Strip
serie
483, 09/10/2010 - Motoscafo
483
09 . 10 . 2010

Innesto

Mai sottovalutare le Richieste del Cliente. Neo lo impara a sue spese nella strip di oggi: non si può porre un limite alle Richieste del Cliente, le Richieste del Cliente sono l'ostacolo maggiore che si frappone fra gli Ingegneri delle Tenebre e la Conquista del Mondo™.

Giunge il momento in cui un uomo di spettacolo non può più sfuggire al personaggio che si è creato. Noialtri autori di FTR siamo forse l'esatto contrario di ciò che normalmente si intende per “uomo di spettacolo”, ma in questi 9 anni ci siamo ritagliati anche noi dei ruoli di cui ora siamo prigionieri.
Insomma, c'è bisogno di parlare di Inception. Non posso concepire un universo in cui, quando mi metto davanti al monitor a scrivere questo editoriale, non parlo di Inception. Eppure non ne ho molta voglia, anche se in teoria dovrei. Inception è un film fatto su misura per noialtri... noi poveri ossessionati, orfani di Matrix, videogiocatori da una vita, esposti da anni a un futuro quotidiano molto più interessante di tanta fantascienza.
Mi ha esaltato meno di quanto speravo; le mie aspettative su questo film, d'altronde, sconfinavano nei sogni. Non sarà un maestro di stile come fu Matrix al principio del millennio: i tizi in questione si sanno vestire, d'accordo, e un bel completo spesso è sufficiente a trasformare una sparatoria in una sparatoria epica, ma il soprabito di Neo ai suoi tempi ha inaugurato una nuova era. Non che Inception abbia molto in comune con Matrix: continuo a paragonarli solo perché mi viene spontaneo paragonare qualunque film del genere a Matrix.
Se Matrix era tutta apparenza, un citare la filosofia per sentito dire, perché suonava figo sul momento, Inception è solo sostanza senza compromessi. L'ambientazione è potenzialmente enorme, è abbastanza ricca e vasta da ospitare innumerevoli storie (e probabilmente arriveranno), ma il film se ne sbatte e ci tira dentro in medias res, ci racconta una storia tutto sommato molto piccola e molto personale, e resta puntato su quella come un laser. La valigetta magica? Non c'è tempo di spiegare, ci vuole già un'ora e mezzo buona di film per darci abbastanza contesto da capire cosa diavolo sta succedendo, e un'altra ora per farlo succedere. Le regole del gioco intellettuale sono complicate, ma capirle è indispensabile per apprezzare il gioco.
Quando è finita ci troviamo seduti davanti a uno schermo, incolumi, e nulla nella nostra vita è cambiato. Impossibile non notare qualche somiglianza con l'esperienza del sogno condiviso, con i personaggi che si svegliano e si trovano seduti, incolumi, e quasi nulla nelle loro vite è cambiato. È stato tutto un sogno, in fondo: consapevole fin che si vuole, ma niente che rimanga dopo il risveglio. Anche il film, purtroppo, è così.
Affrentare ondate su ondate di tizi che ti sparano addosso, in livelli di difficoltà crescente, è qualcosa che a noi videogiocatori riesce molto familiare, e solo per questo Inception deve occupare un posto speciale nel nostro cuore. Ma questi tizi che sparano non hanno volto, non hanno vita, sono il nulla: i loro proiettili faranno anche male ma non fanno nulla di definitivo. È difficile farsi coinvolgere in una vicenda così, in cui il gioco è quasi fine a se stesso... c'è la moglie suicida, ma non basta.

Qualcuno ha apprezzato la stranezza di un film ad altissimo budget che osa rischiare così tanto con una storia decisamente complessa: va bene, ma adesso bisogna che altri lo seguano, e sarà difficile perché un'operazione del genere è rischiosa tutte le volte, e non va sempre così bene. C'è tutto un sottogenere di gioielli cinematografici ignorati, ad esempio la roba di Satoshi Kon che citavo qualche tempo fa. Il suo Paprika, a proposito, affronta dei temi molto simili, anche se alla maniera un po' fastidiosa dei giapponici.
Prima di concludere devo segnalare, ovviamente in ritardo, tanto per farvi dispetto, che lo scorso fine settimana c'è stato il Video Games History 2010 a Monza. Non so come sia andata, a giudicare dal programma parrebbe un evento simpatico.

