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1086, 29/10/2022 - Fa le fusa
1086
29 . 10 . 2022

Crisantemi assassini

Ma i gatti non sanno amare, Gödel! Anche quando ronfano e si lasciano usare come scaldamani, nelle loro testoline feline si agitano pensieri oscuri di caccia e sangue, come se fossero personaggi di un libro di George R. Martin.
Questi pensieri orridi si dovrebbero ben accompagnare al momento, ma il fatto è che pure senza l'apocalisse atomica ci è rimasto appiccicato addosso un caldo fuori stagione. La luce ambrata di settembre proprio non se ne vuole andare, e continua a colorare questi pomeriggi di ottobre, e tra poco persino di novembre... Ognissanti senza nebbiolina fredda è strano e repellente quasi come un natale festeggiato a Bondi Beach nell'estate australe.

Meno male che ci pensa il settore del Divertimento Elettronico, a sprofondarci nelle giuste atmosfere orrorifiche: qualche giorno fa infatti sono stati presentati per coincidenza (?) quasi contemporaneamente il nuovo Silent Hill e il nuovo Resident Evil.
Naturalmente, in quest'epoca decadente, dovevano essere entrambi pavidi remake, del 2 e del 4 rispettivamente. Bene ma non benissimo. La storia li ricorda come i capitoli migliori delle due serie: non ho mai giocato Silent Hill perché l'orrore non mi piace davvero, ma ho giocato RE4 e anch'io lo ricordo come una pietra miliare della mia trentennale carriera videoludica.
I remake ci fanno arrabbiare tanto, ma ci offrono lo spunto per un'analisi molto profonda su come è cambiata la sensibilità e la tecnica del fare videogiochi in vent'anni...
Però ci vorrebbe la voglia di farla, quell'analisi (e la competenza): io non ce l'ho. Mi limiterò dunque a raccogliere qui qualche spunto.

Trapiantare un'opera da un'epoca all'altra significa inevitabilmente strapparne le radici, che è sempre un'operazione traumatica, anche quando va bene.
E tanto più le radici sono profonde, tanto più sarà profondo il trauma, e alto il rischio di ritrovarsi con una cosina pietosa che muore subito.
Silent Hill 2 o Resident Evil 4 sono opere perfette, la cui influenza risuona ancora come un'eco tonante in tutti i videogiochi moderni: in esse tutto era così per un motivo. I design sono fatti in un certo modo perché era esattamente il modo che rendeva meglio con le tecnologie di allora. Solo un incapace insisterebbe per una pettinatura che non si può fare per via dei limiti sui poligoni e la risoluzione... se la fai lo stesso, i limiti si notano e l'illusione si spezza.
È così che si fa la famosa magia che ci cattura istintivamente quando guardiamo un capolavoro: è una magia fatta anche da una giacca di montone scelta saggiamente per il protagonista perché è rigida e svolazza poco, quando col tuo hardware non potevi permetterti svolazzi.
Stesso discorso per le tonalità di colore, che dipendono moltissimo sia dalla risoluzione dell'immagine che dalle esigenze gameplay. Se c'è molta azione veloce, occorre far risaltare molto gli elementi interattivi e segnalare chiaramente i bersagli, e tutto questo porta naturalmente verso un'estetica che abbiamo imparato a conoscere come “arcade”. Invece se il gioco è lento, se il personaggio è lento e si muove come un carroarmato (come era RE4) allora gli scenari possono essere più misteriosi e meno leggibili, e le palette più cupe e realistiche.
Le tecnologie moderne hanno eliminato gran parte di queste limitazioni artificiali, ed è quasi inevitabile snaturare un'opera antica, tradirla. Che senso ha oggi quella pettinatura fatta ad arte per dissimulare la bassa risoluzione, ora che le schede video termonucleari possono ricostruire ogni dettaglio di ogni capello? Questa non è più la magia di un abile artigiano, questo è copiare tutto come un cretino. E d'altra parte, se non copi non è più un remake e qualcuno si arrabbia. Non se ne esce.

