Pasticceria Vanillaware
Il caldo sta tornando ma in verità ci sembra che non se ne sia mai andato.
Anche i bei giochi stanno tornando, e quelli... per lunghi tratti sono stati assenti, è la loro prerogativa. Ma non dobbiamo lamentarci: i giochi tutti crescono di numero ogni anno (oltre 14000 solo su Steam nel 2023), e la statistica fa naturalmente emergere un sempre maggior numero di Bei Giochi™. Lamentiamoci piuttosto del nostro tempo, troppo risicato per giocare tutto quel che vorremmo: è quello l'unico limite che si frappone tra noi e i Bei Giochi. L'unico limite invalicabile.
Ma quali saranno mai, questi mitologici “Bei Giochi”? Se fossimo su un sito che parla al grande pubblico potremmo fare i diplomatici, o i banali, e scrivere che dipende dai gusti di ciascuno...
Ma la diplomazia non ha mai nemmeno sfiorato queste pagine.
I bei giochi esistono in quantità misurabile (dopotutto il buon gusto è oggettivo e si può imparare): qui sentite parlare da ventitre anni (?!) di quelli che piacciono a noi, ecco tutto. Ma quando dal vortice caotico dell'informazione, che satura ogni attimo delle nostre vite col suo frastuono, emerge la nota squillante di No Rest For The Wicked, tutti siamo chiamati a posare le armi, e girare la testa.
No Rest For The Wicked, prima ancora di uscire e farsi giocare, ha già influenzato il settore videoludico. La sua sola presenza impone una riflessione in tutti gli altri studi di sviluppo: si devono chiedere “Perché non l'abbiamo fatto noi?”. Forse non hanno il talento: comprensibile. Ma i Grandi Editori hanno sempre avuto soldi in abbondanza per comprarseli, i talenti, e non hanno scusanti.
Il nostro tempo è transitorio. Ogni gioco che non è No Rest For The Wicked è uno spreco.
Mi riferisco alla direzione artistica, naturalmente, ma questo è uno dei rarissimi giochi di cui ho letto le anteprime, e anche tutti gli altri suoi aspetti me lo fanno già amare. Speriamo bene. Ma anche se venisse maluccio, appunto, il suo prezioso contributo l'ha già dato.
Un altro Bel Gioco: ce l'abbiamo già tra le mani, fresco fresco appena sfornato dalla rinomata “Pasticceria Vanillaware”.
Unicorn Overlord.
Il titolo è stupido come succede spesso ai giappi, ma è un piccolo prezzo da pagare per un gioco magistrale in tutti i suoi aspetti. Un gioco confezionato con cura artigianale da uno studio minuscolo di pazzi ossessionati che ha dato fondo a tutti i suoi soldi per produrlo, come succede regolarmente ogni volta.
Di lettere d'amore a Vanillaware sono cosparsi questi ventitre anni di editoriali. Già nel 2008 stravedevo per Odin Sphere, e se chiudo gli occhi vedo ancora la principessa norrena in armatura che raccoglie frutta succosa per ripristinare i suoi HP. Ultimamente sono rimasto affascinato dal loro titolo precedente, 13 Sentinels.
Un gioco Vanillaware si riconosce a colpo d'occhio da una qualsiasi schermata: personaggioni disegnati ad acquerello rigorosamente in 2D, spesso dalle forme abbondanti se non caricaturali, che usano i confini dello schermo come un palcoscenico teatrale su cui vanno in scena i loro drammi recitati.
Anche questo Unicorn Overlord è proprio così: un gioco teatrale nella messinscena, non cinematografico. È la prerogativa dei titoli in 2D. E anche Unicorn Overlord rappresenta un'incursione in un genere completamente nuovo per Vanillaware, come ciascuno dei loro precedenti titoli... in questo caso si tratta grossomodo di un RPG Tattico A Turni Con Gestione Di Tantissime Unità Diverse, che guardacaso è uno dei miei generi preferiti in assoluto (vedasi la mitica Stellina Dorata).
E dunque oggi come nel lontano 2004, “Una Voce nella mia mente mi disse: ‘Và, spendi la tua vita e tutte le tue energie, e gioca a Final Fantasy Tactics Advance Unicorn Overlord fino a che non avrai completato tutte le sue missioni’”.
L'edizione da collezione include un intero gioco di carte per quattro giocatori. Per fortuna che ho trasceso da tempo il piano materiale dell'esistenza!
Apprezzabile anche come Vanillaware abbia mantenuto anche stavolta la sua carica pervertita: ci sono diverse arzigogolate meccaniche intorno ai matrimoni diplomatici e alla riproduzione tra le unità. Ma soprattutto (vedi lo stesso articolo), ritornano le illustrazioni a tutto schermo di tavole imbandite e pietanze succulente, e il minigioco culinario!
Troppa grazia, il mio cuore è ricolmo di gioia.
Suicide Service
Se anche le nostre discettazioni pindariche sull'industry avessero una continuity potremmo parlare oggi di un nuovo episodio che si occupa di come si sta evolvendo il videoludo di quelli grossi o come sta involvendo, a seconda dei punti di vista.
