Strip
serie
539, 12/11/2011 - Otakiller, tav. 11:
539
12 . 11 . 2011

Realismo

Sto esaurendo le frasi gagliarde da dire per introdurre le strip di questa serie, Kunoichi Clara. Per fortuna che la settimana prossima si concluderà questo capitolo.
Dopo, probabilmente torneremo alla programmazione regolare dell'altra serie che va per la maggiore qui su FTR ormai da cinque o sei anni, ovvero Jobs... ammetto che mantenere una Continuità narrativa da una settimana all'altra comincia ad essere snervante, sebbene questa roba la scriva Cymon, non io, e queste tavole siano state disegnate com ampio anticipo. A proposito di continuità, chi di voi non c'era nel 2007 farà meglio a rileggersi queste strip per sapere chi è quel tizio sfigatissimo. Ma soffermiamoci un momento sulla strip di oggi.
Potrei dirvi, mentendo, che esaurire in una sola tavola il combattimento tra l'eroina e la sua antagonista, il climax della storia, un culmine che arriva ora dopo quattro anni di attesa... insomma, è stata una scelta voluta, pianificata e giustificata. Ma non è vero. Come dicevo appunto la settimana scorsa, le belle storie di kung fu spettacolo che abbiamo nella testa, quando poi si concretizzano nelle illustrazioni che vedete su questo sito, diventano pallidi fantasmi dell'idea originale, perché le mie capacità artistiche scarseggiano.
Oh, sicuramente sono più bravo della maggioranza di voi, amati lettori, ma almeno la maggioranza di voi non ha la pretesa di pubblicare un fumetto online.
Fatto sta che i combattimenti in Kunoichi Clara si son fatti via via più brevi: dal primo capitolo (del 2003) ad oggi è evidente il calo di impegno del disegnatore, cioè io. Mi piacerebbe giustificarmi dicendo che l'ultimo combattimento è essenziale come una massima zen, è realistico perché nella realtà un paio di spadate sono più che sufficienti a concludere uno scontro... avrei anche le statistiche sui combattimenti storici tra samurai a supportarmi. Ma la verità è che, potendo, vi avrei dato sedici tavole a colori strapiene di coreografie eccitanti.
Immaginatele.

In questi ultimi giorni sono usciti alcuni tra i titoli di più sicuro successo di quest'anno videoludico, e uno di essi si conferma come il prodotto di intrattenimento capace di generare i maggiori incassi al mondo. Non ci interessano molto quei giochi, in questi editoriali. Però ci possono interessare quelli che ne parlano, dei suddetti titoli. La volta scorsa ho citato l'episodio clamoroso di Eurogamer, il sito che ha osato dare voto 8 a Uncharted 3, scatenando l'ira del mondo intero (o così parrebbe), e che poi è stato costretto a rettificare.
Oggi vorrei proporre un altro articolo su Uncharted 3, ancora più bello e vero di quello apparso su Eurogamer: quello di Kill Screen. Saggiamente, gli autori di Kill Screen non danno voti numerici nelle loro recensioni, e dunque le masse del popolo bue non le leggono, e gli editori di videogiochi se ne fregano. Il che è un bene, perché non oso pensare all'ira che avrebbero scatenato su quel sito, che ha avuto l'impertinenza di scrivere nero su bianco i problemi fondamentali di Uncharted 3.
Già che ci siamo vi invito a leggere anche la loro recensione di Rage, anche questa scritta in maniera veramente notevole, talmente bene da darmi un po' di speranza sullo stato del giornalismo videoludico. Questa è davvero critica di alto livello, perlomeno se paragonata alla massa di porcate prodotta quotidianamente da quasi tutte le altre “testate giornalistiche”.
Anche stavolta non è rimasto spazio per trattare di quei giochini pervertiti provenienti dall'Oriente che ho preannunciato un paio di settimane fa. Portate pazienza.

Lo-Rez: arte, storia, web design
12 . 11 . 2011

Gamesweek reportage

Questo sarà un'editoriale lungo perché si tratterà di un vero articolo di giornalismo videoludico. Una di quelle robe che di solito paginano anche i siti internet. Invece io, nel rispetto della più scarsa usabilità, ve lo propinerò nel consueto colonnone, senza foto (troppo ovvie le foto), ma con impressioni vere su fatti veri. Un eventone come si deve.