Molto più interessante invece parlare del progetto nuovo: SILENT HILL f.
Un gioco tutto nuovo nuovo, ambientato tra le brume delle piantagioni di riso nel Giappone rurale degli anni '60. Meraviglioso!
Già da due minuti di filmati promozionali possiamo ricavare un'impressione vivida, e assaporare un immaginario ricchissimo e stratificato. Anche piuttosto impenetrabile ai gaijin, a dire il vero, per cui è bene avere una guida. Ma comunque anche senza guida possiamo immaginare che sarà un gioco pieno di crisantemi e Lycoris Radiata, che sono fiori associati alle tombe e alla morte in tutte le culture. E non sarà adatto ai tripofobi.
Anche il rilievo dato ai nomi degli autori principali rivendica con orgoglio un'autorialità che era il tratto distintivo dei Silent Hill originali. È sempre un buon segno.

Lo-Rez: arte, storia, web design
29 . 10 . 2022

La danza dei draghi

Probabilmente per una serie di coincidenze fortuite più che per una strategia di marketing, il mese appena passato non ha visto una sola serie fantasy raccontarci la sua storia, ma ben due. Di quella basata sul mondo di Tolkien abbiamo già detto. Oggi invece vi diremo la nostra opinione riguardo quella nata dal mondo di George R.R. Martin.

C'è più di un parallelismo, tra le due serie. Per esempio come non mi interessava guardare gli Anelli del potere così non mi interessava moltissimo questo House of the Dragon. Non ho mai fatto mistero che i miei sentimenti nei confronti di Game of Thrones sono sempre stati piuttosto tiepidi quindi immaginate quanto potessi essere interessato a uno spin-off sul passato della casa Targaryen, quando i suoi esponenti non dovevano mostrare le sise a sette, otto, anche nove regni prima di poter essere proclamati re.

Eppure, per quello che mi riguarda, con House of the Dragon le cose sono andate in modo molto differente, anzi, lo dico subito, secondo me House of The Dragon è una delle cose meglio scritte di questa stagione e questa struttura è ben supportata da tutti gli altri ammenicoli che fanno una serie TV: attori, regia, realizzazione tecnica.

Per sviscerare questa dichiarazione ci conviene partire dallo stesso punto da cui siamo partiti con Rings Of Power, ovvero le dimensioni dello scenario rappresentato. Game of Thrones ci aveva abituati a uno scenario vasto, un numero X di tronconi di vicende che avvenivano ai quattro angoli del mondo di Westeros, intrighi e nuovi partecipanti agli intrighi sempre pronti a saltare fuori in media res, ad aggiungersi, a volte in modo brutale, al quadro generale.
Nel caso di Game of Thrones, però, non si poteva parlare di rane gonfie perché questo modo di fare l'opera di Martin se lo è un po' inventato, è la sua identità, lo controlla. Il fantasy di GoT, più moderno, non è più un fantasy di quest, ma un fantasy di vicende di ampio respiro, dove i personaggi magari non hanno sempre il dominio della situazione, ma partecipano ad ampi movimenti in un mondo ribollente di macchinazioni politiche ed eserciti in movimento. Non c'è un reale giudizio di merito in questa esposto, non è che questo fantasy è meglio del fantasy del Signore degli Anelli, non è peggio, semplicemente è il fantasy che funziona nell'epoca che stiamo vivendo.
House of The Dragon, però, stupisce proprio a partire da qui, imbastendo una vicenda imperiosa, che riguarda la corona dei sette regni, ma disegnandola assolutamente compatta e lineare, costruita intorno ai suoi protagonisti e portata avanti con la dovuta pazienza che gli permette anche di coltivare una schiera di comprimari in numero adeguato, né sovrabbondanti né estemporanei. House of The Dragon è un racconto, ha dei protagonisti, presenta la loro evoluzione, incastra le loro azioni in un intreccio in cui ogni meccanismo funziona. Non si discosta dall'impronta di GoT, anzi, in un certo senso è quasi straniante come questa corte più vecchia di 200 anni sia in realtà simile alla corte di Robert Baratheon, ma tutti gli elementi tipici del suo universo vengono allineati in fila su una trama lineare, che alterna momenti forti a pause, scene d'azioni a lunghi confronti, come dovrebbe fare una buona storia.