Suicide Squad: Killing the Justice League è un gioco che mi sta simpatico, come mi sono stati simpatici tutti i progetti relativi a Suicide Squad. Come molte delle cose a cui mi affeziono, però, all'uscita è stato un clamoroso flop e, considerando l'hype che si era costruito intorno, forse uno dei tonfi più sonori dell'ultima stagione. Stiamo parlando però di un gioco fortemente pilotato dalla Warner e ormai è abbastanza chiaro che i dirigenti Warner sono una massa di rimbambiti per cui non mi viene da prendermela molto col gioco in sé o con chi l'ha sviluppato perché accetto già, senza verifiche, che chi ha lavorato al progetto sia semplicemente stato preso nel vortice di confusione e indecisione a cui ormai la W ci ha purtroppo abituato.
La cosa che fa più rabbia è che questo Suicide Squad doveva presentarsi come un gioco dal gameplay sopraffino, degno erede dei migliori Arkham, ma non lo è stato però appare forse come una delle produzioni cinematicamente più convincenti della DC Comics, è un gioco che non dovreste comprare, ma guardare tutto su YouTube perché praticamente ogni spezzone filmato è meglio di un qualsiasi film di supereroi degli ultimi cinque-sette anni (non un risultatone, ma vi ricordo quanta gente li è comunque andati a guardare, quei film). Insomma, ancora una volta l'impressione è che se il gioco si fosse concentrato per essere quello che doveva essere sarebbe stato un capolavoro, ma a un certo punto qualcuno è venuto a dirgli che doveva essere anche un mucchio di altre confusionarie cose.
La parola che fa morire tutto ciò che tocca è live-service, ne abbiamo parlato spesso usando altri termini e altre forme. E' il Valhallah, il luogo dove tutti gli investitori dell'industry vogliono arrivare, ma come tutti i paradisi la via per raggiungerlo è lastricata di cadaveri. Questo articolo rispecchia abbastanza il punto della situazione: tutti vogliono un live-service, ma fare un live-service è all'incirca costoso come un tripla A, ma infinitamente più rischioso. Perché allora lanciarcisi? Questo è il plot twist di cui discutiamo da settimane: perché un live-service è l'unico modo per rientrare dai costi di produzione, cosa che, ormai lo stiamo ammettendo tutti, i tripla A non fanno.
E' vero però un altro punto interessante dell'articolo: i live service sono ingombranti, non stiamo parlando di un Spiderman 2, uno Spiderman 2 può essere bello quanto volete, ma una volta platinato cederà il posto a qualcun'altro. Quando lo farà forse sarà rientrato a stento dai costi di produzione, ma non c'è proprio più modo per voi di spremerlo. Un live service invece è fatto per rimanere, ma quelli che ci sono già non faranno mai niente per scansarsi, nella loro natura sta proprio di occupare un enorme spazio senza mai muoversi di lì quindi per arrivare tra loro bisogna fare a violente spallate e nemmeno i brand più imponenti ne hanno la forza.
Forse eccezione interessante in questo discorso sono i picchiaduro perché per quanto si possa amare Street Fighter accumularci dentro le ore di un Fortnite è più complesso. In un certo senso il picchiaduro, a parte per i super-esperti avvelenati, può essere un buon rumore di fondo del videogiocatore, che continua a farci partite ogni tanto, a scoprire cose, a divertirsi e magari si, a spenderci su, ma senza togliere spazio a altre passioni videoludiche. E' ancora anche un genere da salotto, inteso un genere in cui puoi invitare i tuoi amici per giocarlo e ha delle caratteristiche anni 90 che gli permettono una sopravvivenza anche in una forma diversa. Questo è forse il motivo per cui YouTube è tutt'oggi piena di chiappe di Cammy e cose deliziose come Peacemaker in MK1.
Esiste modo per downgradare altre esperienze videoludiche abbastanza da renderle sostenibili come live-service, ragionevolmente costose a livello di sviluppo e appetibili per un utente un po' più casual? Voi sapete che qui alla tana dai voli pindarici non ci tratteniamo mai, ma non mi viene in mente nessuno scenario che possa funzionare. Se ci pensate alcuni giochi così hanno avuto un successo planetario quasi per caso, senza una reale strategia dietro, quindi non possiamo nemmeno fare delle derivazioni dall'esistente. Non possiamo dire: facciamo un Fortnite casual. Fortnite è già in un certo senso casual ma sotto le 200 ore non ha senso appassionarsi.
Se vogliamo questo momento non è molto differente da quella che fu la grande era dei MMORPG, prima che World of Warcraft diventasse egemone. Tutte le grandi case scesero in campo con progetti costosi, che avevano anche tempi di manutenzione lunghi e necessitavano di un sacco di utenti che buttassero un sacco d'ore, molti di costoro fallirono e anche progetti interessanti andarono rapidamente alla deriva (come il business di Cloud e Link). Ai tempi però il clima era meno pazzo, i volumi di denaro inferiori, le grandi sigle meno disperate. Ai tempi avevamo tutti un po' più sale in zucca di ora.
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