Quando ero piccolo c'era l'Abacus. E dico che ero così piccolo che venivo accompagnato alle fiere da mio padre. L'Abacus era una fiera dei videogiochi in un'epoca in cui, in Italia, si sapeva a stento cosa fosse un videogioco. Era una fiera piccola, molto naif, che finiva col sembrare quasi una fiera mercato. Era fortemente orientata al PC, se non ricordo male, ma non dava soddisfazione. Non era un baraccone luccicante. Anche perché i baracconi lucchicanti, ai tempi, erano due o tre al mondo e cadevano come ricorrenze religiose, rispettate e attese con devozione.
L'Abacus non aveva successo nemmeno nei periodi d'oro della SMAU, quindi morì. Bel tentativo, grazie dell'impegno, ma arrivederci. Da allora, decenni di buio. Provincia lontana dell'Impero a noi arrivava solo luce riflessa milioni di volte. Invece quest'anno ci hanno fatto il Gamesweek.

La prima impressione è negativissima, ma non è colpa del Gamesweek. Chiunque sia di Mediolanum o intorno le mura, sa perfettamente che l'area fiera ufficiale è stata spostata leggermente fuori dal centro (nonché dietro casa mia), lasciando nella vecchia zona solo alcune manifestazioni minori. Io non andavo in fiera dai tempi antichi. In quei tempi antichi uscivi dalla metropolitana in mezzo a fiumi di folla, con volantini e gadget che traboccavano giù fino alle scale e nei tornelli. Non dovevi chiederti dove fosse la fiera. Ne venivi trascinato dentro se ti abbandonavi alla corrente.
Al mio approdo giù dalla metro trovo la stazione vuota. Uno sparuto gruppo di ragazzotti, individuo, fa la mia stessa strada, ma per il resto deserto. Il problema, però, è principalmente logistico. La zona di fiera ancora attiva, dove è allestito il Gamesweek, non è più a portata di fermata, probabile che la gente abbia deciso altre vie per raggiungerlo. Eppure formulo questo pensiero solo a posteriori, la mancanza di giovini nerd con cui sgomitare su per le scale mi manca moltissimo.
A Milano piove di brutto. Niente di cui ci si possa preoccupare. Non è mai l'acqua a poter fermare la marcia nerd. I ragazzotti del paragrafo sopra si fermano a prendere la navetta, io li schifo e tiro dritto. Ai miei tempi le navette non esistevano, ai miei tempi si camminava. L'avvicinamento a piedi mi offre i primi frammenti di videoludo: gigantografie di Assassin's Creed a rivaleggiare con quelle di Emporio Armani. Supero un serioso meeting HP e poi manco clamorosamente l'ingresso. Il Gamesweek si presenta bello dentro. Niente gonfaloni all'esterno, niente striscioni o parate. Solo un omino che ti conferma che la via è giusta.
Continua a mancare l'impressione dell'Evento, quell'impressione delle SMAU del passato. Era possibile fare di più? In questo caso credo proprio di si. Era necessario? Probabilmente no, quindi questo non deve preoccupare granché per il proseguo.
Il Gioco più Aggressivo della Fiera ti azzanna alla gola appena cerchi di fare il biglietto. World of Tanks è un piccolo progetto tutto online tutto gratis come ce ne sono in giro tanti. E' misconosciuto, ma senza vergogna. Il suo primo cartellone ENORME si piazza direttamente all'ingresso, un secondo striscione da grande occasioni in biglietteria. Il suo stand giganteggia appena si avvistano gli stand. E' oltretutto un progetto curioso, una specie di Battlezone, mezzo RTS mezzo sparatutto, con ambientazione realistica. Non si è inserito nel sistema tornei del Gamesweek, ma ha un torneo free che ovviamente si riduce a due partitelle ai suoi tavoli per il recupero di qualche squallido gadget. E' giusto che World of Tanks si comporti così. Non ha bisogno di aver vergogna di voler rastrellare gente. Ma da qui in poi non ne parleremo più.
Se l'ottimismo vi pervade, se in fondo non siete mai stati granché in giro per il mondo, se per voi l'importante è divertirsi e se non avevate aspettative mostruose non venite delusi: guardato con un occhio chiuso e l'altro a filo di balaustra il Gamesweek sembra un ECTS. Ci sono i maxischermi, i baracconi colorati, il rumore. La struttura del padiglione ti ci fa piombare sopra dall'alto, così da farti apprezzare l'imponenza di certe strutture in plasticone. E' una fiera di videogiochi, l'impressione è inconfondibile. Questo, in fondo, è già un successo.
Gli amici del PEGI hanno un banchettino nella zona franca prima dell'ingresso nella rissa, dove hanno avuto il buon gusto di piazzare pure delle ragazze carine. Distribuiscono palloncini per i bimbi. Hanno anche contrassegnato sul catalogo degli espositori il PEGI rating dei vari prodotti. Ovviamente non se li è filati nessuno per gran parte del tempo.