A supporto di questo lavoro degli sceneggiatori un ottimo comparto recitativo. Del lavoro di Paddy Considine avete quasi sicuramente sentito parlare in giro, ma io voglio soffermarmi su quello di Matt Smith. Matt Smith, dal punto di vista recitativo, è stato forse il più debole tra i Dottor Who dell'epoca moderna, questo almeno secondo la mia sensibilità. Il suo Daemon però è un personaggio grandioso, costruito con pochissime righe di dialogo (in un mondo in cui la logorrea è malattia endemica), basato sulla sua presenza fisica, sulla sua postura e sui suoi sguardi. Si, è un personaggio negativo, credo che il fatto che lo sia lo si possa affermare dal primo episodio, eppure è anche un personaggio dello schieramento che, a pelle, ci sentiamo di definire dei buoni. Non c'è niente di male in questo, anzi, il fatto che la sua morale non sia sfacciatamente polarizzata è la base di alcune delle dinamiche più interessanti. Ai tempi di GoT sapevamo che gli Stark erano i buoni e che per spingerli a uccidere persone bisognava prima renderli vittime di innumerevoli soprusi. Allo stesso tempo sapevamo della loro invidiabile capacità di non vedere i complotti nel prossimo che faceva sì di vederli sempre cadere nelle trappole altrui, tessute da personaggi più esplicitamente cattivi. Daemon Targaryen invece è un contraltare di qualsiasi situazione, è il volto capace di sostenere lo sguardo sadico di Aemond, è la forza militare che non esiterà nel momento in cui si giungerà alla battaglia, è cattivo in un mondo in cui solo i cattivi hanno la forza di muovere gli ingranaggi, in un senso o nell'altro.
Certo, immagino che, ascoltando anche voi i sussurri dell'internet moderno, potreste venire qui a raccontarmi che Daemon è cattivo in modo scorretto, che Daemon non dovrebbe essere idolatrato o avere personaggi a sostenerlo, che Daemon picchia Raenyra e questo non può essergli perdonato. Se però pensate queste cose evidentemente non avete capito il paragrafo precedente o magari le cose che interessano a me non interessano a voi. Liberissimi di tenervi le vostre opinioni in entrambi i casi.

L'ultimo punto che voglio rimarcare è che House of The Dragon possiede una caratteristica che ormai, nelle serie moderne, sembrava essere andata assolutamente perduta: è una serie arrogante. E l'arroganza è quella cosa che ti permette di prendere il controllo di quello che stai facendo e di non aver paura del pubblico. House of The Dragon si prende largo spazio per essere pomposo, ridondante, maestoso. La camminata di re Viserys che stancamente va a sedersi sul trono ha un minutaggio che difficilmente possiamo riscontrare altrove per il semplice fatto che è un momento epico e l'epica non deve solo, in modo didascalico, mostrare l'azione, deve anche lasciarla lì, ad allargarsi, a espandersi fino a riempire lo schermo, senza costringerla alle logiche del racconto. L'epica è arrogante e House of The Dragon è arrogante nel suo voler mostrare l'epica.

In sintesi House of The Dragon è stato una notevole sorpresa. Non avevo la minima idea che sarebbe andata così, non potete parlare di nessun bias a favore di questa serie rispetto all'altra o preconcetti. Io l'ho guardata stancamente come Rings of Power e me ne sono appassionato fino a rincorrere gli episodi come raramente, soprattutto di recente mi è successo. House of the Dragon è la dimostrazione che anche oggi si possono fare le cose bene. Forse il suo essere uno spin-off di una serie di ampio successo ha fatto sì ch le logiche di marketing lo infettassero meno lasciando agli autori la mano libera. Forse è stata solo fortuna. Forse è il potere del sangue dell'antica Valyria.

“When Dragons Flew To War, Everything Burned.”

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