare i Kusaribe, lei aiuterà Mahiro a scoprire l'assassino di Aika.
A questo punto Mahiro ha uno scopo ben preciso e, un po' per destino un po' perché se no non facevano l'anime, intreccia nuovamente il suo destino con quello di Yoshino, il suo migliore amico, il quale è una persona molto compassata non fosse che, di nascosto da Mahiro, era il fidanzato di Aika.

Spero che l'esposizione della trama sia risultata abbastanza pedante da farvi capire che ci troviamo di fronte a un urban fantasy con forte componente shojo. Un anime che ovviamente galoppa verso la fine del mondo ma spesso se ne disinteressa per correre dietro ad amorazzi adolescenziali.

Sarà il mio vecchio cuore, sarà che sono tutti più ingannevoli e ruffiani, sarà il momento, ma devo dire che, all'inizio, questo Zetsuen no Tempest mi aveva preso un bel po'. Non è tanto la trama a renderlo meritevole, quanto il triangolo dei tre protagonisti, dettagliati molto bene, a un livello superiore a quanto usualmente accade negli anime. Mahiro è il tipico bad boy con l'orecchino, strafottente e un po' teppista, Yoshino, di contro, è il bravo studente che si laureerà col massimo dei voti. I due personaggi femminili, Hakaze e Aika, sono invece entrambi molto forti, ognuno a suo modo, nessuna delle due disposta a essere trattata come semplice oggetto delle attenzioni dei personaggi maschili.
Sotto questo impianto, la trama si svolge in maniera abbastanza consueta e senza troppe scosse (città distrutte, ninja fighi, governativi che bombardano e tette), ma verso il finale di midseason, diciamo, si IMPANTANA letteralmente in un lungo arco rappresentato da nient'altro che uno scontro dialettico tra i personaggi protagonisti e quello che al momento risulta il cattivo, Samon, colui che ha preso il controllo dei Kusaribe. Desisamente in questa fase l'anime dà il peggio di sé, trasformandosi in una specie di gioco retorico in cui, oltretutto, il villain si comporta da macchietta e i ragionamenti si attorcigliano su sé stessi fino a far perdere interesse allo spettatore.
Scollinato da questo momento di empasse, tutti gli aspetti magici e avventurosi della storia sbiadiscono, trasformando tutto in uno shojo di scarsa consistenza che si trascina verso un prevedibile finale.

Abbastanza facile dichiarare ora che questo Zetsuen no Tempest non mi rimarrà esattamente nel cuore, per quanto i protagonisti si sforzino di essere interessanti quello che gli accade, a lungo andare, non lo è. Se potessimo parlare di uno shojo-shojo, a parte che non sono esattamente patito del genere, probabilmente avremmo potuto approfondire certe schermaglie e dargli consistenza, ma comunque sia la parte amorosa deve convivere con una parte magica dal fiato corto e i due contesti si danneggiano a vicenda.
Tecnicamente, invece, parliamo di un prodotto buono, pulito, senza grandi slanci immaginifici o grafici. Le sigle tutte, invece, sono del pop commercialissimo decisamente dimenticabile.

“E poi nell'anima e nella coscienza, il filosofo non era molto sicuro di essere perdutamente innamorato della zingara. Egli amava quasi altrettanto la capra.” - Victor Hugo, Notre-Dame de Paris

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