Una fiera è fatta per provare videogiochi? Probabilmente si. Ma con che coraggio li provo io che non ho mai preso in mano un joypad o un qualsiasi altro assurdo controller messo a disposizione dall'era moderna? Meglio non farsi domande così ontologiche.
Quasi subito veniamo catturati dal lager della PSVita. Per paura che qualcuno riesca a portarsi via la console (o le standiste) la SONY ha organizzato un vero e proprio recinto asettico controllato da giunoniche infermiere. Dopo aver preso i tuoi dati personali per compiere ferale spam, le inservienti ti assegnano un puff e una console. Mi sono trovato a smanettarmi un po' Uncharted. Purtroppo non ho avuto opportunità di usare tutti i controller a struscio moderni e fighi del nuovo gioiello Sony. La PSVita mi ha sempre lasciato perplesso, provarla non ha cambiato di una virgola il mio atteggiamento. E' una grossa PSP con grafica migliore e, forse, un controller pieno di potenzialità che non verranno mai sfruttate. Da tenere è comunque grossissima e non molto comoda e il fatto che mostri grafica figa ormai non mi impressiona.
Intravedere lo stand Capcom e i suoi violentissimi Asura's Wrath, Resident Evil e Saint Row ci porta a scoprire come funziona la censura alla fiera: tutti i giochi PEGI18 sono confinati in sgabbiotti che limitano la visuale e l'ossigeno, ma dove in pratica entrano comunque cani e porci.
Le fiere dei videogiochi sono belle perché sono fiere di paese. C'è il matto del villaggio e il mangiafuoco. Senza un vero e proprio movimento cosplay come alle fiere di fumetti, l'esposizione pullulava di tizi prezzolati vestiti di tutto punto come personaggi di videogiochi. Una splendida Asari stazionava sotto il colonnone che, a getto continuo, trasmetteva trailer di Mass Effect 3. Ma sono da tenere in considerazione anche una notevole fanciulla bodypaintend in foggia settecentesca per Assassin's Creed (ok, assieme a un bel tamarrezio), una magra ma ginnica militaretta di Battlefield e una Lara Croft che scontava una quindicina di centimetri meno dell'originale, ma una misura di seno in più. Ma (forse) sto divagando (e poi c'era anche una quantità di camuffati maschi, di cui non daremo dettaglio).
L'area Nintendo faceva di tutto per sembrare mondo a sé. Un gradino ti portava in un'area aperta con mattoncini di vero mattone marieschi, spade di Link conficcate e tenerosità. La principessa Zelda (altra vera gnocca) dominava la scena, ma ammetto di essere stato più impressionato dalle standiste. Niente poltroncine in zona Nintendo, il Wii si gioca in piedi. La fiera non ha mostrato tracce della next gen di console Nintendo, ma era ovviamente orientata alla promozione del nuovo Zelda (la fanciulla compie anche 25 anni). Lo ho provato, con grande diletto delle standiste che mi hanno rapidamente bollato come incapace (ma, non temete, vi ho amate uguale). C'è sempre qualcosa in Zelda, comunque. Ormai i limiti grafici del Wii sono evidenti, marcati alla fiera anche da ciò che vi era intorno, ma il mago fighetto del tutorial di combattimento, che avanza fregandosene di tutto e tutti e ti blocca la spada con due dita, aveva una certa carica di carisma. Niente male se si considera che, appunto, era una squallida scenetta di addestramento.
Rockstar si è presentata con informazioni supersegrete su Max Payne 3. Capra come sono ho scoperto solo alla fiera dell'esistenza del videogioco. Comunque in un bunker supersegreto è stato mostrato, si dice, un filmato di gameplay. Ma per quello che mi ha riguardato c'era troppa fila e così siamo sopravvissuti senza. Provvederà San Youtube, se lo riterremo meritevole, in futuro.
Arkham City non ha proprio bisogno di pubblicità, rapidamente assurto a gioco bello bello in modo assurdo ormai da mesi. Ma la giocosità dello stand va sottolineata. Strutture con loghi Warner in plasticone, praticamente tutti i personaggi principali interpretati da attori e i poster migliori della fiera. Peccato per lo sfondo bianco che li rende difficili da usare sui muri, ma a parte quello parliamo assolutamente di opere degne di essere appese.