Lo-Rez: arte, storia, web design
09 . 10 . 2010

Welcome to the jungle

Panasonic ha in mente di realizzare una console, ma per non farsi sbranare le sta dando delle connotazioni curiose. Sarebbe una console orientata ai MMO, ad alta interattività, ha pure una tastiera, altro che controller, forse usa la rete 3G. E' un prodotto piuttosto curioso.
Panasonic non è esattamente nuova al mondo dei videogiochi, nei secoli che furono produsse un suo scatolotto nero chiamato 3DO. Parliamo di epoche in cui molti di voi non erano ancora nati, quei tempi lontani di cui ogni tanto parliamo noi autori, dove si aggiravano per il mercato altri nomi mitologici come il Neo Geo o anche assolutamente misteriosi come il PC Engine. In quell'epoca lontana le console erano un po' di più, sebbene lo spazio che si ritagliassero alcune sulle riviste nostrane era decisamente limitato e aveva il sapore esotico di qualcosa comunque di stranierio, importato di contrabbando, nascosto.
Eppure con Jungle Panasonic non sembra intenzionata a tornare realmente al centro dello stage of the history, non sembra volersi avventurare nella lotta al (3)DS, unico vero esponente delle console protatli tout-court, ma forse si parcheggerà nel sottobosco ormai nutrito che si sta venendo a creare intorno, quel mondo di cui dobbiamo prendere atto, anche con tutto il nostro purismo, la nostra arroganza e la nostra intransigenza.
Gli iFedeli della iTeocrazia sono ormai convinti che iPhone4 sarà la "console" (notare le virgolette) che dominerà il mercato nel prossimo futuro. I seguaci di Android hanno più volte ricordato a Google l'importanza del settore videoludico e SONY, che giocherella con Android sui suoi SONY Ericsson da tempo e ricorda ancora con rammarico la cocente sconfitta della PSP, potrebbe mettersi di buzzo buono per creare un coso che sia un po' telefono, un po' console, un po' terminale (no, non un N-Gage, assicurano). Nulla vieta che, una volta in piedi sulle loro gambe, anche WindowsMobile7 e Meego vogliano muoversi in questa direzione. Non si capisce ancora chi effettivamente svilupperà per queste piattaforme, non si capisce bene quanto i giochi costeranno e quindi che volumi di denaro verranno mossi, non si capsce bene nemmeno se qualcuno si metterà effettivamente a sfruttare le potenzialità degli schermi touch o no, ma questi oggetti sono qui, proliferano e si espandono (e sto ignorando i tablet, non credete che non lo sappia).
Possiamo però parlare veramente di "console" quando citiamo tutti questi progetti? No, ovviamente, nemmeno Jungle è una console, ma parlarne come solo telefoni è una stupidaggine, sui telefoni ci sta massimo massimo worms. Questi signori qui, in realtà, sono dei terminali. Terminali. Quel nome che in un passato remoto in cui nemmeno io ero nato era affibbiato a ciò che poi sono diventati i PC.
Quindi la domanda è: sta forse il conquistato conquistando il conquistatore? Ormai sconfitti e ritirati nel nostro angolo, può essere che noi PCisti stiamo in realtà diffondendo un nuovo morbo a partire dal mondo portatile, un vento capace di muovere lo spirito del tempo e che tornerà a rendere delle piattaforme da gioco degli oggetti multi-purpose così simili al nostro glorioso passato? Sono altri parallelismi quelli che mi fanno venire in mente questo. Pensate alla grande corsa agli armamenti degli anni 90. In certi contesti come Android sembra essere ricomincata, con la caccia al modello più cutting-edge su cui far girare più cose. E poi chi può dire dove si può arrivare con piattaforme di sviluppo aperte e diffuse? Possiamo forse ricreare quelle fertili schiere di sognatori che giocavano, si, ma si illudevano anche di poter far giocare con realizzazioni proprie?
Intercetto subito la prima obiezione: il mercato de giochi per questi terminali non è il mercato PC. Non ne ha le connotazioni, non ne ha il carattere, non ne ha lo stile. Ho sempre sostenuto che ci sia qualcosa di endemicamente diverso tra i giochi PC e i giochi console come tra i giocatori PC e i giocatori console. Questo tratto caratteristico, preziosissimo, forse non sta passando su queste nuove piattaforme, cosa che renderebbe futile anche la migrazione. Però stiamo parlando di un mercato acerbo, arruffato, sconclusionato, che deve ancora crescere, che non ha un carattere proprio. Cosa accadrebbe se lo acquisisse?
Riassumiamo. Abbiamo posto iphone, android e quant'altro (forse possiamo già farlo anche per Jungle) fuori dal viggimondo, li abbiamo rinnegati come falsi videogiochi, lontani dal dogma. Così sono, non mi rimangio certo la parola. La sostanziale anarchia che li governa, il caos che li rende così frivoli e vaghi, però, potrebbe essere l'humus da cui potrebbe nascere qualcosa di nuovo, messianico, potente. Oppure è tutto un sogno fatto in una tana di coniglio un freddo venerdì sera d'autunno.
L'editoriale finisce qua, ho paura di non essere stato molto comprensibile, non me ne scuso, ma vi avverto, così chi lo vorrà comprendere saprà di dover fare un piccolo sforzo. Sempre meno che andare a lavorare in fabbrica.

“Sciur capitan / varda te che ironia, / la giacchetta insanguinada / pudeva vés la mia, / bastava che incuntravi / un bastardo come me / invece che incuntrà / quel poor ciful là là lé.”

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