Strip
serie
622, 29/06/2013 - Google Glass
622
29 . 06 . 2013

Niente da perdere

Se Google non ti ha preso in considerazione per darti i Google Glass, oggigiorno significa che non sei nessuno. Ogni celebrità di internet che si rispetti ha ricevuto l'invito per questa cerchia esclusiva: se non ce l'hai vuol dire che la tua vita non è degna di essere condivisa, che nella tua miserabile giornata non fai mai nulla che esca dalla mediocrità, dalla piattezza della vita media dell'uomo qualunque. Sarai per sempre spettatore passivo delle meraviglie compiute da altri. Il massimo che ti è concesso è di aggiungere il tuo anonimo, patetico +1 alla gloria altrui.
E se questi gingilli li hanno dati al nostro Cloud, che fa l'impresario per tornei di videogiochi professionistici clandestini, l'umiliazione è ancora più bruciante.

La strip della settimana scorsa trattava l'argomento Supporto Tecnico, che come giustamente faceva ricordare Cymon ha sempre significato ROVINA e SCIAGURA per me personalmente, o meglio per i miei dispositivi elettronici. Basta un giro nell'archivio per appurarlo.
In effetti non ne sono uscito indenne neppure stavolta: il mio portatile, vecchio ormai di 8000 anni, ha drasticamente ridotto la velocità di accesso al disco fisso, al punto che aprire un file di testo come questo editoriale richiede un tempo considerevole. Certo è stato un processo di decadimento graduale, ma proprio questa settimana ha subito un'accelerazione che non posso attribuire al caso.
Per il resto, la configurazione attuale della mia vita mi rende quasi invulnerabile a questo tipo di attacchi: se non hai niente non hai niente da perdere.

Lasciamo da parte per un momento Final Fantasy XV e tutti i suoi splendori. Avremo modo di dilungarci ossessivamente su questo gioco, da qui alla sua uscita in un futuro imprecisato. L'altra meraviglia uscita dall'E3 2013, tenutosi ormai un sacco di tempo fa, era ovviamente Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.
Il nuovo filmato di presentazione è accompagnato da un avvertimento molto serio sulla natura dei suoi contenuti, per nulla adatti ad un pubblico facilmente impressionabile: normalmente è il genere di avvisi della censura che ci strappano una bella risatina, ma non stavolta. Stavolta ci sta tutto, quel cartello rosso dice la pura verità.
Hideo Kojima non stava sparando una delle sue solite smargiassate, quando diceva che fino a un anno fa nessun editore voleva pubblicare il gioco che aveva in mente, perché i temi trattati erano troppo spinosi e non avrebbero mai passato il visto della censura. Poi però il nostro eroe è riuscito a convincerli, e a mantenere intatta la sua visione: un privilegio riservato a pochissimi autori in questa industria.
Ecco dunque The Phantom Pain in tutto il suo orrore: tra bambini africani addestrati alla guerra e scene di tortura in campi militari, amputazioni e menomazioni di ogni genere inflitte ai corpi dei nostri eroi fino a renderli quasi irriconoscibili.
Particolarmente scioccante è il trattamento riservato a Paz: in Peace Walker era una scolaretta dolcissima con i boccoli biondi... Qui la ritroviamo rasata a zero, con addosso l'uniforme da prigioniera di guerra, le braccia di Big Boss immerse fino ai gomiti nelle sue viscere, a frugare alla ricerca di una bomba che le hanno impiantato nella pancia mentre era ancora viva.
C'è poco da scherzare, in questo nuovo Metal Gear Solid ambientato in Afghanistan nel 1984.

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29 . 06 . 2013

E' de acciaio

L'hype per Man of Steel era alle stelle perché:

Ma poi, a un bel momento comincia il film e poco conta se te ne hanno già parlato tutti malissimo. Quello che conta è che avevano tutti ragione e tu ti senti arrabbiato perché non doveva finire così.