Sono stato convito a farmi la fila per Call of Duty, ospitato in un altro stand buio e supersegreto dove giocatori in preghiera sparavano assorti a ribelli. Credo che gli FPS su console siano la dimostrazione più crudele dei miei limiti col joypad. E lo dico con orgoglio, perché gli FPS si giocano con mouse e tastiera. COD proponeva una struttura a survivor in cui sopravvivere a ondate di nemici. Incapace di muovermi e mirare assieme le ho prese da dei bambini con la fionda. Ma in fondo è stato bello esserci. Non voglio esprimere giudizio sul gioco. Ormai mi sembra che questa saga come quella di Battlefield ormai escano per inerzia e piacciano a tutti perché esistono. Non hanno bisogno di raccontare realmente niente, gli basta mantenere alti gli standard tecnici. Quindi non sarà il mio commento da profano a essere utile. Però il poster col TIME ha classe...
Mentre ero in coda per COD, accanto a noi, lo stand Ankama irradiava merchandisign e altra roba legata a Wakfu. Brava Ankama, Wakfu si vince un editoriale intero settimana prossima.
Non sono proprio riuscito a evitare lo stand di Skylanders. E' roba per bambini. Ci sono dei pupazzini di plastica che vengono piazzati su una piattaforma e appaiono magicamente su schermo. Tu li guidi in un adveture sparatutto cuccioloso come Spyro. Da videogiocatore adulto non ne ho subito il fascino, ma ne ammiro la malvagità e il modo di manipolare i più piccini.
Le creature più meschine e crudeli della fiera, invece, erano indubbiamente gli amici di Mediaworld. I vigliacchi infami hanno impiantato in mezzo alla fiera un fottuto negozio completo in cui vendevano la roba a prezzi stracciati (o presunti tali). E' stata la prima volta in vita mia che mi sono pentito di non avere una console. Così, per avere una scusa per comprare qualcosa.
Il kinect sia sempre benedetto per aver riempito la fiera, assieme al Playstation Move, di ragazze ballanti impegnate con Danzoqui Danzolà, Saltelliamoinsieme, Sgallinat Party e altri giochi del genere. Nessun videogiocatore che tenga al suo amor proprio comprerà mai niente del genere, ma lì in fiera erano necessari.
Io però ho provato Kinect Sports, il baseball. Sensazioni interessanti, soprattutto quando alzi la mano e ci vedi dentro la pallina. La tecnologia è imperfetta, ma potenzialmente molto divertente. Accanto a quello c'era anche il solito gioco con JEDI, dove forse le imprecisioni ancora congenite al genere pesavano di più. Lì però non mi ci sono messo in prima persona.
La fiera ha anche goduto di uno stupendo momento picchiaduro che avrebbe fatto sciogliere in lacrime Lo-Rez. In un angolo, ignorato dai più, stava un King of Fighters XIII con attaccati due controller come si deve. E' stato onorato con una dignitosa partita.
La stanchezza comincia a prendermi. Ci sarebbero altre cose da dire. I FIFA, i PES, i Forza Motorsport, il treddì. Il remake di Monkey Island per XBOX, Catherine (e le sue ragazze in carne e ossa), XBOX.it a cui ho dato un like in cambio di un poster di Halo e due spillette. Skyrim, che ha mancato praticamente la fiera con un trailer a giro continuo in un angolo e niente più eccetera eccetera. Ma forse è bene usare le mie ultime energie per tirare le somme.
E' stata una bella fiera. Non un Evento perché non avrebbe potuto esserlo. Perché siamo in Italia e perché è la prima volta che veniva fatta. Ma è stato divertente. Ormai non si chiede che una fiera sia strumento di giornalismo. L'informazione reperibile a una fiera, anche a una fiera importante, è un decimo rispetto a quella presente su internet. Una fiera serve a celebrare, a farti stare bene con i videogiochi, a divertirti, ad arricchire il media di un po' di pepe. Serve a farti trovare una scusa per andare a giocare dei videogiochi in un posto diverso da camera tua. In tutto questo Gamesweek è stata un successo.
La speranza è che lo sia stato anche per tutti gli altri parametri utili a giudicarla, che si ripeta l'anno prossimo e che piano piano l'industry italiana non ne possa fare più a meno. E' ovvio che l'AESVI che ci ha messo la faccia andrà in perdita probabilmente sempre al rendiconto, ma il guadagno impalpabile e decisivo che ne trarremo tutti, l'impercettibile modificazione dello zeitgeist verso onde a noi favorevoli che finirà con l'esserci, è qualcosa di cui abbiamo mortalmente bisogno.

“You try to feel it but you can't wake up / You try to touch it but you can't wake up / You're holding ice and you don't wake up / increase the size and you don't wake up / I do it backwards but I don't wake up / try to reverse but I don't wake up / I sit astride but I still don't wake up”

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