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721, 20/06/2015 - Serial culture
721
20 . 06 . 2015

Quando c'era Marnie

Nella strip odierna vanno in scena altre schermaglie dialettiche tra Gödel, Ingegnere d'acciaio, e Clara, la nostra dolcissima Clara. Se sia il sintomo di una relazione romantica non ci è dato saperlo: certo è che questa storia va avanti da un sacco di tempo, ormai. Gli anni passano per tutti.

Immagino che questa sia stata la settimana dell'Electronic Entertainment Expo 2015, la fiera più strombazzata del nostro settore. Lo sfasamento spazio-temporale che protegge il mio nascondiglio segreto, dal quale sto scrivendo, mi impedisce di commentarla qui... ma non c'è solo questo: forse non avrei nulla da commentare comunque.
Allora facciamo un passo indietro e consideriamo The Witcher 3, anche se è uscito ormai quando c'era Marnie, è storia passata. Qui nella nostra povera Italia il gioco di ruolo slavo riscuote enorme successo, ancora più che nel resto del mondo: il cielo sa perché.
All'epoca del Witcher 2 ammettevo a malicuore che non tutto di questo gioco mi faceva schifo: l'ambientazione e la realizzazione artistica sono infatti una spanna sopra qualsiasi cosa si sia mai vista in un RPG occidentale. Non è comunque un gran complimento, dal mio punto di vista, ma è già qualcosa.
Lo stile è quello trucido reso popolarissimo dalla serie TV di Game of Thrones, a base di femmine nude, squartamenti e bestialità di ogni genere... dicono sia un fantasy realistico, ma io sinceramente preferivo quando il fantasy era pettinare gli unicorni dalle criniere arcobaleno.
Il gioco in sé sembra non essere male, ma anche qui devo sollevare un'obiezione: i giochi da 200 ore, strapieni di cose da fare e meccanismi da padroneggiare, ormai non fanno più per me, che sono un vecchio stanco. Ma voi giocate, bambini, giocate.

Lo-Rez: arte, storia, web design
20 . 06 . 2015

IpIpUrrà

Siamo in pieno periodo E3 e, grazie a Facebook, ormai eventi del genere ci vengono sputati letteralmente addosso, senza che ci sia bisogno che andiamo a cercarli. Così, sta di fatto che per una volta posso dire di averla seguita abbastanza, quantomeno per quello che riguarda le sue linee principali. Visto che però ormai sono un videogiocatore inacidito senza obiettivi, non mi preme tanto parlarvi di questo o quel gioco, quanto di evidenziare una tendenza secondo me interessante, né positiva né negativa, semplicemente diversa da quella che magari guidava il mercato anni fa.

In pratica, ormai, le major ragionano per IP. Non esiste più il gioco o la serie di giochi (arrogantemente chiamato saga, ogni tanto), esiste piuttosto questo concetto un po' nebuloso, nemmeno tanto legato alla narrativa, che si sintetizza in questo orribile acronimo dal significato di Intellectual Property.

Un po' di anni fa le IP non c'erano. Le major pubblicavano giochi, ci facevano una disgustosa quantità di danaro e poi tornavano dagli sviluppatori di quei giochi, gli puntavano una pistola alla tempia e li costringevano a fare un seguito quasi uguale all'originale e in fretta. Visto che siamo degli inguaribili romantici vogliamo raccontarci che gli sviluppatori di allora, nobili artisti, si infuriavano di fronte a queste orribili imposizioni commerciali e che lottavano con tutte le loro forze per evitare di assecondare tanta cupidigia. Purtroppo alla fine si piegavano perché erano solo sviluppatori, mentre le major erano grosse e cattive (e avevano tipo degli assassini androidi e cose del genere).

L'epoca moderna, che ha deciso di etichettare sfacciatamente questa pratica, possiamo immaginarla meno romantica. Gli sviluppatori moderni, già asserviti alle major, cresciuti in vasche di clonazione e dotati di impianto neurale di sottomissione, nascono già pensando al concetto di IP quindi, quando gli viene concesso di creare qualcosa di nuovo, pensano direttamente a una scatola da cui produrre poi N prodotti, con tutti i vantaggi di economia di scala che deriva da ciò.

Il concetto di IP, spinto così forte, ha ovviamente creato delle brutture, come portare a odiare giochi di grande caratura come gli Assassin's Creed semplicemente perché sono sempre lo stesso gioco che si perpetua negli anni, ma non si può la pratica demonizzare più di tanto. Dopotutto, pensandoci bene, questo è il modello che dagli albori segue Nintendo, che ha fabbricato una dozzina di icone che getta ogni volta nella mischia con giusto una mescolatina a fantasia e così fa sempre clamoroso successo. Forse quello che dobbiamo fare è metterci in un'ottica diversa, provare a estraniarci da quel concetto di narrazione per cui abbiamo sempre nutrito odio e amore e provare a vedere i videogiochi nella purezza delle icone che ci mostrano, vedendo in loro oggetti di design magari più "amorfi" di lineari racconti, ma dotati di una potenza comunicativa tutta loro.

“And oh my love remind me, what was it that I said? / I can't help but pull the earth around me, to make my bed / And oh my love remind me, what was it that I did? / Did I drink too much? / Am I losing touch? / Did I build this ship to wreck?”

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