Il soggetto, tanto per dire, è bello. L'idea di seguire lo schema Batman Begins e lasciare fuori Luthor dalla contesa, andando invece a riproporre, in soldoni, la storia di Superman II è buona. A questo aggiungete un lavoro veramente ottimo per quello che riguarda il design di Kripton e un Russel Crowe molto in palla. Zimmer, ripeto, fa un lavorone, colonna sonora superiore a Begins. In realtà è una specie di contraltare del lavoro su Batman, cosa anche corretta da un punto di vista filologico, con un ambiente molto più aperto in cui trionfare. I combattimenti, se intendiamo le sequenze due e pure, estrapolate, sono fatte bene, sfruttando al meglio i pochi pregi di Snyder a riguardo. Molto muscolari, l'era del jujitsu matrixiale è tramontata, ma meglio così.

Il problema di questo film di Superman, che poi è il problema del personaggio Superman, che poi è proprio quello che Snyder ha letto malissimo dell'epopea di Superman è che Superman non è al centro della vicenda, in realtà al centro della vicenda non c'è niente, c'è un vuoto pneumatico che fa molto rumore. E quando anche Superman cerca di portarsi in mezzo, tanto per affontare l'ennemino cattivo buzzurrino pettinato male che ci dimenticheremo dopodomani, ormai è tardi, c'è tempo solo per le botte. E pazienza divertirsi per le botte, ci siamo intanto persi Superman.

Voglio linkarvi qui i toni entusiastici della mia recensione di Superman Returns, un film che a sua volta ebbe molti problemi, ma che era un trattato su quello che Superman dovrebbe essere, su quello che significa come simbolo. Man of Steel, ovviamente, non avrebbe dovuto aderire tanto fortemente al cinema di Donner, ma assolutamente negarne certe caratteristiche gli ha fatto più male che bene.

Superman è un eroe assoluto e allo stesso tempo tragico, solo come nessun altro supereroe prima di lui, invincibile allo stesso modo. Indugiare nella sua infanzia solo nei flashback ci salva da una narrazione pedante, ma cosa accade nel flusso degli eventi principali? Da dove facciamo uscire gli aspetti importanti del personaggio? Da nessuna parte. Superman si cela al mondo, salva le persone di nascosto, da ascolto a un non brillantissimo padre (più per scelte di script che per errori di Costner). Si perde, insomma, il suo impatto sulla popolazione, il fatto di essere simbolo prima di essere personaggio, il fatto di essere diverso da noi eppure rappresentare noi al nostro meglio. Il Superman che si sacrifica al mondo dopo la solita chiacchierata col prete di paese è un Superman che non significa niente, è un alieno che si è imboscato e che, appena gli hanno telefonato da casa, ha indossato un costumino blu e si è fatto prendere. Si può biasimare l'umanità se lo ammanetta e lo riconsegna ai suoi? Cos'è Superman per questo pianeta a quel punto? Niente. E Superman, il consueto idiota in calzamaglia che tanto può fare proprio tutto quello che fottutamente vuole, nel momento in cui non può rapportarsi all'immagine che da al mondo non rappresenta niente. E allora vada pure a picchiarsi con l'altro alieno buzzurro, chi se ne frega.

Snyder manca di creare il mito di Superman, ci dicono volesse raccontarci l'emarginazione di un alieno, ma si dimentica di fare pure quello. Senza mito i supereroi sono vuoti pupazzi colorati e un po' equivoci. A questo aggiungete una regia che al di fuori delle scene d'azione ha delle cadute impressionanti, scelte narrativa al limite del ridicolo (le chiavette USB dominano Krypton), la totale assenza di un qualsiasi dialogo interessante. Il finale, che dovrebbe essere il tentativo di andare oltre il fumetto e offrire nuovi spunti per la saga, suona come un insulto, considerando che arriva in coda a un carrozzone privo dei punti di riferimento corretti e, interessante o no, lascia più che altro perplessi.

“Ti porterò nei posti dove c'è del buon vino / E festa festa fino al mattino / Sirena con due occhi grandi come la fame / Balla balla e poi lasciamo qui / Qui o lì / Uh Lacio Drom”

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